La Mamiya si è sempre distinta per le idee innovative e spesso controcorrente, ma non tutte hanno avuto la stessa fortuna (basta pensare alle reflex 35mm a baionetta restate in produzione pochissimi anni). Le grosse reflex 6x7, invece, proposte come valida alternativa professionale al classico 6x6, sono riuscite a conquistarsi, con gli anni, una loro fetta di mercato ed hanno dimostrato una notevole longevità.
Particolare del soffietto di messa a fuoco.
Il pentaprisma esposimetrico TTL che avevo scelto io: se da una parte facilita la vita, non lo fa dall'altra, ed anche l'oculare inclinato di 30° ricorda che la RB 67 è nata per essere adoperata sul cavalletto. La visione non è molto agevole per chi porta gli occhiali e l'immagine non è molto luminosa.
Qualcuno ricorda la prima 6x6 della Mamiya?
Risale al 1949, e quella che ad un'occhiata superficiale può sembrare una Super Ikonta, mostra subito una particolare caratteristica: la messa a fuoco avviene spostando avanti e indietro il piano della pellicola e non muovendo l'obiettivo.
Poi è la volta di una 35mm a telemetro con magazzino intercambiabile, poi ancora delle famose biottiche con obiettivi intercambiabili, e via di seguito.
La Mamiya di medio formato presentata nel 1970 poteva essere un ennesimo clone dell'Hasselblad, ma non lo è grazie ad alcune caratteristiche innovative e già la sigla (RB sta per "Revolving Back") ci anticipa che si tratta di qualcosa di nuovo (si tratta di una reflex 6x7 a dorso ruotante!).
IL FORMATO 6X7
Le novità iniziano proprio dal formato, 6x7 anziché il classico 6x6, ma una fotocamera con il formato rettangolare avrebbe costretto il fotografo ad inclinarla per passare dalle inquadrature orizzontali a quelle verticali, cosa che ovviamente non si deve fare con il formato quadrato (azione che sarebbe stata molto scomoda da fare con la mole ed il peso della Mamiya). Da qui la necessità di ricorrere al dorso ruotante: la fotocamera s'impugna sempre nello stesso modo, esattamente come un'Hasselblad: è solo il dorso che gira. I vantaggi del formato rettangolare appaiono subito evidenti: si sfrutta meglio la pellicola 120 e non si devono fare tagli eccessivi in sede di stampa (più avanti la Mamiya presenterà un magazzino formato 6x8cm, formato che personalmente reputo ideale).
La vocazione della Mamiya è chiaramente professionale e rivolta all'editoria (i formati consueti dei libri sono rettangolari, non quadrati). Da questo formato nasce, però, anche la necessità di dimensionare specchio, vetro di messa a fuoco, mirini e copertura degli obiettivi come se il formato di ripresa effettivo fosse il 7x7, con l'inevitabile aumento di pesi, dimensioni e costi.
La Mamiya RB 67 non è certo un apparecchio fatto per essere usato a mano libera, anche se è possibile farlo (io l'avevo equipaggiata con il pentaprisma esposimetrico e l'impugnatura laterale), ma la sua vocazione è quella di essere una fotocamera da studio.
Altra peculiarità della RB 67 è che i suoi obiettivi sono privi del classico elicoide per la messa a fuoco: questa avviene grazie ad un soffietto incorporato nel corpo. Anche questo contribuisce a renderne scomodo l'uso a mano libera, perché la messa a fuoco avviene grazie a due grosse manopole laterali, quasi come su di un apparecchio di grande formato. Il soffietto, però, porta con sé il grande vantaggio di consentire una distanza minima di messa a fuoco davvero notevole con qualsiasi obiettivo (si allunga di oltre 4cm): questo significa che con l'obiettivo normale (il 90mm), si raggiunge il notevole rapporto di riproduzione di 1:2 senza dover acquistare nessun accessorio supplementare. Niente male!
