Sabato 31 marzo mi sono svegliato di buon mattino.
A Torino il cielo era limpido e il sole si era già affacciato da dietro la collina per inondare di luce e calore la vite vergine che sul mio piccolo terrazzo nascosto si era da poco ricoperta delle prime foglioline.
Che volete, il sole di primavera mi mette sempre di buon umore e mi rende poetico. Anche perché avrei dedicato l’intera giornata a viaggiare e a fotografare (due attività tra le mie preferite), approfittando dell’occasione per mettere alla prova il nuovo 28 millimetri ricevuto due giorni prima.
Frantoio da olio davanti al Museo della civiltà dell’olivo.
A destra, il
ritaglio al 100% di un particolare centrale della foto precedente.
Il Phase One Digital AF 28mm f/4,5 Aspherical (ormai è una prassi quella di battezzare gli obiettivi con una quantità di nomi degna di un hidalgo spagnolo) è un obiettivo supergrandangolare destinato al medio formato. Sul formato 4,5×6 (area utile 41,5×56 millimetri) ha un angolo di campo paragonabile a quello di un 17 millimetri sul formato Leica. Il dorso digitale P45+ da me utilizzato ha una superficie di acquisizione un po’ più piccola: 36,8×49,1 millimetri, il che restringe l’angolo di campo utile dell’obiettivo, rendendolo simile a quello di un 19 millimetri sul formato 24×36. Rimane comunque un bel grandangolo, non certo leggero (886 grammi) né poco appariscente: 15 centimetri di lunghezza per 9 di diametro, paraluce compreso.
L’esterno dell’abside della cattedrale di san Michele. Con una focale di questo genere il pericolo delle verticali convergenti è sempre in agguato: basta inclinare di poco la camera verso l’alto per perdere il parallelismo tra soggetto e piano focale e indurre l’odioso effetto-piramide. A destra:
in un caso come questo nessuna correzione a posteriori è possibile se non alterando pesantemente le proporzioni dei soggetti.
Del resto, lo spazio ridotto davanti al soggetto non permetteva di riprendere più da lontano.
Sono situazioni, queste, che fanno rimpiangere il banco ottico!
Decido perciò di regalarmi una giornata al mare con la famiglia, unendo così l’utile al dilettevole.
Parto leggero (si fa per dire, visto che stiamo parlando di medio formato), con la Phase One 645DF, il normale Schneider da 80 millimetri e il nuovo 28 millimetri. Una batteria di ricambio per il dorso, una scheda di memoria generosa (si fa in fretta a riempirla con dei RAW da 45 Megabyte) e uno zainetto per contenere il tutto.
Niente cavalletto, contrariamente alle mie abitudini, sia perché viaggiando con la famiglia non volevo perdere (e far perdere) troppo tempo, sia perché con un sole del genere sarei comunque riuscito ad assicurarmi tempi di otturazione ragionevolmente rapidi.
Come dico sempre ai miei allievi, se non puoi eliminare le verticali convergenti, allora esagerale. Qui un
punto di ripresa centrale rispetto alle tre torri medioevali ha trasformato la prospettiva esagerata in una
composizione grafica. Ciò che ne risulta può piacere o non piacere (sicuramente i puristi arricceranno
il naso), ma almeno chi guarda capisce che è un effetto voluto e non un errore.
Ma le brutte sorprese sono sempre in agguato e colpiscono inaspettatamente.
Dopo avere attraversato le colline delle Langhe, inondate di una luce quasi estiva, iniziamo ad affrontare il tratto appenninico dell’autostrada per Savona. Qui, usciti da una galleria poco oltre Montezemolo, ci troviamo scaraventati in un altro mondo: nuvole basse, freddo, una pioggerellina sottile e gelida che sembra scaturire – più che scendere – da quella densa caligine. La cosa non mi preoccupa più di tanto: dopotutto ci troviamo in montagna e sullo spartiacque tra Piemonte e Liguria è frequente trovare maltempo.
Ma la situazione non migliora. Quando avvistiamo dall’alto le gigantesche ciminiere gemelle della centrale Enel di Savona la domanda di mio figlio Federico ha il sapore di una sentenza inappellabile: “Ma al mare fa sempre così brutto?”
Arrivati ad Albenga parcheggiamo a pochi passi dal centro storico. L’idea è quella di visitare la città medioevale, con la cattedrale e il battistero paleocristiano, e i musei, primo fra tutti il Museo navale, contenente i resti della prima nave oneraria romana scoperta ed esplorata sul fondo del Tirreno. Nel museo sono conservati pezzi originali della nave e diverse centinaia di anfore di vino e olio che la nave trasportava.
La temperatura è quasi invernale ed io, partito da Torino con indosso una polo leggera, sono costretto ad ammettere che Claudia aveva ragione invitandomi a mettere nello zaino una felpa, “perché non si sa mai”…La luce è pessima e per fotografare sono costretto ad appoggiarmi ai muri e agli stipiti delle porte.
Devo aumentare la sensibilità del sensore a 400 ISO, un accorgimento che non causerebbe problemi di sorta a una moderna reflex di piccolo formato, ma che si rivela una pessima idea per un sensore di medio formato, dove i risultati migliori si ottengono a 50 ISO e la cui sensibilità massima non supera gli 800!
