Introdotto nel 1973, il Tele-Tessar 350 millimetri venne prodotto con due diverse aperture: f/5,6 per le Hasselblad serie C e f/4,0 per le Hasselblad della serie F, dotate di otturatore sul piano focale.
Disegno e misure del Tele-Tessar T* 350mm f/5,6. Lo schema ottico di sole quattro lenti garantisce un’eccellente nitidezza unita a un’elevata correzione delle aberrazioni.
Il vecchio Tele-Tessar serie C, dalla caratteristica forma svasata.
Il più recente Superachromat CFE.
La prima versione (modello C) aveva una tipica forma svasata che condivideva con molte altre ottiche prodotte da Zeiss per Hasselblad, forma abbandonata nella più recente serie CF.
Verso la fine del 1997 venne immessa sul mercato la versione CFE con correzione superacromatica: il Tele-Superachromat T* 5.6/350 CFE.
Noi abbiamo provato il modello CF (ancora reperibile sul mercato a costi ragionevoli) su una Hasselblad 503 CW equipaggiata con dorso digitale Phase One P45 Plus da 39 milioni di pixel, ed anche – con anello adattatore – su una reflex full-frame. In quest’ultimo caso, ovviamente, si lavora in stop-down, il che impone l’uso del cavalletto e limita la ripresa a soggetti che non si muovano troppo rapidamente.
La mitica T*
La famosa T con l’asterisco (T-star) indica il trattamento antiriflesso multistrato Zeiss.
Prima del 1935 gli obiettivi erano privi di trattamento antiriflesso, per cui una certa percentuale della luce veniva non solo rifratta, ma anche riflessa nel passaggio dall’aria al vetro e dal vetro all’aria. Questo provoca com’è noto una diminuzione del contrasto generale dell’immagine, un aumento del flare e l’insorgere di immagini fantasma del foro del diaframma.
Nel 1935, alla Carl Zeiss di Jena, un team guidato dal dottor Alexander Smakula ideò e brevettò il primo trattamento antiriflesso a base di fluoruro di magnesio, denominato “T” (dal tedesco Transparenz). L’invenzione fu coperta da segreto militare (il trattamento era destinato soprattutto ai binocoli in uso all’esercito del Terzo Reich) fino agli inizi della seconda guerra mondiale, quando il trattamento antiriflesso iniziò ad essere diffuso tra gli ottici e applicato agli occhiali da vista.
Quasi contemporaneamente, analoghe ricerche erano state sviluppate dalla Bausch & Lomb (USA) e dalla Leitz. Durante la seconda guerra mondiale i ricognitori aerei statunitensi usavano obiettivi Kodak con trattamento antiriflesso a base di fluoruri (radioattivi) di uranio e torio.
A partire dagli anni Settanta Pentax e Zeiss iniziarono a studiare gli effetti di un trattamento multistrato, seguiti da Fuji con il suo procedimento EBC (Electronic Beam Coating). Anche Leitz (che inizialmente aveva preferito affidare la resa del contrasto all’eccellenza dei suoi vetri e alla perfezione degli schemi ottici) adottò – pur se con prudenza – diversi sistemi di protezione antiriflesso.
Oggi il trattamento multistrato T* di Carl Zeiss può essere considerato uno tra i più efficaci sul mercato.
Poche lenti ma eccellenti
All’eccellenza del sistema antiriflesso si associa, nel caso del Tele-Tessar, l’estrema semplicità dello schema ottico, che come è noto contribuisce a mantenere elevato il contrasto abbattendo drasticamente la quantità di luce riflessa a favore di quella rifratta: quattro sole lenti a formare un Tessar “puro”, derivato dal celebre Tripletto di Cooke.
Il Tripletto di Cooke fu ideato dall’inglese Taylor per la Cooke & Sons nel lontano 1893.
Si trattava di un obiettivo decisamente innovativo per l’epoca: l'idea di partenza era costituita dal doppietto acromatico di Chevalier (un elemento positivo e uno negativo incollati insieme in modo da creare una somma di Petzval uguale a zero). Separando le due lenti, Taylor fece in modo che il sistema acquistasse potere positivo, pur lasciando inalterata la somma di Petzval. Non contento, il progettista “spezzò in due” l'elemento positivo, sistemando l’elemento negativo tra le due metà così ottenute. Lo schema, fortemente asimmetrico, consentiva una buona correzione delle aberrazioni extra-assiali e una drastica riduzione della distorsione.
