CONTRASTO, RISOLVENZA, VALUTAZIONE DEGLI OBIETTIVI

In una fotografia, l'impressione globale soggettiva di dettagli chiari e distinti si chiama "definizione". Gran parte dell'impressione dei dettagli è data dalla percezione dei bordi degli elementi dell'immagine. Questa percezione si definisce "nitidezza".

Nitidezza delle immagini
La nitidezza (o "percezione di nitidezza, o "nitidezza apparente", ecc.) dipende da parecchi fattori. Alcuni di questi fattori sono misurabili: la risolvenza, il contrasto, l'acutanza; altri non lo sono. Quindi il gradimento di un'immagine è un'impressione psicovisiva che non può essere quantificata con precisione, perché è il risultato della combinazione tra valori oggettivi e valori che non lo sono.

Ciò che maggiormente influenza il nostro occhio nel valutare un'immagine è in parte la presenza di dettagli molto fini e vicini tra loro (risolvenza), in parte la rapidità con cui avviene la variazione di densità tra un elemento e l'altro dell'immagine (nitidezza dei bordi, ovvero acutanza), in parte il grado di differenza di questa densità nelle zone di acutanza simile (cioè il contrasto). Questi tre parametri ci dicono, a grandi linee, cosa vediamo e come lo vediamo, il che ci porta a giudicare visivamente un'immagine (a parte, ovviamente, la bellezza della foto in sé).

Altri fattori che contribuiscono a formare la nostra impressione di nitidezza sono il contrasto del soggetto (cioè la differenza di luminanza tra le sue zone più chiare e quelle più scure), il contrasto della pellicola, la sua grana, il tipo di sviluppo utilizzato, i riflessi interni, le aberrazioni degli obiettivi, eccetera.

Se questo è il discorso generale, tutto sommato abbastanza intuitivo, le cose si fanno un pochino più complicate se si affronta la questione dal punto di vista degli obiettivi. Quando si fa il test di un obiettivo bisogna considerare questo: che l'immagine prodotta non è mai identica a quella di partenza, perché qualunque sistema ottico è soggetto a difetti, i quali rendono l'immagine finale peggiore di quella di partenza. Questi difetti, com'è noto, sono definiti aberrazioni, e non possono essere eliminati tutti contemporaneamente. Ogni progetto di un obiettivo è dunque frutto di compromessi e scelte effettuati dal produttore, che a loro volta dipendono dalla fascia di mercato che egli intende soddisfare (a parte questioni legate al costo del progetto ed al possesso della tecnologia necessaria).

Per decenni si è pensato che la qualità di un obiettivo fosse legata rigorosamente alla sua capacità di riprodurre i dettagli più fini. Ciò spiega perché, per valutare le ottiche, si effettuavano i cosiddetti test del potere risolvente.

Il test del potere risolvente
Il test del potere risolvente è relativamente semplice, e può essere svolto in casa con un minimo di accortenza. Una mira risolvente è semplicemente un foglio di carta con dei gruppi di linee bianche e nere alternate e di finezza crescente. Disponendo la mira ad una certa distanza dall'obiettivo (in genere 30 volte la lunghezza focale), si verifica con un microscopio, direttamente sul piano focale, la coppia di linee più piccole che si è in grado di distinguere. Il reciproco del loro spessore è il potere risolutivo dell'obiettivo. Per esempio se le linee osservabili più sottili hanno uno spessore di 0,02mm, il potere risolutivo è 1/0,02=50 linee per millimetro.

Di questo test esiste una variante: non si contano le linee sul piano focale, ma si espone una pellicola, la si sviluppa e poi si vanno a contare le linee sul negativo, sempre con un microscopio.

Il test della risolvenza viene effettuato fotografando più mire, disposte in ogni porzione del campo inquadrato, a tutti i valori del diaframma, e talvolta anche utilizzando mire di contrasto differente (ma di solito si usa una mira con un contrasto di 1000:1); si ottiene così una gran massa di dati, che talvolta vengono sintetizzati attraverso delle semplici medie ponderate.

Come si vede, questo test ha tre punti deboli: uno è dovuto al fatto che il giudizio finale dipende dall'occhio di un essere umano, il che introduce una notevole variabilità, visto che la resa di un occhio dipende molto dall'affaticamento e dalle condizioni fisiche dell'osservatore (è assai probabile che la risolvenza di un obiettivo ci appaia molto più elevata al mattino che alla sera, dopo una giornata di lavoro...).

Il secondo punto debole è dato dal fatto che se per la valutazione della risolvenza ci si affida ad un negativo, bisogna considerare anche il potere risolvente della pellicola, l'influenza dello sviluppo utilizzato, e così via. Questo vuol dire che affinché i valori di due differenti pellicole siano confrontabili, è necessario che il processo di sviluppo sia stato assolutamente identico in entrambi i test, e questo introduce delle complicazioni tecniche.

