La Nikon S2 con Nikkor 8,5cm f/2, risalente alla metà degli anni Cinquanta, affidabile compagna in quota sino a 3200 metri sui ghiacciai della Stubai Tal.
Nel 1964, risalendo la valle del Piave per recarmi con la mia famiglia in Cadore per le tradizionali vacanze estive, mi imbattei, forse per la prima volta in vita mia, con il definitivo e l’ineluttabile. All’altezza della grande diga del Vajont, che troneggiava intatta sulla stretta gola di roccia, il paesaggio era diventato una piana di fango e detriti, e il paese di Longarone era scomparso. Solo 9 mesi prima la tragedia aveva cancellato quel tratto di paesaggio, portandosi via centinaia di persone: ricordo distintamente che sentii quel senso di spaesamento che si prova quando ci si trova davanti ad un fatto che non si può più cambiare, definitivo nella sua potenza distruttiva.
La stessa sensazione che ho riprovato pochi anni fa di fronte agli effetti distruttivi della tempesta Vaia: migliaia di alberi abbattuti, intere pendici di monti coperte di tronchi distesi sul terreno, come falciati dalla gigantesca mano di un gigante che spazza via piccoli stuzzicadenti. Una distruzione colossale di esseri viventi, angosciante e ineluttabile.
Nel corso degli anni ho percorso quasi tutti i ghiacciai delle Alpi e molti altri nel Nord Europa e in Canada: il bellissimo Morterasch dell’Engadina, il lunghissimo Aletch nell’Oberland Bernese, quelli aggrovigliati del Bianco, naturalmente quelli dolomitici della Marmolada e della Fradusta, e quello amatissimo di Verra, sul Monte Rosa. La sensazione di purezza e libertà provate sul grande ghiacciaio di Verra, al cospetto dei quattromila del Rosa, simili a una gigantesca cattedrale della natura, mi hanno portato ad una specie di comunione con questo mondo minerale, apparentemente inerte, ma vivo nel suo scivolare perennemente verso valle e ora purtroppo destinato ad un ridimensionamento forse ineluttabile. I seracchi, i crepacci, le colate glaciali, le valanghe, le cornici di ghiaccio, sono tutti termini che cadranno in disuso?
Questi sono i pensieri che mi corrono nella mente mentre osservo il paesaggio sottostante alla Funivia del Ghiacciai (Gletcher Seilbahn in tedesco), che ormai non è più tale, se non di nome.
La fotocamera
La mia compagna in quota è una bellissima Nikon S2 in finitura nera completa di Nikkor 8,5cm f/2: anche l’aria fresca e rarefatta del 3200 metri di altezza non sembra intimorire troppo questa fotocamera, simbolo della primissima produzione della Nippon Kogaku. Risalente alla metà degli anni Cinquanta e costruita in un migliaio di pezzi con verniciatura nera in due versioni diverse, rappresenta un importante step evolutivo della famiglia Nikon a telemetro: primo apparecchio nipponico, in assoluto, dotato di leva di carica e prima Nikon con tempi spaziati secondo la scala internazionale. Formato 24x36mm, mentre la precedente Nikon S possedeva ancora un formato 24x32mm. Il contafotogrammi, manuale, va riposizionato ogni volta che si carica un nuovo rullino. La leva di carica funziona ancora correttamente, precisa e progressiva, il telemetro è abbastanza pulito e visibile, anche se non è possibile nessun paragone con le contemporanee Leica M3/2, il cui telemetro risulta inarrivabile. L’argentatura dello specchio non è purtroppo allo stesso livello, né la grandezza del telemetro stesso, tuttavia è abbastanza visibile e preciso. Bisogna rimarcare che il mirino risulta abbastanza luminoso, con un ingrandimento 1:1, ma senza correzione della parallasse e adatto solo alla focale di 5cm. Per usare altre focali occorre utilizzare un mirino esterno. I tempi utilizzati sono stati sempre quelli veloci, perché la luminosità dei tremila metri, in una giornata perfetta, era notevole: la sensazione è che fossero leggermente più lenti del dichiarato, portando una piccola ma evidente sovraesposizione.
