Le dimensioni del 16-85 (primo a sinistra) a confronto con altri due zoom Nikon:
l'AF-D 28-105 3,5/4,5 (al centro), e l'AF-S 24-85 3,4/4,5 (a destra). Si osservi il cambio di politica per quanto riguarda la posizione delle ghiere: nell'ottica più anziana la ghiera di messa a fuoco è frontale, mentre negli zoom AF-S le posizioni sono invertite. Nessun problema per chi usa solo l'autofocus, ma chi ha un corredo misto e focheggia a mano potrebbe trovarsi in difficoltà. A destra: L'ottica in posizione “tutto dentro” e
“tutto fuori”: l'estensione è notevole, e si nota la struttura a doppia camma.
In mano
È un mezzo chilo scarso di lente ben realizzata, con costruzione interna in metallo e struttura esterna in policarbonato; quindi di plastica, ma non "plasticoso" come sensazione alla manipolazione; soprattutto non presenta giochi, i movimenti sono stabili, persino un po' rigidi: mi riferisco in questo caso alla ghiera dello zoom, ben serrata ma la cui rotazione risulta comunque fluida e senza scatti. Da questo punto di vista preferisco di gran lunga un maggiore rigidità ad una costruzione lassa: nonostante l'allungamento a doppia camma, infatti, l'ottica risulta salda a tutte le estensioni, e restituisce sensazioni di robustezza, anche se è questa una soluzione la cui stabilità in termini di centratura ottica andrà verificata nel tempo. Il pezzo forma un assieme ben bilanciato con un corpo DX della categoria D300.
Il diametro filtri è 67 mm, lo standard Nikon recente per gli zoom di questa categoria. Manca la ghiera dei diaframmi, come in tutte le ottiche di serie G. La lente frontale non ruota durante la focheggiatura, rendendo la vita più facile a chi usa filtri polarizzatori. La messa a fuoco e IF, interna, e la lunghezza dell'ottica non varia al variare della focheggiatura.
La messa a fuoco minima è a 38 cm dal piano pellicola lungo tutto il range focale, cioè solo “una spanna” dalla lente frontale; se a prima vista l'idea di un 85 mm che focheggi in modo così ravvicinato può far fremere gli appassionati di macro, va tenuto presente che la messa a fuoco interna riduce di molto la lunghezza focale effettiva alle minime distanze di messa a fuoco, e il rapporto di riproduzione ottenibile è “solo” di 1:4,6. Buono per i casi di emergenza, quando si è lasciato a casa il 105 micro, ma niente di più. Ottimo, invece, se si vuole usare la focale grandangolare per ambientare soggetti ravvicinati come piccoli animali, funghi o fiori.
Va detto che il 16-85 è un obiettivo dedicato strettamente al formato DX, e non copre l'intera superficie di un sensore FX a nessuna focale.
I classici due scatti agli estremi per farsi un'idea dell'estensione focale. Si va da 24 mm ad 128 (equivalenti); la praticità di uno zoom 5,3X è evidente, e nel caso del 16-85 è associata ad una qualità costante lungo tutta l'escursione. In foto un troll sulle montagne svedesi.
Resa ottica
La risoluzione è il primo parametro che tutti andiamo a controllare, in un obiettivo, e io non faccio certo eccezione. Avevo letto cose molto buone su quest'ottica sui (pochissimi) siti di test strumentali di cui mi fido, ma mi sembrava persin troppo bello per essere vero, in un vetro che dopotutto non si qualifica come “pro”. La realtà è che posso confermarle punto per punto.
La nitidezza è ottima a partire dalla piena apertura, e tocca il vertice (elevato) già diaframmando di uno stop (comprensibile, considerando la limitata luminosità massima). Il risultato è ottenuto lungo tutto il range focale, che così appare pienamente sfruttabile, senza “buchi” a parte un leggero calo ai bordi alla focale minima (16 mm), francamente trascurabile sul campo. Sul sensore della D300 la diffrazione comincia a farsi sentire già a f.11, quindi collocherei a f.13 l'apertura minima utilizzabile senza perdere in nitidezza, per questa combinazione.
