DICIOTTOMILLIMETRI

Ha quasi 35 anni ma non li dimostra. E' nato per la pellicola ma affronta il digitale a testa alta. Ottimo al centro e molto buono ai bordi. Distorsione contenuta. Decisamente superiore a gran parte dei grandangolari più recenti. E' lo Zeiss Distagon 18mm f/4 con attacco Contax/Yashica, che abbiamo utilizzato su una Canon Eos-1 Ds Mark II.

Sopra, il vecchio Distagon 18mm f/4
e il suo schema ottico.
Sotto, il nuovo modello f/3,5 (qui
la versione ZF per Nikon reflex).

Obiettivi blasonati
Da sempre il nome Zeiss è sinonimo di eccellenza. I professionisti e gli amatori che hanno usato e usano sistemi quali Contax, Rollei o Hasselblad sanno di poter contare su strumenti di lavoro affidabili, capaci di fornire in ogni circostanza risultati certi e prevedibili.
Ovviamente anche all'interno di una così blasonata famiglia ci sono esemplari più riusciti ed altri che non sempre raggiungono l'eccellenza assoluta. Non è un mistero, gli esperti lo sanno e usano questa conoscenza a loro vantaggio. Sapendo che alcune ottiche rendono meglio in certe condizioni di ripresa e sono meno brillanti in altre, si cerca di utilizzare ogni singolo obiettivo nella situazione più "giusta".

Un severo banco di prova
Una delle situazioni che più mettono alla prova l'efficienza di un sistema ottico è la fotografia di architettura, specialmente in interni o nelle città d'arte, dove gli spazi sono ridotti.
Il controllo della prospettiva è un'esigenza spesso drammatica per chi non utilizzi apparecchi a corpi mobili. Ed anche in questo caso il grande formato non costituisce necessariamente la soluzione di tutti i problemi. Chi scrive si è trovato spesso in difficoltà nel fotografare facciate di chiese o palazzi anche con supergrandangolari come lo Schneider 58mm XL: il suo eccezionale angolo di campo può essere infatti vanificato da un cerchio di copertura alquanto ridotto (166 millimetri), che non permette di sfruttare appieno tutte le possibilità di movimento dei corpi, anche ricorrendo alla tecnica del decentramento indiretto. Chi poi fotografa con macchine a corpi fissi è ancor più penalizzato. E' vero che si può agevolmente ricorrere a obiettivi decentrabili, ma è anche vero che il grado di decentramento da questi consentito risulta spesso insufficiente (sicuramente inferiore a quello reso possibile da un apparecchio a corpi mobili), senza contare che la lunghezza focale di questi obiettivi (non inferiore ai 24 millimetri) si rivela ancora troppo elevata quando si opera in interni o nelle strette viuzze di un centro storico. In questi casi è più efficace utilizzare obiettivi fissi, ma caratterizzati da un ampio angolo di campo, in grado di abbracciare l'intero soggetto anche se tenuti rigorosamente in bolla. L'eventuale inclusione nell'inquadratura di elementi estranei (ad esempio un'area di selciato in primo piano) può essere risolta in fase di postproduzione, a patto che si disponga di un sensore grande a sufficienza per poter effettuare i dovuti tagli senza ridurre troppo le dimensioni dell'immagine. Normalmente le agenzie di stock e gli editori accettano immagini a partire dai 6 milioni di pixel in su. Questo significa che un'immagine formata da 12 milioni di pixel può subire un "crop" del 50% rimanendo in ogni caso commerciabile, almeno secondo i parametri attuali.
Se da un lato l'uso di un obiettivo supergrandangolare può risolvere il problema dello spazio, consentendo un'ampia inquadratura anche a breve distanza dal soggetto, dall'altro può provocare la deformazione delle linee ortogonali dovuta al fenomeno della distorsione. Come è noto, la distorsione consiste in un incurvamento verso l'interno (distorsione a cuscinetto) o verso l'esterno (distorsione a barilotto) delle linee rette tanto più accentuata quanto più dal centro ci si avvicina ai bordi. E' vero che la distorsione può essere corretta in fase di postproduzione, ma è anche vero che ogni intervento sull'immagine causa un deterioramento dei pixel e un più o meno evidente scadimento qualitativo, con l'insorgere di quegli "artefatti JPEG" che costituiscono la prima causa di rifiuto di una fotografia da parte delle agenzie più serie. Inutile ribadire che una buona immagine digitale nasce al momento della ripresa e che - una volta elaborato il RAW e aperta l'immagine nella finestra di Photoshop - l'unico intervento consentito è il salvataggio nel formato richiesto (stiamo ovviamente parlando di lavori destinati alla stampa tipografica e inviati a clienti professionali, quali editori ed agenzie fotogiornalistiche, e non di fotografie amatoriali destinate a un uso personale o al web). Da quanto detto fin qui appare evidente che la distorsione deve essere corretta in fase di progettazione dell'obiettivo, il che esclude di fatto dalla ripresa di architettura la maggior parte dei grandangoli in commercio. All'interno di casa Zeiss, ad esempio, il livello di distorsione del Distagon 15mm f/3,5 (che potrebbe apparire vantaggioso a causa del suo formidabile angolo di campo) lo rende di fatto inutilizzabile qualora si debbano riprodurre linee ortogonali. Lo stesso dicasi del Distagon 21mm f/2,8, oggi riproposto con attacco ZF per le reflex Nikon e presto disponibile con gli attacchi ZE e ZK per le reflex Canon Eos e Pentax.
Il terzo problema è rappresentato dal mantenimento di un'accettabile nitidezza anche nel controluce. La questione non è di poco conto dato che spesso, nella fotografia in interni, la luce proveniente dalle finestre o dalle fonti di illuminazione artificiale può entrare direttamente nell'area inquadrata, soprattutto se si utilizzano obiettivi dall'ampio angolo di campo. Un trattamento antiriflesso di prim'ordine è indispensabile, non solo per evitare perdite di nitidezza dovute al flare, ma anche per impedire l'insorgere di quelle immagini fantasma del foro del diaframma tanto fastidiose quanto spacciate spesso per "decorative" da chi - come la volpe con l'uva - non è in grado di evitarle. Va inoltre detto che il trattamento antiriflesso serve soprattutto a migliorare la trasmissione della luce, aumentando la quantità di luce rifratta a scapito di quella riflessa, con conseguente aumento del contrasto globale dell'immagine.
Come regola generale, la caduta di luce ai bordi (fisiologica in ogni obiettivo in quanto dipendente dalle leggi dell'ottica geometrica) è tanto più avvertibile quanto più diminuisce la focale. Per questo gli obiettivi grandangolari presentano una differenza di luminanza tra centro e bordi che può raggiungere e superare i due EV. Il Distagon 18mm f/4 non fa eccezione: a tutta apertura la caduta di luce ai bordi è evidente, ma tende a decrescere rapidamente a mano a mano che il diaframma si chiude. A f/8 il fenomeno è quasi inavvertibile. I programmi di elaborazione consentono la correzione del fenomeno. Tuttavia va detto che molti fotografi preferiscono evitare l'assoluta uniformità di illuminazione su tutte le aree dell'immagine. Ricordiamo che la differenza di luminanza tra centro e bordi è talvolta un effetto voluto (in camera oscura si maschera in stampa per "chiudere" l'immagine) con lo scopo di dare risalto al soggetto principale. L'importante è che la differenza si mantenga entro livelli contenuti.

