Il Tamron 90 SP Macro F/2.5 è un ottimo obiettivo universale adatto ad un uso generico ed alla macrofotografia. Grazie alla sua elevata luminosità è in grado anche di ottenere un ottimo sfocato.
Il Tamron 90/2.5 compreso di anello adattatore. Al massimo rapporto di ingrandimento 1:2 a sinistra ed all'infinito a destra.
All'inizio degli anni '80 gli zoom erano ancora poco diffusi: costavano troppo per le prestazioni che fornivano (davvero mediocri) ed un misero zoom 2x era grosso, pesante e poco luminoso. Non c'era davvero nessun motivo per preferire un 40-80 (i 35-70 sono arrivati in seguito) al solito cinquantino standard, luminoso, leggero e di ottima qualità. Non che oggi uno zoom 28-80 standard valga molto di più, ma in compenso è piccolo e leggero (la qualità a volte è anche peggiore di quella di circa 20 anni fa ma c'è da dire che le reflex entry level di oggi sono rivolte ad un mercato piu' amatoriale).
Allora, come oggi, il solo 50mm non bastava ed era normale l'acquisto del 28mm e del 135mm: con questi tre obiettivi, solitamente di qualità più che dignitosa e sempre di elevata luminosità, si poteva affrontare il mondo. Una variante sul tema, o un obiettivo in più, era costituita dal "mezzo tele", nome col quale era identificato qualsiasi obiettivo di focale compresa tra gli 85 ed i 100mm (a parte qualche eccezione come il 105 Nikon).
Una gustosa opportunità in più arrivò coi tele-macro, in genere obiettivi di ottima qualità anche se universali, ed uno di questi è l'oggetto della nostra prova.
Il Tamron 90/2.5 SP Macro (state leggendo bene, F/2.5, non è un errore di battitura) è stato uno dei primi universali di qualità superiore: la serie SP (Super Performance) si distingueva proprio per le caratteristiche di ottima qualità ottica e meccanica ed anche il prezzo è sempre stato superiore alla media.
La prima versione del Tamron 90 SP - quella in foto - era F/2.5 e non F/2.8, ma arrivava "solo" al rapporto d'ingrandimento di 1:2 senza bisogno di nessun accessorio mentre oggi arriva ad un esaltante 1:1. Un vero obiettivo macro ben rifinito, molto compatto ma pesante: dava l'impressione di essere "tutto pieno" e la sensazione era piacevole e dava l'idea di avere tra le mani un prodotto di qualità.
Sempre la prima versione aveva un design decisamente "Leica style" e persino le scritte sul barilotto erano incise e non semplicemente serigrafate come oggi: il tutto, e' ovvio, era di robusto metallo. OK, un obiettivo non nasce per "giocarci" sul tavolo ma era doveroso segnalare la bontà di realizzazione del tutto, pari a quella dei migliori obiettivi dell'epoca (oggi la stessa qualità costruttiva si trova solo in casa Zeiss e Leitz).
Il Tamron 90 SP F/2.5 era della serie Adaptall, vale a dire che, grazie ad una serie di anelli adattatori venduti a parte, poteva essere montato su moltissime reflex di marche diverse, una vera comodità avendo due corredi diversi. Gli zoccoli Adaptall, nonostante l'impressione di una eccessiva macchinosità, non mi hanno mai dato problemi e la trasmissione degli automatismi del diaframma è sempre stata precisa in tutti gli obiettivi che ho avuto modo di provare nel corso degli anni.
Una banale foto ai gerani di casa: la brillantezza e la pulizia dell'immagine del Tamron 90 sono evidenti nonostante la scansione e le ridotte dimensioni della foto.
Comprai il Tamron 90 SP macro F/2.5 incuriosito da una serie di prove lette sulle riviste: la nitidezza era giudicata sempre eccellente anche a tutta apertura ed era paragonabile, talvolta superiore, a quella del mitico MicroNikkor 55/3.5. Sono il primo a sostenere che la risolvenza non è tutto, ma un obiettivo così era davvero da record e poteva rispondere ad una serie di mie esigenze dell'epoca.