Qui occorre una precisazione: gli otturatori a tendina degli anni Cinquanta spesso possiedono tempi di esposizione non precisi, specie quelli veloci: la taratura della tendina può aiutare ma spesso, dopo qualche rullo, i tempi tornano ad essere più lenti del dichiarato. Questo è uno dei motivi del grande successo nel dopoguerra degli apparecchi ad otturatore centrale, come Rollei, Contaflex, Retina, Bessamatic, ecc. Complessivamente la Nikon S2, caricata con la nota Fuji Provia 100 ASA, si è comportata molto bene, compatta quanto basta da stare con l’ottica nella tasca della giacca, comoda da utilizzare, anche grazie all’assenza dell’ingombrante pentaprisma.
L’obiettivo
Il Nikkor 8,5cm f/2 (tutte le focali Nikkor per il sistema a telemetro possiedono la lunghezza focale espressa in centimetri) è da sempre considerato una delle migliori ottiche del sistema Nikon a telemetro: risalente a 1948, ovvero all’inizio dell’avventura fotografica della NK, è molto simile allo Zeiss contemporaneo per Contax a telemetro, ma presente solo 5 lenti divise in 3 gruppi: purtroppo mi mancava il prezioso paraluce, quasi introvabile. Ho usato chiaramente, data la situazione di luminosità, solo i diaframmi da f/8 a f/11: il Nikkor ha evidenziato le note doti di contrasto ed incisione, veramente buone per un’ottica del primo dopoguerra, (e su questa importante considerazione si basa qualunque giudizio), doti che lo hanno fatto apprezzare sin dalla sua uscita sul mercato. Colori sfumati e pittorici. Una nota critica nell’uso delle ottiche Nikkor risiede nel fatto che, manovrando la ghiera dei diaframmi, si sposta anche quella della messa a fuoco: occorre pertanto impostare prima il diaframma desiderato e dopo traguardare col telemetro il soggetto, per non ritrovarsi immagini fuori fuoco. Ho avvertito anche la mancanza di un filtro UV: la forte presenza in quota di raggi ultravioletti e il trattamento antiriflesso ancora molto primitivo (a soli 3 strati, di derivazione Zeiss anteguerra) ha portato spesso ad una forte dominanza azzurra. Comunque a mio parere, più un’ottica per negativo colore e per ritratti che per diapositive e paesaggi per gli scarsi contrasto e incisione.
Sicuramente col Nikkor 10,5/2,5, è da considerarsi la migliore scelta, nei mediotele, per le Nikon a telemetro, a mio parere superiore al 13,5cm, per resa ma anche luminosità e maneggevolezza complessiva. Da notare che il complesso Nikon da me utilizzato finisce per pesare 900g circa, vista l’accurata costruzione tutta in metallo, tipica dell’epoca.
Sono tornato da questa escursione con una notevole dose di amaro in bocca, perché di fronte alle esclamazioni di meraviglia e stupore dei miei compagni di viaggio non sapevo se ridere o piangere: ridere perché indicavano ghiacciai ormai dichiaratamente morenti e piangere per assistere in diretta a questa, ineluttabile, e per me dolorosissima, fine.
Certo i cambiamenti climatici si sono succeduti sempre sul nostro pianeta, e le piccole età glaciali sono documentate sia nel Settecento come pure tra le due Guerre Mondiali: ma non sono certo che potremo rivederle a breve.
Mi rimane il pacere di aver di nuovo utilizzato, dopo tanto tempo, un sistema fotografico che mi ha sempre affascinato, tanto che rimango l’unico autore italiano ad aver illustrato l’intero sistema Nikon a telemetro nel mio Nikon Story. Infine una considerazione tecnica: se a mio parere il paragone con Leica M è abbastanza improponibile, troppa la differenza qualitativa (e all’epoca di prezzo), specie nella costruzione del telemetro con cornicette mobili (la successiva S3 presenta le cornicette per 3 ottiche, ma fisse), con la contemporanea Contax IIa il paragone si fa più sfumato: la presenza della leva di carica e l’otturatore a tendina, molto più semplice da revisionare rispetto a quello a saracinesca della Contax, donano alla Nikon una marcia in più, che ne fa una temibile concorrente, visto che l’innesto a baionetta è compatibile tra entrambe.
Una bella sfida che mi ha ripagato, fotograficamente, di altre delusioni, forse ineluttabili.
Pierpaolo Ghisetti © 04/2024
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Ghiacciai delle Alpi, d’altri tempi
Fradusta, Pale, Dolomiti
Gorner, Monte Rosa
Aletch, Oberland Bernese
Morterach, Bernina, Engadina
Sulle fotocamere Nikon a telemetro si può leggerne la storia qui
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