Ma in questo modo, almeno, posso assicurarmi tempi di otturazione inferiori a un centesimo di secondo.
Uso tutti gli accorgimenti possibili per limitare il mosso, ma non è facile lavorare con lo specchio sollevato e un paio di secondi di autoscatto quando stai schiacciando con tutte le tue forze un attrezzo da due chili e mezzo contro lo spigolo di un muro!
Il Vicolo degli Artisti, dove quadri e tavole appese ai muri si alternano a murales e porte dipinte. Come descritto nel testo, la fotografia ha richiesto 4 secondi a f/11, con la base della macchina premuta contro il muro. A destra, la piazza san Michele e la cattedrale. Sullo sfondo l’imbocco di via Bernardo Ricci. Questa volta la distanza di ripresa mi ha concesso di tenere la macchina “in bolla” evitando le verticali convergenti.
Qualcuno a questo punto potrà pensare che sono esageratamente apprensivo: “Dopo tutto – dirà – stavi lavorando in medio formato, su un fotogramma di dimensioni così grandi da minimizzare un eventuale micromosso; stavi usando un grandangolo e tempi di otturazione rapidissimi. Con un 28 millimetri si può fotografare a mano libera anche con un trentesimo, no?”
No.
Quella del tempo di otturazione reciproco della lunghezza focale è una bufala bella e buona. Funziona (ma solo in teoria) se si stampa la foto in “formato cartolina”, ma appena la si ingrandisce un po’ le magagne saltano fuori.
E in questo caso le magagne si chiamano micromosso.
Il digitale ci permette di toccare con mano il fenomeno.
Provate a riprendere lo stesso soggetto in due modi: il primo con macchina sul cavalletto, specchio sollevato e autoscatto (o scatto flessibile); il secondo con macchina tenuta a mano libera e tempo di otturazione scelto in base alla “regola” del reciproco della lunghezza focale (o anche più rapido, non importa). Certo, sul display della reflex non noterete differenze, ma quando scaricherete le immagini sul PC e le osserverete sullo schermo portandole al 100%, quella scattata a mano libera (anche con tempi molto rapidi) avrà qualcosa che non convince. Non è detto che appaia clamorosamente mossa, ma rispetto all’altra (quella su cavalletto) sembrerà meno nitida e incisa. E allora dovrete andare giù pesanti di maschera di contrasto per renderla accettabile, con l’unico risultato di deteriorare i pixel e creare artefatti Jpeg. Ai dilettanti che si lamentano della resa dei loro zoom economici io consiglio sempre di provare il cavalletto. Chi usa a mano libera il 18-55 che correda la sua reflex, col diaframma tutto aperto e 1/30 di secondo perché c’è poca luce, non può poi incolpare l’obiettivo se l’immagine appare poco contrastata!
Riprendo la cattedrale e il battistero, dall’esterno perché all’interno è vietato fotografare. Senza alcuna speranza di ricevere una risposta sensata ne chiedo il motivo all’impiegata della biglietteria e come da prassi – ça va sans dire – ottengo spiegazioni fumose.
Sarebbe davvero ora di smetterla con questo malcostume tutto italiano: a chi serve una simile normativa, se non a far pesare il potere di una burocrazia ormai anacronistica e priva di contenuti? Un tempo si poteva accampare la scusa del copyright sulla vendita delle cartoline e delle diapositive in striscia (ricordate le famigerate “filmine”?), ma adesso che concorrenza sleale possono temere i direttori di musei e soprintendenze? Chi mai acquista ancora le loro cartoline, dato che le stesse immagini si possono trovare senza pagare un centesimo con una semplice ricerca in rete?
Penso alla libertà di fotografare, anche col cavalletto, che assaporo frequentando la Francia e i suoi luoghi d’arte, dove se chiedi il permesso di usare il cavalletto si stupiscono per questo tuo scrupolo esagerato…
Almeno per strada nessuno mi dice niente (come invece era avvenuto a Vigevano, dove un solerte vigile urbano si era insospettito vedendomi riprendere la Piazza Ducale con un’attrezzatura – secondo lui – troppo “professionale”), e posso liberamente cercare le inquadrature che più mi ispirano.
Fotografo il Vicolo degli Artisti (quattro secondi a f/11 con la povera Phase One schiacciata contro un muro di ruvido cemento!), con i suoi murales e i suoi quadri, e anche un torchio da olio davanti al frantoio Sommariva, sede del Museo della civiltà dell’olivo.
Tornato a casa e scaricata la scheda di memoria, ho provato a trattare le immagini tanto con il software proprietario Capture One quanto con Adobe Camera Raw, la cui ultima versione (6.6, compatibile solo con Photoshop CS5) riconosce anche gli obiettivi Phase One e ne corregge i difetti, in particolare distorsione e aberrazione cromatica. Di fatto non noto differenze qualitative nelle immagini ottenute con i due sistemi.
Nell'articolo, alcuni esempi della resa del 28mm Phase One, ovviamente penalizzati dalla riduzione per il web ma – spero – interessanti.
Michele Vacchiano © 04/2012
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