Il tripletto di Cooke, in vari modi modificato e aggiornato, diede vita a schemi celeberrimi come gli Elmar della Leitz, gli Heliar della Voigtländer, i Sonnar di Carl Zeiss. L’aggiunta di un quarto elemento diede vita allo schema Tessar (che in greco significa, appunto, “quattro”).
Le curve MTF descrivono un comportamento costante a tutte le frequenze spaziali, più che buono già a tutta apertura. La caduta di luce ai bordi decresce (come è fisiologico) col diminuire dell’apertura relativa ed appare già soddisfacente a f/8. La distorsione (contenuta) ha valore positivo (distorsione a cuscinetto), come è normale nelle lunghe focali.
Pro e contro
Il Tele-Tessar è lungo poco più di 22 centimetri e mezzo e ha un diametro massimo inferiore ai dieci centimetri. Questo lo rende compatto e maneggevole nonostante l’elevata focale. E’ vero che esistono teleobiettivi dalle dimensioni più contenute, ma non dimentichiamo che questo è stato progettato per coprire un fotogramma di 6x6 centimetri!
Un difetto di questo modello (superato nel successivo Tele-Superachromat CFE) è l’assenza di un attacco filettato per il treppiede. Per evitare sbilanciamenti, ma anche per impedire che il peso dell’obiettivo (poco meno di un chilo e mezzo) eserciti uno sforzo sul bocchettone portaottiche del corpo macchina, conviene munirsi di un apposito anello (venduto da fabbricanti indipendenti) che, assicurato al barilotto in corrispondenza del baricentro dell’insieme macchina-obiettivo, garantisca il dovuto equilibrio.
Il paraluce a corredo è rotondo, e non a sezione quadrata come quelli destinati alle focali Hasselblad inferiori. Una differenza all’atto pratico insignificante.
Come in tutte le ottiche Zeiss/Hasselblad è possibile correlare reciprocamente le due ghiere dei tempi e dei diaframmi in modo da mantenere costante il rapporto di reciprocità a parità di EV. Una caratteristica utile in sistemi totalmente manuali.
Nel modello in nostro possesso la ghiera della messa a fuoco, a lunga escursione, offre una certa resistenza alla rotazione: una caratteristica comune agli obiettivi della famiglia, che se da un lato garantisce contro gli spostamenti accidentali, dall’altro non favorisce la rapidità d’azione. Del resto il medio formato (tanto su pellicola quanto in digitale) non è nato certo per il reportage di strada o la fotografia sportiva!
La distanza minima di messa a fuoco è piuttosto elevata: quattro metri e mezzo, il che permette un rapporto di riproduzione di 1:10,8. L’uso dell’obiettivo per la ripresa ravvicinata o il ritratto in primissimo piano è del tutto escluso, dato che il campo inquadrato a tale distanza ha una diagonale di quasi 85 centimetri!
L’apertura relativa massima (f/5,6) può sembrare insufficiente a chi è abituato ai teleobiettivi superluminosi per il piccolo formato, ma non dimentichiamo che qui siamo in un mondo diverso, con altre esigenze ed altre finalità. L’apertura minima è pari a f/45, il che significa che il diaframma intermedio (quello a cui, in teoria, l’ottica lavora meglio) è f/16: un’apertura alla quale è molto difficile poter fotografare un animale selvatico a mano libera!
Sul campo
Abbiamo sottoposto il Tele-Tessar 350mm f/5,6 a un test non facile: la fotografia di animali selvatici. Tuttavia, ben consapevoli delle differenze – in termini di maneggevolezza e rapidità – tra i sistemi reflex di piccolo formato e quelli di medio formato, non abbiamo preteso di dedicarci alla caccia fotografica in ambiente naturale, ma abbiamo scelto di lavorare in ambiente controllato, vale a dire in uno di quegli “zoo alpini” dove gli animali vivono in condizioni di semilibertà, aggirandosi tranquillamente fra i visitatori all’interno del parco (come i camosci e gli stambecchi) oppure confinati all’interno di vaste aree recintate se particolarmente timidi (come cervi e caprioli) o non del tutto amichevoli (come cinghiali e orsi).