Il terzo punto debole, che è il più importante, è dato dal fatto che la qualità di un obiettivo non dipende solo dalla risoluzione massima, ma anche dal contrasto dell'immagine, cioè dalla differenza di luminosità tra le aree chiare e quelle scure.

È stato infatti dimostrato che un'immagine con un'alta risolvenza ma con i bordi dei dettagli sfumati suscita un'impressione di nitidezza inferiore a quella di un'immagine che abbia meno risolvenza ma più contrasto.

La questione, in fondo, è che un obiettivo non è un microscopio: sono sistemi ottici destinati ad usi diversi. Un obiettivo con una risolvenza da record "separerà" le linee più piccole di questo mondo, ma lo farà con un contrasto così basso da renderle ben poco visibili all'occhio umano. I dettagli piccoli sono sì importanti, ma lo è anche il contrasto di tali dettagli, insieme a come vengono riprodotti i loro bordi.

Ecco perché un'immagine ottenuta con un obiettivo dotato di risolvenza elevatissima, ma scarsamente contrastata (cioè "piatta"), è meno preferibile, in genere, di un'immagine ottenuta con un obiettivo meno risolvente ma meglio contrastato: quest'ultima magari ha meno dettagli, ma "si vede meglio", è più incisa.

Contrasto e trasferimento del contrasto
A questo punto facciamo una precisazione. Non bisogna confondere infatti il contrasto puro e semplice con il trasferimento del contrasto. Nel linguaggio comune, per "immagine molto contrastata" indichiamo un'immagine che abbia i colori molto "urlati", e che, in buona sostanza, sia quasi del tutto priva di sfumature (di colore, o di grigi nel caso delle immagini in BN).

Prendete un televisore e regolate il contrasto al massimo: ecco, quella è un'immagine molto contrastata, in cui cioè la riproduzione che noi vediamo (che nel caso della TV è frutto di un sistema di ripresa video) non ha riprodotto gran parte delle sfumature della scena originaria. Ovvero, il trasferimento del contrasto è bassissimo.

Un sistema di ripresa che invece abbia un elevato trasferimento del contrasto, quindi, non produce immagini "molto contrastate" (o meglio: le produce se la scena originaria è di per sé molto contrastata); si potrebbe dire che produce immagini ben contrastate, nel senso che gran parte del contrasto originario è stato riprodotto correttamente.

Il test MTF: cos'è
Le considerazioni sopraesposte in merito all'importanza del contrasto, oltre che della risolvenza, hanno portato la Carl Zeiss, diversi anni fa, ad elaborare un metodo alternativo per la valutazione delle ottiche. Si è pensato infatti di andare a considerare elementi che fossero più importanti per quella che è la capacità visiva dell'occhio umano.

Questo metodo è il noto test MTF, e per spiegarlo occorre chiarire alcuni concetti.

Quando si vuole analizzare la trasmissione di un segnale, si ragiona in termini di "risposta in frequenza"; applicando questa logica alle misurazioni ottiche, ci troviamo ad avere a che fare con dei segnali luminosi, la cui frequenza è in funzione dello spazio (dall'obiettivo alla pellicola, o al piano focale; difatti viene studiata la variazione di intensità del segnale lungo una direzione, ovvero verso il piano focale).

Rispetto alle tipiche misurazioni di altri tipi di onde, in cui si considera la frequenza temporale (tot cicli al secondo, una grandezza che si esprime in Hertz), in questi casi si parla dunque di frequenza spaziale (tot cicli al millimetro, ovvero coppie di linee per millimetro che arrivano sul piano focale).

A questo punto bisogna fare un'altra osservazione di carattere generale. Ogni obiettivo riproduce il soggetto ripreso in un gran numero di "puntini", che sono dei veri e propri circoletti (di dimensioni finite), dai contorni sfumati. Perché i contorni sono sfumati? Primo, per colpa della aberrazioni residue. Secondo, perché ogni circoletto di luce, oltre ad avere la propria intensità luminosa, subisce anche un po' della luce proveniente dai circoletti vicini, perché i vari circoletti dell'immagine sono parzialmente sovrapposti gli uni con gli altri.

Appare chiaro che queste quantità di luce che "debordano" da un circoletto all'altro influenzano la resa dei bordi tra le zone chiare del soggetto e quelle scure. Ma c'è di più: questa influenza è variabile, perché dipende da quanto sono grandi i dettagli della scena ripresa. Vediamo perché. Quando i dettagli sono grossi, i circoletti che ne rappresentano i bordi creano meno "interferenze" di luce verso i circoletti adiacenti; quando invece i dettagli sono fini, le sovrapposizioni di luce aumentano e la dispersione di luce prodotta dai circoletti posizionati sui bordi del soggetto luminoso andrà ad invadere le zone in ombra, riducendo così il contrasto tra le zone scure e le zone chiare dell'immagine.

