LEICA MINILUX ZOOM
La realtà non è la mappa
Pierpaolo Ghisetti, ottobre 2023

Metà anni Novanta: mi trovo per un convegno con mia moglie Anna a Crans Montana, località svizzera alla moda, situata a 1500 metri di altezza nel Canton Vallese, nota specialmente per i campi di golf.

Leica Minilux Zoom

Tuttavia sopra il paese troneggia una montagna molto nota, la Wildstrubel, 3244 metri, altezza non eccessiva, almeno per i parametri svizzeri. Ma la cosa che mi interessa maggiormente è il vasto ghiacciaio alla base della montagna, di tipo norvegese, piatto come quello dell’Adamello, con il sinistro nome di Plaine Morte, Pianura morta. Naturalmente ci siamo portati l’equipaggiamento da ghiacciaio, non si sa mai che non si presenti l’occasione buona… l’escursione, grazie anche all’avvicinamento tramite funivia, è considerata di media difficoltà, quasi facile. La gente che incontriamo è tutta vestita in modo estivo ed elegante e non c’è neanche un alpinista in giro.

Finalmente il meteo promette una giornata perfetta: bardati come guide svizzere, prendiamo una delle prime funivie che in una mezz’ora ci deposita sul ghiacciaio: una piana piatta e uniforme, senza pericolosi ed infidi crepacci, circondata da cime minori, come una gigantesca scodella. Davanti a noi, dall’altra parte della candida distesa, evidentissimo, lo sperone roccioso che conduce alla vetta della Wildstrubel.

Leica Minilux Zoom

La giornata è perfetta e grazie al nostro abbigliamento stratificato, l’aria frizzante dei tremila metri non ci fa nessuno effetto. Siamo soli, ma la cosa non ci disturba, anzi…in poco più di un’ora attraversiamo, a vista, il ghiacciaio e con un’altra ora e mezza di facile arrampicata tra i blocchi, arriviamo in cima, dove troneggia una grande croce.

Leica Minilux Zoom

Leica Minilux Zoom

Escursione facile e di soddisfazione, prometteva la guida delle Alpi svizzere: in effetti è vero. Scatto con la fedele Leica Minilux zoom le rituali foto di vetta: questa variante della Minilux presenta un’ottica Vario Elmar 35/70mm (7 elementi in 6 gruppi) al posto del classico Summarit 40mm, con luminosità che passa da f/3,5 a f/6,5, ed è leggermente più pesante, 400g contro i 300g della sorella ad ottica fissa. Presenta anche una staffa flash, proprio per superare i limiti di luminosità alla focale tele: scatterò praticamente sempre alla focale grandangolare e pochissimo col mini tele, troppo chiuso di luminosità. Devo ammettere che questa focale da 35mm non fa rimpiangere l’ottimo Summarit 40/2,4 della versione classica: ben equilibrato nell’incisione e nel contrasto, presenta colori molto Leica, vividi e squillanti, estremamente naturali. La finitura esterna della macchina rimane sempre al titanio, affascinante ed inscanfibile ai segni e ai graffi: la mia è una Titanblack, più scura, rispetto al classico colore champagne, ma non completamente nera.

La Minilux zoom in realtà era una forzatura del mercato, una volta esaurito lo spazio per la compatta di alto livello: altri marchi come Contax e Yashica offrivano compatte zoom, teoricamente per ampliare le possibilità operative, in realtà per saturare ogni angolo del mercato con macchine sempre più accessoriate e teoricamente complete. In questo modo, a mio parere, la compatta perdeva molto dell’originale compattezza e velocità operativa, mentre l’ottica non risultava più luminosa e performante come all’inizio, quando era fissa. Inoltre la versione zoom anche nel frontale, come d’altronde si evince dalle immagini, presenta la protuberanza dello zoom, non totalmente rientrante, come invece accadeva alla Minilux originale, con l’ottica a scomparsa. La Zoom, è vero, presenta un tempo di posa maggiorato a 1/400 sec, contro il 1/250sec, che risulta utile nello scatto col minitele, per maggior sicurezza operativa, ma francamente è una differenza minimale. Nell’anno Duemila i prezzi passavano da 750 Euro per la versione classica a 950 Euro per la versione zoom. 

Per completare questo veloce excursus storico-tecnico credo di poter affermare che potendo scegliere preferirei avere sempre con me una Minilux o una CM, come macchina d’appoggio, col flash incorporato, tra l’altro, da tenere sempre in tasca, in montagna o in pianura. Se dovessi scegliere una sola macchina da viaggio, la zoom presenta un pacchetto operativo molto invitante, tra cui anche il miniflash, utile in molte occasioni in accoppiata col tele da 70mm, per la sua potenza maggiorata.