Le riprese sono state effettuate in due distinte occasioni: la prima durante un workshop sulla fotografia di animali, utilizzando una reflex full-frame (Canon Eos-1 Ds Mark II) con anello adattatore; la seconda alcuni giorni dopo, montando l’obiettivo – come detto all’inizio – su una Hasselblad 503-CW equipaggiata con dorso digitale. La necessità di messa a fuoco manuale, l’obbligo (sul piccolo formato) di lavorare in stop-down e la particolare natura dello strumento, ben diverso – in termini di rapidità operativa – dai teleobiettivi autofocus stabilizzati dedicati alle DSLR, hanno imposto in entrambe le occasioni l’uso del cavalletto.
Non staremo qui ad analizzare le differenze di resa tra il piccolo e il medio formato digitale: il dorso Phase One P45+ costituirà l’oggetto di un prossimo articolo. Quello che ci preme mostrare (pur se penalizzata dalla riduzione web) è la resa dell’obiettivo in termini di nitidezza, resa cromatica e dettaglio.
Michele Vacchiano © 05/2012
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Femmina e piccolo di camoscio (Rupicapra rupicapra). Obiettivo regolato a f/8 (uno stop oltre l’apertura massima), e montato con anello adattatore su Canon Eos-1 DS Mark II regolata a ISO 200.
Coppia di caprioli (Capreolus capreolus) nella luce del tardo pomeriggio. Obiettivo regolato a f/11 su Hasselblad con dorso digitale impostato a 400 ISO.
Femmine di Cervus elaphus nella boscaglia. L’unione di obiettivo, Hasselblad e dorso digitale forma un insieme decisamente pesante, che richiede un cavalletto (e una testa!) di livello professionale. Nonostante questo, basta un po’ di vento (decisamente frequente nelle zone alpine) per compromettere la ripresa. Ad essere pignoli bisognerebbe usare due cavalletti, oppure un cavalletto per la fotocamera e un monopiede a sorreggere l’obiettivo. Ma poiché non siamo nati per soffrire di solito non lo facciamo, accontentandoci di aspettare con santa pazienza che il vento cessi per un istante di soffiare, che gli animali siano voltati dalla parte giusta, che la composizione sia – se non perfetta – almeno accettabile.
Civetta delle nevi (Nyctea scandiaca) fotografata in voliera con l’obiettivo regolato a tutta apertura.
Hasselblad 503-CW con dorso Phase One P45+ regolato a ISO 200.
Crop al 100% degli occhi e del becco del soggetto precedente. Nonostante il diaframma tutto aperto, nitidezza e dettaglio sono notevoli.
Marmotta (Marmota marmota) in fase di grattamento. Obiettivo regolato a tutta apertura (f/5,6) e alla minima distanza di messa a fuoco: le condizioni peggiori per metterne alla prova le capacità. Canon Eos-1 Ds Mark II con anello adattatore. Sensibilità di 400 ISO.
Marmotta in riposo. Il Tele-Tessar è stato equipaggiato con moltiplicatore di focale Zeiss Mutar 2x e fissato alla reflex full-frame con anello di raccordo. E’ stato utilizzato un potente flash per illuminare il soggetto evitando tempi di otturazione geologici, dato l’assorbimento di luce del duplicatore (due stop) unito alla non eccezionale luminosità dell’obiettivo. Nonostante l’inevitabile perdita di qualità dovuta al moltiplicatore (pur se blasonato) la fotografia è ancora vendibile.
I GRAFICI, LE CURVE MTF ED UN COMODO ACCESSORIO
Le curve MTF a f/5,6 e f/8 mostrano come già ai diaframmi più aperti l’obiettivo
sia
in grado di riprodurre correttamente le diverse frequenze spaziali.
Curve della caduta di luce ai bordi (a sinistra) e della distorsione (a destra).
Questo anello, prodotto da un fabbricante indipendente, permette di assicurare l’obiettivo al cavalletto mantenendo più equilibrato il sistema. Lo si può trovare in rete digitando “tripod ring hasselblad 350”.