IN PRATICA
Il Tamron 90/2.5 SP non fu una delusione ma una continua serie di conferme e la piacevole scoperta di un obiettivo versatile e di grande qualità. È stato grazie a lui che mi sono innamorato della focale del "tele da ritratto" (circa 85-100mm) ed ancora oggi continua ad essere la mia focale preferita. La definizione era davvero eccellente, uniforme tra centro e bordi e molto costante a tutti i diaframmi. Il contrasto era molto brillante e consentiva di ottenere diapositive dai colori saturi e brillanti senza dover ricorrere a trucchetti quali la sottoesposizione o l'uso di pellicole diapositive supersature come le Fuji Velvia.
La massima apertura, elevata per la categoria, consente di isolare il soggetto dallo sfondo, mentre la lunghezza focale, maggiore rispetto al solito 50-60 macro, consente di restare ad una distanza maggiore dal soggetto (in alcuni casi, oltre che disturbarlo, potremmo anche fargli ombra).
UN OBIETTIVO SENZA PECCHE?
Purtroppo no. Per le mie esigenze personali e per il mio modo di fotografare, ha due grossi difetti che mi hanno costretto a sostituirlo seppur con qualche rimpianto.
1) La correzione della distorsione non è eccezionale e, riproducendo dei disegni o fotografando architettura, la distorsione a barilotto era evidente. Non era eccessiva ma era visibile. Nessun problema se si fotografano solo fiori, insetti e dettagli naturali.
2) Il trattamento antiriflessi, nonostante il tanto decantato trattamento BBAR, non è eccezionale. Purtroppo il mio termine di paragone sono gli obiettivi Zeiss: mi rendo conto di come il confronto sia scorretto - il trattamento antiriflessi del Tamron non è peggiore di quello di tanti altri fabbricanti - ma con gli anni ho preferito sempre di più fotografare con luci difficili, quasi sempre in controluce, ed il Tamron si velava troppo e non regge certo il sole nell'inquadratura, magari sfocato dietro al fiorellino che stiamo fotografando.
Dal campo lungo (si fa per dire, siamo in ogni caso al di sotto della distanza minima di messa a fuoco di un normale mezzotele) al massimo rapporto di ingrandimento di 1:2 (i nuovi modelli arrivano ad 1:1).
Finora ho parlato sempre al passato perché il Tamron in oggetto era della prima serie (inizio anni '80). Lo vendetti per comprare il 105 macro Vivitar Serie 1 che arrivava al rapporto 1:1. Pagai caro il "tradimento": non solo il Vivitar era molto più grosso, ingombrante e pesante, ma la cosa peggiore era la sua resa ottica, davvero deludente. Non mi riferisco alla risolvenza, comunque notevole, ma alla resa generale con le diapositive: i colori erano sempre spenti e le foto piatte. Era impossibile unire in una diaproiezione le dia scattate con il Vivitar insieme a quelle scattate con gli Zeiss mentre col Tamron questo problema non si era mai posto. Dopo qualche mese di prove tornai al Tamron 90 SP, questa volta la seconda serie F/2.8, cambiandolo nel corso degli anni con varie versioni più aggiornate. A mio avviso le ultime non sono affatto migliori delle prime, anzi, forse sono lievemente inferiori. Anche la qualità della realizzazione non è più la stessa e l'obiettivo, sebbene sempre ben costruito, è più leggero e plasticoso: sarà questione di gusti ma a me piacevano la solida compattezza delle prime versioni ed il look quasi teutonico.
CONCLUSIONI
Se vi serve un obiettivo macro e non dovete riprodurre progetti e disegni, il Tamron 90 SP Macro è un obiettivo da prendere seriamente in considerazione, soprattutto trovando d'occasione una delle prime versioni. Difficile ottenere di più per quel prezzo.
La massima apertura di F/2.5 consente di scattare a mano libera anche a luce ambiente (le foto che accompagnano questo articolo sono state scattate tutte con la sola luce della finestra e pellicola invertibile da 100 ISO) e di isolare il soggetto dallo sfondo.
Lo sfocato del Tamron 90 è decisamente gradevole ed al di sopra della media della scuola giapponese.
Per saperne di più sul contributo dello sfocato ed il bokeh, consiglio di leggere questo articolo su Nadir.
Rino Giardiello © 03/2000
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