Mentre inquadro, e noto mentalmente che nella versione zoom manca il rivestimento in pelle, utile per migliorare la presa della macchina, noto un paio di fatti inquietanti: sul ghiacciaio, piatto e uniforme come una calotta polare, non si vedono altri escursionisti, né tracce, le nostre orme mattutine sono già scomparse. Inoltre, dalle aperture tra i bordi rocciosi sembrano inesorabilmente salire dal fondovalle vapori nebbiosi. Il sesto senso alpinistico che alberga in me, collaudato da centinaia di escursioni in quota, fa scattare un campanello di allarme.

Leica Minilux Zoom

Leica Minilux Zoom

Dopo un veloce spuntino, scendiamo velocemente lo sperone roccioso che ci riporta sul ghiacciaio, ma è troppo tardi. Le nebbie che impigrivano ai bordi del grande bacino glaciale vi si sono adagiate con velocità sorprendente e, trattenute dalle rocce del catino, nessun vento potrebbe ora disperderle. Un vero WhiteOut! Mi sono già trovato in queste situazioni e so che occorre mantenere la calma: siamo avvolti da una coltre grigia e fitta, le nostre tracce del mattino, come previsto, sono scomparse e il ghiaccio superficiale si è rammollito e rotto. 

Con la bussola e la cartina svizzera (bellissima, alla scala di 25,000, con tratteggi e ombreggiature quasi artistiche) traccio una rotta attraverso il ghiacciaio; ma se sbaglio anche solo di qualche decina di metri rischio di trovarmi a destra o a sinistra della funivia, senza poter sapere se devo stare più a destra o appunto a sinistra. Decidiamo pertanto di seguire il bordo del catino: ci vorrà più tempo, ma prima o poi alla nostra destra dovrà comparire il casotto della funivia. La prima ora passa abbastanza velocemente, ma mantenere la concentrazione è molto difficile: nessun rumore turba la marcia, mentre il bianco continuo dà l’impressione di essere sempre nello stesso luogo. Improvvisamente avverto un movimento al mio fianco: una cordata di quattro persone, condotte da una guida svizzera, ci incrocia, senza un saluto o un cenno, cosa abbastanza rara in montagna, specie in Svizzera. 

Sembrano tutti molto provati. L’ultimo della fila avanza barcollando e reggendosi a malapena sui bastoncini da trekking: solo la corda che lo lega al compagno lo fa avanzare. Scompaiono come fantasmi nella nebbia, silenziosi come sono comparsi. Passa un’altra ora e a mia moglie Anna cominciano a crollare i nervi: Non ce la faremo mai! – Siamo perduti – E’ tutto inutile! Il dubbio inizia a serpeggiarmi dentro: non è possibile che ci accada qualcosa di brutto: siamo in Svizzera, non al Polo, c’è la funivia… sotto i prati di Crans… ma una voce inizia a rimbombarmi dentro.

- La carta non è la realtà!

Tutto ora pesa come un macigno: sono più di cinque ore da che siamo partiti e stanchezza e quota si fanno sentire. Inoltre siamo a metà settembre e con questa nebbia fitta non tarderà a fare buio e allora sarebbe veramente pericoloso. Gli scarponi che affondano nella neve molle, e un fastidioso nevischio orizzontale, che si deposita sugli occhiali, contribuiscono a rendere la situazione ancora più angosciante: della funivia nessuna traccia, sembra essersi volatilizzata.

Stamattina, col cielo azzurro e l’aria tersa la montagna ci sembrava un’amica: ora sembra che tutti gli elementi si siano uniti per farci capire che non siamo graditi in questo ambiente. La realtà prende il sopravvento e la cartina geografica (così bella coi i suoi perfetti disegni) scompare lentamente dalla mia mente, mentre come un mantra la frase mi rimbomba cervello.

- La carta non è la realtà

Improvvisamente, senza preavviso, senza segni premonitori, mi arriva un poderoso pugno nello stomaco: la paura!
Barcollo per il colpo: le gambe mi si piegano e anche le braccia si bloccano. Mi appoggio ansimante ai bastoncini da trekking.

- Che ti succede? Chiede Anna preoccupata, avendo notato il mio sbandamento.

- Niente, sono solo inciampato, cerco di mentire dietro gli occhiali a specchio mai così protettivi: se cedo anch’io può essere veramente la fine.
La mente è diventata anch’essa una lavagna bianca: non riesco più a formulare un pensiero coerente. La paura non mi ha bloccato solo il fisico ma anche la mente. Vedo distintamente un antro nero davanti a me, sul ghiacciaio bianco: non può essere, deve essere per forza un riflesso del sole nella nebbia, non possiamo essere così vicini a…

Con uno sforzo disperato cerco di aggrapparmi a qualcosa di noto: qualcosa che mi faccia uscire da questo WhiteOut fisico e mentale.
Involontariamente avverto la presenza nella tasca laterale della fedele Minilux: cerco di concentrarmi su qualcosa di noto e usuale.