Purtroppo, alla splendida trovata del soffietto per la messa a fuoco non è stata abbinata la possibilità di effettuare decentramenti e/o basculaggi: sarebbe stata un'opportunità eccezionale visto che la fotocamera si comporta davvero come un piccolo banco ottico e, se la possiamo considerare scomoda e goffa in confronto ad una classica 6x6, diventa senz'altro piccola e comoda rispetto ad un banco ottico.
Col banco ottico ha in comune anche il fatto di essere completamente priva di parti elettroniche se si eccettua l'eventuale pentaprisma esposimetrico: questo significa che la RB 67 non è assolutamente legata a nessun tipo di batterie per poter funzionare.
La Mamiya RB 67 non era economica in assoluto, ma lo era senz'altro rispetto ai classici sistemi di riferimento.
Oggi lo è ancora di più dato che con pochi milioni è possibile portarsi a casa un intero corredo d'occasione ed è difficile prendere delle fregature data la tradizionale robustezza di queste fotocamere.
L'ultimo apparecchio della linea RB, la Mamiya RB 67 Professional S (1974), vanta una serie di migliorie anche se l'estetica è rimasta invariata: le modifiche sono soprattutto sul piano della comodità operativa dato che con la prima RB era facile commettere una serie di errori (il più classico era quello di effettuare, senza volerlo, esposizioni multiple sullo stesso fotogramma dato che la ricarica dell'otturatore e l'avanzamento della pellicola avvengono con due leve di carica diverse che non sanno l'una cosa fa l'altra. Sulla "S", invece, c'è un blocco di sicurezza che impedisce lo scatto finché non si è fatta avanzare la pellicola. In ogni caso resta un'operazione alquanto scomoda e macchinosa).
Un'altra possibilità di errore è quella di impostare un'inquadratura verticale e poi di scattare con il dorso in posizione orizzontale, o viceversa. Nella "S" ci sono una serie di riferimenti che appaiono a seconda della posizione del magazzino, anche se devo dire di aver sbagliato qualche volta lo stesso: il vetro smerigliato riporta fisse solo le linee del formato verticale, in blu, mentre quelle rosse che delimitano l'inquadratura orizzontale compaiono solo se il magazzino è in posizione orizzontale, per scomparire appena lo si ruota.
La Pro "S" ha in più una levetta che permette di bloccare la manopola di messa a fuoco nella posizione voluta. Prima, con l'apparecchio inclinato verso il basso, era facile che il soffietto si allungasse per colpa del peso dell'obiettivo montato (quindi ci si ritrovava a scattare foto sfocate).
LE CARATTERISTICHE DEL SISTEMA E LA RESA DI ALCUNE OTTICHE SUL CAMPO
La costruzione è modulare come di consueto per questo tipo di fotocamere, l'estetica è sobria, quasi spartana, e conferisce una sensazione di solidità. Tutti i comandi sono ampiamente dimensionati e si trovano al posto giusto.
L'otturatore è centrale ed incorporato in ogni obiettivo (tempi da 1" a 1/400 + B), è fornito dalla Seiko e vanta una buona precisione di funzionamento.
Gli obiettivi sono con attacco a baionetta e vite di serraggio: non sono luminosissimi, ma hanno una resa più che buona. A mio avviso sono eccessivamente contrastati e poco plastici, ma a molti piacciono proprio per questo ed è una questione di gusti personali.
Le ottiche che ho avuto ed usato a lungo sono state 50, 90, 150 e 250mm, quindi le mie considerazioni, è bene ribadirlo, valgono solo per questi obiettivi.
La loro nitidezza è sempre molto elevata ed i colori brillanti, la resa cromatica anche con le dia è sempre uniforme per tutte le focali.
L'unica vera delusione l'ho avuta con il 50mm, la cui distorsione a barilotto è davvero eccessiva, diciamo pure inaccettabile, se si fotografa architettura a livello professionale.