Cosa ancora più apprezzabile, e difficile da riscontrare in uno zoom di questa categoria ed escursione focale, è l'uniformità del risultato su tutto il campo inquadrato. La classica prova del muro mostra bordi e angoli che non cedono nulla rispetto al centro del formato: una prestazione notevole, inaspettata e preziosissima per il fotografo paesaggista, per il quale l'omogeneità conta più delle aperture massime spinte. Messo a confronto con un classico AF 50 mm f.1,8, uno dei Nikkor più corretti e incisi, lo zoom fornisce risultati indistinguibili dal punto di vista del dettaglio risolvibile; di conseguenza il cinquantino è finito su uno scaffale, e con la sua grande apertura massima verrà buono nei tempi bui (letteralmente).
La resa cromatica è satura e le immagini ben contrastate: la storica denominazione ED di Nikon (Extra Low Dispersion, uso di vetri a bassa dispersione), una volta riservata alle lenti ammiraglie della casa, non campeggia a vanvera su quest'ottica.
Il comportamento in controluce è appena discreto, poco propenso al flare diffuso (perdita generale di contrasto nell'inquadratura) ma facile ai riflessi interni (lenticolari, a stella, a diaframma) quando il sole è nell'inquadratura o nelle immediate vicinanze.
Risoluzione. Ecco la situazione che gli zoom, in genere, soffrono di più: massima focale alla massima apertura. In questo caso 85mm f.5,6, mano libera su D300. Personalmente trovo il risultato eccellente, grazie anche alla pazienza del fido Baloo. In questo caso all'immagine è stato applicato un pre-sharpening di “lavoro” (software RawTherapee), perché preferisco valutare la risoluzione nel mondo reale, alla qualità finale che riesco a produrre.
Messo faccia a faccia con l'AF 50mm f.1,8, lo zoom regge pienamente il confronto, aggiungendo una resa cromatica più satura e appena più calda. Crop 100% a f.8, RAW, no post produzione.
Risoluzione: a titolo di riferimento, l'inquadratura originale.
Autofocus
L'autofocus è silenzioso, e non c'era da attendersi nulla di diverso da una motorizzazione interna ad ultrasuoni. La focheggiatura è veloce, pari a quella del 70-300; si tratta, comunque, di una caratteristica non fondamentale nell'uso di quest'ottica. Fondamentale, invece, è la sua accuratezza: ottima. Il mio esemplare fortunatamente non soffre di front o back focus: non sono riuscito a ottenere foto più nitide nemmeno dopo attente sessioni di fuoco manuale assistito dal Live view, ambito, a dire il vero, in cui la ridotta corsa della ghiera manuale rende l'operazione un po' noiosa. Resta da dire che a 85 mm la luminosità massima si riduce a f.5,6: siamo ai limiti della sensibilità dei moduli AF, il che potrebbe portare a qualche incertezza con illuminazione ridotta.
Non è il classico muro di mattoni, merce rara nella Svezia rurale, ma il mio vecchio garage funziona altrettanto bene. A 16 mm, e sostanzialmente a quella focale soltanto, la distorsione a barilotto è marcata.
Stabilizzazione
Non sono un fanatico degli stabilizzatori. Spesso rovinano la qualità dello sfuocato, e sempre incentivano la tentazione di fare a meno del treppiede. E questo è male: in fotografia il controllo dell'inquadratura è fondamentale, e il controllo totale si ottiene esclusivamente attraverso l'uso di un cavalletto. Ammetto però di avere io stesso un rapporto d'amore e odio con quell'oggetto tanto imprescindibile quanto ingombrante e pesante, ed è vero che non sempre si fotografa cercando la perfezione compositiva, quanto per cogliere un attimo fuggente. Ben venga lo stabilizzatore, quindi, se usato cum grano salis, cioè il meno possibile.
Nel caso del 16-85 si tratta di un VR Nikon di seconda generazione, che, a dire del produttore, offrirebbe un guadagno di 4 stop a mano libera. Probabilmente è l'effetto congiunto delle corte focali, ma la stabilizzazione di questo zoom è efficiente: alla focale minima ho ottenuto importanti percentuali di foto ferme a 1/3 di secondo, senza dover ricorrere a curiosi esercizi di meditazione yoga. A 85 mm ho prodotto scatti nitidi a 1/8 sec., ma come regola generale collocherei 1/15 sec. come limite per questa lunghezza focale.