La Fotografia!

Senza sfilarmi i guanti, faticosamente la estraggo dalla tasca, la tolgo dalla custodia protettiva in pelle, e finalmente l’impugno. Devo fare uno sforzo di concentrazione per attivare l’interruttore e far uscire l’ottica dal corpo macchina: con i guanti è tutto più difficile, ma è lo sforzo mentale che mi impegna di più. Sono operazioni che di solito compio ad occhi chiusi, ma in questo momento mi sento svuotato da ogni forza. Molto faticosamente cerco di premere il pulsante di scatto per vedere se i led del mirino si accendono, segno che la batteria al litio ancora funziona, e scatto una foto.

- Ma cosa fai? Ti sembra il momento? Mi rimprovera Anna con una voce acuta che tradisce i nervi fuori controllo.
- Fammi una foto, le chiedo, solo una!
- Proprio una bella idea, mi urla quasi.

Con il tastino del carter superiore imposto una sovraesposizione di 1 stop, per compensare il riflesso che ci circonda e le passo la macchina.
Ma mi fa una foto, una sola, nel bianco accecante e totale.

Leica Minilux Zoom

Tutta l’operazione è durata cinque minuti, ma aver compiuto un gesto ben noto e abituale mi ha aiutato a ritrovare un minimo di razionalità. L’antro nero è sempre in mezzo al ghiacciaio, ma più vago.
Mentre ripongo la (benedetta) Minilux nella tasca e riprendo ostinatamente a camminare, noto che Anna è rimasta ferma. Fare la foto l’ha distratta e ora sembra fissare qualcosa.

- Allora, ti muovi?

Improvvisamente: Là, là urla Anna indicando un punto in alto.
Per un istante, solo per un istante, intravedo un’ombra nella nebbia, il casotto rosso della funivia. Ora siamo sicuri: ce la faremo!
Non vedo più l’antro nero, e nelle vene il sangue pulsa più velocemente.
In una decina di minuti troviamo la rampa attrezzata che porta in alto alla stazione della funivia: la percorriamo in pochi minuti e alla stazione intermedia ci offriamo un lussuoso piatto di gamberetti in salsa rosa.
Ce l’abbiamo fatta!

La sera, in albergo, ripenso agli avvenimenti della giornata e di come una bella escursione in montagna si era trasformata in un incubo.
Conosco da sempre le regole: il meteo, gli scarponi, il materiale tecnico e il vestiario, la forma fisica, cibo e bevande, come fare il sacco, la cartina e la guida dell’Oberland. Ho fatto tutto correttamente, ma conoscere il codice montano non ti salva dalla montagna. E’ un presupposto, indispensabile, ma non sufficiente.

Ma soprattutto: la carta non è la realtà! Tutta la teoria, accuratamente studiata, non rimpiazza la forza mentale da cui deriva la forza fisica necessaria a superare gli imprevisti. La mia decisione di fare il giro del ghiacciaio per essere sicuri di incontrare la funivia era corretta, ma ha rischiato di fallire a causa del crollo nervoso che ci aveva colpiti. Inoltre solo un caso - fortunato a dir poco - ci ha permesso di intravedere la funivia nella nebbia fitta: sarebbe bastato camminare a testa bassa e non notarla in quel preciso istante in cui è timidamente apparsa, per perderci definitivamente nel ghiacciaio.

Tirare fuori dalla tasca la Minilux è stata una grande intuizione: mi sono aggrappato all’unica cosa nota che mi è venuta in mente in quel momento, mentre il portale nero ci stava inghiottendo. Inoltre per farmi la foto, Anna ha sollevato la testa e ha fissato davanti a sé, intravedendo finalmente la funivia!
Forse è una esagerazione e forse no: ma quel giorno sulla Plaine Morte, (non a caso la Piana della Morte), la Fotografia ci ha salvato la vita!

PS: tornato in Italia leggerò sulla Rivista della Montagna che un gruppo è stato ricoverato in forte stato di ipotermia alla Wildstrubel Hutte, situata sulla montagna, dalla parte opposta rispetto a Crans. Probabilmente proprio il gruppo di barcollanti fantasmi che abbiamo incrociato. E’ proprio vero: l’abbiamo scampata, e l’antro nero che avevo intravisto è rimasto a bocca asciutta! Ma ormai sono sicuro che non era solo una visione…

Spesso amici e conoscenti mi chiedono perché sono così legato alla Leica Minilux: ora il motivo lo sapete anche voi!

Pierpaolo Ghisetti © 10/2023
Riproduzione Riservata

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