Ecco perché, man mano che aumenta la frequenza spaziale di un'immagine (cioè man mano che i dettagli del soggetto fotografato diventano sottili), il contrasto diminuisce.

Questo ci porta ad una delle più antiche regole della fabbricazione degli obiettivi: contrasto e risolvenza sono in antitesi, in pratica la versione ottica del noto adagio "non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca".

Questa dispersione di luce, che varia a seconda della frequenza spaziale, come la si misura? Risposta: con la funzione MTF, ovvero Modulation Transfer Function, ovvero Funzione di Trasferimento della Modulazione. ("modulazione" è il termine tecnico per indicare il contrasto).

In breve: la funzione MTF ci dice come varia il contrasto al variare della frequenza spaziale.

Il test MTF: come si fa
Vediamo come si effettua un test MTF. Nello spiegare il test del potere risolvente abbiamo accennato alle mire; in particolare, alle "mire per potere risolvente": ebbene, esistono anche le mire sinusoidali. Abbiamo detto che una mira per potere risolvente è costituita da righe bianche e nere alternate: quindi in alcuni punti della mira ci sono delle linee, in altri no. Ora, una mira sinusoidale è simile, solo che non c'è questa differenza secca tra uno "spazio" (linea bianca) ed un "pieno" (linea nera): i valori sono mutevoli e continui. In pratica è un insieme di strisce dal contrasto variabile, e di frequenza crescente.

Volendo fare un paragone, una mira risolvente è come un interruttore, è "accesa" o "spenta"; una mira sinusoidale invece è assimilabile al flusso d'acqua di un rubinetto: da zero millilitri per secondo fino a tot ml per secondo, passando per un'infinità di valori intermedi.

Dunque: in una mira risolvente la frequenza è data dalle linee per millimetro, in una mira sinusoidale dai cicli per millimetro (un ciclo è un'onda sinusoidale completa).

Perché usare mire sinusoidali?

Poiché, infatti, man mano che la nitidezza dell'immagine cala gli obiettivi tendono a produrre delle onde sinusoidali, accade che, se si usa una mira risolvente, quando le linee diventano troppo sottili (ovvero quando il dettaglio da riprodurre è molto fine) non è più possibile misurare la perdita di contrasto; perché, appunto, l'ingrandimento estremo di queste linee ipersottili ci farebbe trovare di fronte a delle onde sinusoidali.

Se invece il soggetto di partenza non è una linea, ma proprio un'onda sinusoidale, ecco che la perdita di contrasto diviene una misura diretta della capacità dell'obiettivo di registrare il dettaglio fine.

Riproducendo una mira, avremo un calo del contrasto (della modulazione…) tra le linee chiare e quelle scure; come detto, questa perdita di contrasto aumenta man mano che sale la frequenza delle linee. Esaminando sul piano focale, con un microdensitometro, le linee riprodotte, si ottengono i valori delle intensità luminose che l'obiettivo è in grado di (ri)produrre lungo l'intero arco delle frequenze esaminate.

Queste immagini sulle mire, queste successioni di linee bianche e nere che sfumano le une nelle altre, sono fatte in modo che la loro brillanza (cioè la quantità di luce emessa per unità di superficie) varii come una sinusoide. Le caratteristiche di tali onde sono due: la frequenza e l'ampiezza. La frequenza è una frequenza nello spazio, ed indica quante sinusoidi sono presenti in un millimetro. L'ampiezza della sinusoide è l'ampiezza della modulazione, ovvero la differenza di luminosità tra aree chiare ed aree scure: l'ampiezza, in pratica, ci dice il contrasto dell'obiettivo.

Come abbiamo detto fino alla nausea, nella riproduzione la mira di partenza (l'immagine a brillanza sinusoidale) viene alterata, in genere nella sua ampiezza di modulazione, e questa "alterazione" non è costante, bensì dipende anche dalla frequenza spaziale.

Mettendo a confronto i valori ottenuti con quelli originari della scena, si calcola quale sia stata la perdita di modulazione. Ovvero, analizzando una sinusoide, si calcola la sua modulazione, M, che è pari alla brillanza massima meno la minima diviso la somma delle due:

M = (Bmax - Bmin) / (Bmax + Bmin)

Il trasferimento di modulazione, T, è pari a:

M finale / M iniziale (dove "M iniziale" è il contrasto della mira).

T ci indica dunque il contrasto trasferito sull'immagine finale, per un dato valore di frequenza spaziale.