Se partiamo dalle regola empirica secondo cui non si dovrebbe usare un tempo più lento dell'inverso della focale impiegata, e aggiungiamo un ulteriore coefficiente di difficoltà dovuto all'ingrandimento apparente del formato APSC (a parità di formato finale di visione), otteniamo circa 3,5 stop di vantaggio a 16 mm (da 1/30 a 1/3 sec.), mentre a 85 mm possiamo contare su un guadagno effettivo di 3 stop (da 1/125 a 1/15 sec.). Non si tratta dei 4 dichiarati dalla casa, ma è pur sempre un risultato apprezzabile e ben sfruttabile sul campo.
Stabilizzatore. Nella cattedrale di Skara (Svezia), un organo a canne ripreso a mano libera a 1/3 sec., stabilizzatore attivo. (D300, RAW, ISO 800, no post produzione).
I difetti
Si dice che ogni zoom sia frutto di compromessi progettuali, una coperta corta che da qualche parte ti lascia scoperto. I punti deboli, in questo caso, sono distorsione e vignettatura. Sono difetti che appaiono solo alla focale minima (ed è a questa che farò riferimento qui), ma sono ben visibili. Il comportamento è simile in tutti gli zoom Nikon DX, cosa che lascia pensare ad una precisa scelta progettuale: privilegiare la risoluzione (che non si può inventare in post produzione) a scapito di difetti cui, viceversa, è possibile rimediare. La vignettatura è facilmente correggibile sia diaframmando in ripresa che lavorando in fase di sviluppo del RAW, e non comporta particolari problemi se non un minimo di color shifting negli angoli, peraltro apprezzabile solo su campiture uniformemente bianche, come la neve; si tratta peraltro di un difetto comune a quasi tutti i supergrandangolari, del tutto ignorato dai test disponibili in rete.
La distorsione è un bel barilotto cicciottello, concentrato verso il centro del campo inquadrato; le aree periferiche assumono l'aspetto di una distorsione “a baffo” appena accennata, che può complicare un po' gli aggiustamenti in post produzione. Per un fotografo naturalista, quale io sono, la distorsione è l'ultimo dei pensieri, non essendo mai presenti linee rette o sequenze di oggetti geometrici (a parte l'orizzonte, quando è il caso). Tutto (vignettatura e distorsione) sparisce già a 20/24 mm di focale.
L'aberrazione cromatica laterale (LaCA) è presente ma in maniera ridotta, direi fisiologica (meno rilevante che nell'AF-S 70-300 4,5/5,6, ad esempio), e ben gestibile in post produzione. Assente l'aberrazione cromatica longitudinale (LoCA). Ricordo che le fotocamere Nikon correggono vignettatura e aberrazioni cromatiche direttamente in-camera sul JPG, e sui RAW se si usano i software della casa madre.
Sempre il nostro troll, stavolta in controluce: sole nell'inquadratura, utilizzando il paraluce (in dotazione). Il contrasto tiene, non c'è dispersione di luce parassita; è presente solo un alone nell'ombra del troll. Un comportamento buono (RAW, f.8, no post produzione).
Ancora controluce (vedi dettagli sottostanti 1 e 2). Ancora sole nell'inquadratura, ma in foresta. Stavolta i riflessi interni sono chiaramente visibili, ma tutto sommato in linea con quanto ci si può attendere al giorno d'oggi da un'ottica di questa categoria, cioè non molto. (RAW, f.10, no post produzione).
Resa cromatica (vedi foto sottostante). Uno scatto domestico usando i colori caldi del mio salotto, senza post produzione: nessun contrasto, saturazione, chiarezza o vibrance aggiunte (D300, RAW, 16mm, 1/8 sec. a mano libera).
Conclusione
In conclusione, si tratta di uno strumento che ha risolto molti problemi di logistica nel mio zaino, caratterizzato da una grande poliedricità d'uso, che al tempo stesso non perde terreno sul versante della qualità dei risultati; anzi, almeno nel mio caso, ha aggiunto qualità rispetto alle ottiche che è andato a sostituire. Difficile chiedere di più.
Vitantonio Dell'Orto © 04/2011
Homepage: www.exuviaphoto.it
Dati tecnici
Progetto ottico: 17 elementi in 11 gruppi, incluse 3 lenti asferiche e 2 elementi ED
Range focale equivalente su 35 mm: 24-128
Aperture massima e minima: f.3,5/4,5 – f.22/36
Dimensioni: 72 x 85 mm
Peso: 485 g
Distanza minima di messa a fuoco: 38 cm a tutte le focali (rapporto di riproduzione 1:4,6)
Inclusi nel prodotto: paraluce a tulipano HB-39, tappi anteriore e posteriore, custodia morbida.