Il vecchio e il nuovo
Tenendo conto delle esigenze fin qui descritte abbiamo sottoposto a un test pratico il Distagon 18mm f/4 con attacco Contax/Yashica, applicato a una Canon Eos-1 Ds Mark II. Tra le full frame di casa Canon, la Eos-1 Ds (nelle sue diverse versioni) è l'unica in grado di accettare un obiettivo del genere. La sorellina minore 5D (anche Mark II) è dotata di uno specchio maggiorato e montato in posizione avanzata, che di fatto impedisce l'uso di alcuni obiettivi Zeiss/Contax, la cui montatura posteriore andrebbe ad interferire con il ribaltamento dello specchio stesso.
Zeiss realizza oggi un Distagon 18mm f/3,5, direttamente derivato dal "vecchio" f/4 e destinato alle reflex Nikon (innesto ZF) e Pentax (innesto ZK). Per ora non è disponibile l'innesto Canon Eos (ZE), che secondo alcuni "rumors" potrebbe essere pronto per la fine del 2009. Il nuovo obiettivo è leggermente più luminoso (f/3,5 anziché f/4) e leggermente più pesante (470 grammi invece che 350 grammi), a fronte di prestazioni che non hanno nulla da invidiare al predecessore "made in Germany". Solo la caduta di luce ai bordi sembra essere più sensibile a tutta apertura (ed è ovvio, dato che l'apertura relativa massima è maggiore nel nuovo modello), ma come già detto il problema si risolve chiudendo il diaframma alle aperture di lavoro.
Un'altra differenza tra il nuovo modello e il vecchio da noi utilizzato consiste nella presenza e nella natura dell'anello di raccordo che permette di applicare filtri e paraluce. Il modello Contax/Yashica non presenta filettature sulla ghiera frontale, per evitare il montaggio di filtri che provocherebbero inevitabilmente una sensibile vignettatura meccanica. A questo scopo veniva fornito un anello di raccordo di forma conica, inseribile a pressione, che permetteva l'applicazione di filtri con filettatura da 86 millimetri, oltre che del paraluce Contax #1. Oggi questo anello di raccordo risulta quasi introvabile sul mercato dell'usato. Nel nuovo modello l'anello di raccordo è entrato a far parte della struttura dell'obiettivo.