Il 90mm ha un'ottima resa generale, soprattutto all'infinito ed alle medie distanze: crolla invece alle brevi distanze, e questo rende inutile il pregio di poter arrivare al rapporto d'ingrandimento 1:2 grazie all'estensione del soffietto. La cosa, però, non deve meravigliare più di tanto: tutti gli obiettivi, di qualsiasi corredo, sono progettati per dare il meglio alle lunghe e medie distanze, e per fare la macrofotografia occorrono ottiche specializzate (e nel corredo della RB67 c'è un bel 140 macro che però con il soffietto completamente esteso arriva solo al rapporto di 1:3, per cui diventa indispensabile acquistare qualche accessorio supplementare).
Il 150mm è un obiettivo particolare: è a fuoco morbido, quindi particolarmente indicato per i ritratti. L'effetto flou è ben dosabile grazie al diaframma ed a 3 dischi diffusori forniti in corredo.
Usato in maniera "normale", vanta un'ottima resa, forse la più naturale e meno contrastata del mio corredo.
Molto bello nella globalità il 250mm, per il quale non ho difetti da segnalare se non l'eccessiva lunghezza del barilotto che, con il soffietto allungato, porta a sbilanciare notevolmente l'insieme in avanti.
Tutti gli obiettivi dal 50 al 250 mm hanno lo stesso passo filtri di 77mm, il che permette di ridurre un po' i costi visto quello che costano dei buoni filtri con questo diametro.
Sugli obiettivi è anche sistemato il comando che permette di alzare lo specchio prima dello scatto.
Sul corpo troviamo una serie di blocchi e sicure contro le manovre errate: i magazzini sono dotati di un segnalino rosso per l'avanzamento della pellicola, e la leva stessa è sotto blocco; naturalmente non si può estrarre il dorso senza volet, e il volet non si può estrarre se il dorso non è agganciato al corpo macchina. L'obiettivo non può essere tolto se l'otturatore non è carico, né montato con l'otturatore scarico ma con la macchina carica (cioè con lo specchio in posizione). Queste ultime possibilità di errore sono piuttosto remote, ma ricordate che conviene sempre scaricare l'otturatore centrale per non tenere la molla in tensione quando si prevede di non usarlo per qualche tempo. Sulla RB 67 l'operazione di carica e scarica dell'otturatore ad obiettivo staccato è facilissima e non richiede l'uso di monetine o cacciaviti da orologiaio.
GLI ACCESSORI
I magazzini sono robusti, ma il loro aggancio al corpo non è a prova di caduta dell'apparecchio e sono disponibili anche in formati inferiori al 6x7, in versione per pellicola 120 (10 pose) e 220 (20 pose). C'è persino un magazzino motorizzato e due dorsi Polaroid. Tramite adattatore si possono usare persino gli chassis per pellicole piane!
I mirini sono intercambiabili e sono disponibili 6 modelli, ed il solito pozzetto si può sostituire con due cappucci rigidi a ingrandimento variabile (uno ha l'esposimetro TTL con lettura spot). Io avevo il pentaprisma con esposimetro TTL a lettura media su tutto il fotogramma (buono, abbastanza preciso, ma pesava quasi quanto tutto il corpo e l'insieme diventava davvero mastodontico).
Non mancano filtri, astucci, cinghie, borse, impugnature, e vari paraluce tra cui uno formato da alette orientabili, davvero comodo.
CONCLUSIONI
Sicuramente oggi sorpassate, le Mamiya della serie RB 67 possono essere ancora un valido acquisto per chi ha necessità professionali e vuole accostarsi al medio formato di qualità senza dover ricorrere ad un mutuo. La qualità dei corpi è molto elevata, più che adatta ad un uso professionale, ma anche della resa ottica non ci si può lamentare. Resta la considerazione, già fatta, che si tratta di fotocamere essenzialmente da studio e da usare sul cavalletto: pesi, ingombri e scarsa praticità operativa non le rendono consigliabili per l'uso a mano libera.
Nel sistema non c'è nulla di superfluo, è vero, ma c'è tutto ciò che occorre per lavorare davvero, ed è sempre di buona qualità. Le sconsiglio solo a chi dovesse adoperare spesso il 50mm per architettura: la distorsione a barilotto è più che evidente. Non sottovaluterei, inoltre, la loro realizzazione interamente meccanica.
Rino Giardiello © 02/2001
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