Riportando su un grafico il valore di T per ogni frequenza spaziale, abbiamo una misura sintetica del contrasto e della risolvenza; questa misura si chiama, guarda un po', "curva MTF", o "funzione di trasferimento della modulazione".

Come leggere questa curva? Diamo due indicazioni generali. Uno: più è alta, meglio è. Due: più è piatta, meglio è. Se la curva è alta per le frequenze spaziali più elevate (leggasi: dettagli più fini), vuol dire che l'ottica ha un elevato potere risolvente; se invece è più alta per le basse frequenze spaziali (e poi cala), l'obiettivo ha un contrasto più elevato (ovvero, si ricordi quanto detto a proposito della televisione, trasferisce una elevata percentuale delle sfumature originarie della scena).

Due ulteriori consigli: il primo è quello di badare ai grafici e non ai commenti dei redattori; il redattore può avere appena ricevuto l'estratto conto della sua carta di credito e per ciò solo malmenare un obiettivo dignitosissimo. I grafici invece sono inoppugnabili e non sono suscettibili di interpretazioni umorali. È fin troppo frequente vedere su alcune riviste come obiettivi dalle curve MTF praticamente sovrapponibili ricevano giudizi decisamente differenti.

Il secondo consiglio è quello di essere cauti nel confrontare test MTF realizzati da laboratori differenti; questo perché le condizioni di partenza possono essere diverse (si legga la conclusione di questo articolo per ulteriori dettagli).

Conclusioni
Un test MTF richiede, oltre che notevoli competenze specifiche, anche un'attrezzatura dedicata; non è certo alla portata di chiunque. D'altra parte un test scientifico o è fatto con i dovuti crismi (condizioni dichiarate, riproducibili, e così via), oppure non è un test scientifico, è solo una gran perdita di tempo e non serve a nulla né a chi lo fa né a chi lo legge.

Normalmente i test MTF sono appannaggio delle riviste specializzate, le quali o li effettuano in proprio o si appoggiano a strutture esterne. Per esempio il Centro Studi Progresso Fotografico realizza i test per le testate "Progresso Fotografico " e "Tutti Fotografi"; la rivista "Reflex", invece, si affida ai test della TIPA (che non è una loro amica, bensì la Technical Press Image Association, un'associazione che raccoglie numerose riviste specializzate di tutta Europa), realizzati presso i laboratori Victor Hasselblad in Svezia.

Solitamente i test vengono effettuati a tutta apertura e ad un diaframma intermedio (f/5.6 o f/8); provare gli obiettivi a tutte le aperture disponibili complicherebbe enormemente la lettura dei dati, senza peraltro fornire molta informazione in più: la tutta apertura ed il classico f/8 sono, in linea teorica, rispettivamene la peggiore e la migliore resa degli obiettivi, e ciò è più che sufficiente per poterli valutare e confrontare. Allo stesso modo, i test riguardano sia la porzione centrale del fotogramma che i bordi.

In pratica, se si volesse testare come si deve un obiettivo in tutte le condizioni possibili andrebbero fatti qualcosa come 1200 test per ogni ottica: decisamente improponibile. Questo spiega perché ogni laboratorio pone delle premesse generali su come effettua i test, e spiega anche perché talvolta possano sorgere delle discrepanze tra test MTF della stessa ottica effettuati da due strutture diverse: ciò è dovuto alle differenze nelle condizioni di partenza e/o ai differenti metodi che il laboratorio ha poi usato per sintetizzare i risultati, al fine di proporre ai lettori della rivista un test che occupi tre pagine e non un'intera annata della pubblicazione.

Una curva MTF ci fornisce contemporaneamente sia informazioni sul potere risolvente di un obiettivo (come si fa con i test delle mire a potere risolvente), sia informazioni sul contrasto dell'immagine riprodotta, al variare della frequenza spaziale. Il MTF è quindi strettamente legato alla "qualità estetica" dell'immagine; il potere risolvente, invece, ci dice solo cosa vedremo, ma non come lo vedremo.

Non si tratta, attenzione, di tutto ciò che bisogna sapere per giudicare un obiettivo: esistono molti altri parametri che possono, anzi devono essere tenuti in conto nel decidere per un obiettivo piuttosto che per un altro. Gli scaffali dell'usato dei negozi sono zeppi di ottiche che ai test MTF hanno brillato e poi alla prova sul campo si sono rivelate modeste. Volendo comunque rimanere nel campo della qualità misurabile, i test MTF sono attualmente lo strumento più potente e più informativo che abbiamo a disposizione.

Altre informazioni sui test MTF e sulle valutazioni degli obiettivi si trovano nello "Speciale Obiettivi ed MTF"

Agostino Maiello © 1999
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