L'ultima considerazione, ovvia, è che utilizzando il vecchio 18mm Contax/Yashica con anello adattatore su Canon Eos si perdono sia la preselezione del diaframma (il che impone di lavorare in stop-down) sia la messa a fuoco assistita resa invece possibile dalle nuove ottiche Zeiss ZE. Si tratta di limitazioni praticamente irrilevanti nella fotografia di architettura, quando si lavora su cavalletto curando in modo meticoloso l'inquadratura.

Michele Vacchiano © 04/2009

Le caratteristiche
Nome: Carl Zeiss Distagon T* 18mm f/4
Composizione: 10 lenti in 9 gruppi
Angolo di campo: 100 gradi
Minima distanza di messa a fuoco: circa 30 centimetri
Scala dei diaframmi: da f/4 a f/22 con scatti di uno stop
Diametro filtri: 86mm a vite con anello di raccordo 70/86
Paraluce: Contax #1 (attenzione: rischio di vignettatura!)
Tappo: 70mm a pressione
Peso: 350 grammi
Anno di nascita: 1975

In pratica
Le fotografie che seguono, commentate, mostrano in pratica il comportamento dell'obiettivo in esame, fatte salve le limitazioni che la riduzione per il web comporta.

Sopra a sinistra, torrente nell'alta Val d'Ayas (Valle d'Aosta). La cascatella è alquanto piccola e
insignificante, ma l'esaltazione prospettica tipica dei grandangolari spinti la trasforma in un corso
d'acqua importante, aumentando anche le dimensioni dei sassi in primo piano che diventano
rocce incombenti. A destra, l'ingresso della chiesa di Queige, nel Beaufortain (Savoia).

Steccato. L'esasperazione dei piani prospettici è evidente nell'allontanamento dello sfondo
(la punta innevata a destra nella realtà appare alquanto incombente sul paesaggio) e nell'esaltazione
dello steccato in primo piano, nella realtà piuttosto insignificante.

Il salone d'onore della settecentesca Villa Amoretti, a Torino, al termine della ristrutturazione.
Tanto le finestre quanto le fonti di luce artificiale (lampade alogene) entrano direttamente nell'inquadratura.
Il trattamento antiriflesso Zeiss, giustamente rinomato, unito all'eccellenza dello schema ottico,
contribuisce a mantenere elevato il contrasto generale dell'immagine e ad evitare flare e riflessi parassiti.

Torino. Lingotto. La pista nord. Nel vecchio stabilimento del Lingotto (ora ristrutturato e adibito a funzioni
commerciali, ricreative, espositive e del terziario) la catena di produzione saliva dal basso verso l'alto.
Le auto da collaudare percorrevano questa pista elicoidale (oggi ristrutturata) e - dopo avere percorso
la grande pista parabolica sul tetto dello stabilimento - scendevano dalla pista elicoidale posta a sud
(ancora rimasta nello stato originario), oggi situata dal lato Lingotto Fiere (dove si svolgono varie
manifestazioni tra cui l'annuale Fiera del libro).

Torino. Lingotto. La pista parabolica ristrutturata dall'architetto Renzo Piano. Visibile la piattaforma
per l'atterraggio degli elicotteri e, sullo sfondo, la "bolla" in vetro utilizzata come sala riunioni dei
vertici Fiat. Sullo sfondo, leggermente spostato sulla destra, l'arco olimpico.

La struttura per l'atterraggio degli elicotteri. I cilindri di colore azzurro sono stati voluti dall'architetto
Renzo Piano per ricordare i fumaioli di una grande nave, idea suggerita dalla forma stessa
della pista di collaudo.

L'interno della "bolla" con il tavolo per le riunioni.

Torino. L'arco olimpico, simbolo dei giochi olimpici di Torino 2006. Il complesso architettonico è formato
da una passerella pedonale lunga 400 metri che unisce il villaggio olimpico al centro direzionale del
Lingotto, e che è sorretta da un arco rosso alto 69 metri e lungo 55.