Tra i principali impegni in previsione di viaggi fotografici, vi è lo studio e la scelta dell’attrezzatura prima del viaggio stesso.
Si esaminano gli itinerari, il clima, le uscite a piedi o con svariati mezzi, i soggetti presumibili che si andranno a fotografare e si sceglie, se possibile, quale combinazione della propria attrezzatura sia più adatta a tutte queste esigenze.
Durante il viaggio che feci anni fa in Antartide, erano previste diverse altre tappe: tra queste ci fu anche una sosta di tre giorni alle isole Falkland, rivendicate dall’Argentina col nome di Malvinas.
Proprio a causa di questa contesa internazionale, nel 1982 scoppiò un conflitto armato tra Argentina e Gran Bretagna, per il possesso di questo remoto arcipelago al largo della Patagonia argentina, situato al 52° parallelo di latitudine sud, mentre Ushuaia, la città più meridionale del mondo, si trova al 54°. La popolazione è di appena 3500 persone su una superficie complessiva di 12000 Km. quadrati, circa la metà della Sardegna.
La vittoria finale, dopo la distruzione di navi, aerei e di circa 3000 uomini uccisi nel conflitto, arrise infine alla Gran Bretagna, che tuttavia fece un regalo insperato al popolo argentino, aiutandolo a sbarazzarsi di una Junta militare spietata e ormai fuori controllo.
L’attrezzatura fotografica da me scelta era vasta ed articolata, per coprire tutte le possibilità fotografiche che potevo presumibilmente incontrare, oltre ad eventuali malfunzionamenti, impossibili da prevedere e da riparare: 2 Hasselblad (SWC e 503) con 3 obiettivi, una Leica M6 con 2 obiettivi, e due compatte autofocus, una Contax T3 e una Leica C3. Occorre rimarcare che la scelta di una attrezzatura così vasta era giustificata dal fatto che il viaggio durava circa un mese, prevalentemente su nave. A me rimaneva il compito di scegliere quale macchina e obiettivi utilizzare di volta in volta durante gli sbarchi.
La prima sosta fu appunto alle Isole Falkland e precisamente a Port Stanley, la capitale dell’arcipelago, composto in realtà da due isole principali e svariati isolotti. Il paesaggio era uniforme: una serie di colline brulle, totalmente prive di alberi, sferzate da un continuo e incessante vento patagonico.
La vera ricchezza dell’isola era la svariata fauna avicola, ricchissima in ogni stagione: dopo aver preso opportune informazioni e un BirdsBook sugli uccelli della Patagonia, scelsi la compatta Leica C3, con ottica 28-85 Asferica, zoom autofocus, avanzamento motorizzato, corpo in policarbonato, leggerissima, con i suoi 250g.
Il resto dell’attrezzatura lo lasciai sulla nave Plancius, e mi mossi libero e leggero tra svariate specie di uccelli, placidamente indifferenti alla presenza umana, per cui la focale di 85mm si dimostrò più che sufficiente. Una vera pacchia fotografica, se si pensa che la focale minima in caccia fotografica è di solito un 400mm se non oltre.
Avvicinarsi a pochi passi ai buffi pinguini crestati o ai maestosi albatri dal sopracciglio nero, fu davvero emozionante: probabilmente a causa dell’attività riproduttiva, erano indaffarati a nutrire e controllare la prole, e non prestavano la minima attenzione al sottoscritto che, sempre con calma e cautela, poteva avvicinarsi tanto da poterli ritrarre addirittura con un grandangolo!
La Leica C3, dotata di motore di avanzamento automatico, era abbastanza silenziosa anche nella movimentazione dello zoom, ideale per passare dai paesaggi ai particolari: la leggerezza del tutto si dimostrò impagabile, sia nel trasporto che nell’azione fotografica vera e propria. Furono tre giornate piene, camminando in mezzo a paesaggi ventosi, selvaggi e se vogliamo, anche monotoni, ravvivati tuttavia dai vari, frequenti e straordinari incontri naturalistici.
L’ottica della Leica C3 possiede anche una lente asferica, per aumentare la planeità di campo, ma credo che il vento e l’aria tersa abbiano contribuito maggiormente alla purezza dei colori e all’incisione generale. Comunque per uno zoom quasi economico, un’ottima performance.
Purtroppo, quasi alla fine del viaggio, durante uno sbarco sui grossi gommoni Zodiac, una onda si rovesciò sul canotto, bagnando e mandando in corto circuito la povera Leica C3: la macchina esalò l’ultimo fotogramma e si spense definitivamente, vittima sacrificale al Poseidone Antartico. Mi dispiacque parecchio, anche perché, pur essendo, secondo i parametri Leica, una compatta economica, era sempre una macchina di un certo costo. L’equipaggio, al mio ritorno sulla nave, essendo composto da marinai russi, forse non capì pienamente le mie lamentele contro la mala sorte, ma sicuramente intuì la mia delusione da alcune mie inevitabili imprecazioni dialettali siciliane. Tuttavia mi congratulai con me stesso per la prudenza e l’abbondanza nello scegliere l’attrezzatura fotografica per un viaggio così impegnativo. Molto peggio andò ad altri membri della spedizione, che si erano portati macchine digitali (ancora abbastanza primitive) oppure solo una compattina: acqua, salsedine, mani bagnate, urti continui e cadute varie, zoom ripetutamente bloccati, senza contare il freddo mattutino ammazza-batterie (in questo la solidità delle Hasselblad si dimostrò imbattibile), misero a tacere svariati apparecchi, e solo la mia innata generosità fece sì che poi mandassi alcune delle mie stampe a numerosi compagni di avventura, in svariate località del globo.
Se in quasi tutti i viaggi mi sono sempre portato due corpi e diversi obiettivi, ho imparato che in alcuni casi due macchine sono poche: l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, senza contare furti o malfunzionamenti.
A questo proposito mi ricordo che in Perù, sul treno per il lago Titicaca, c’era un tizio con baffi e poncho che, alzatosi poco prima della fermata…
Pierpaolo Ghisetti © 2023/04
Riproduzione Riservata
Sulle compatte Leica C si può vedere questo mio articolo su wetzlar-historica-italia.it.
Articoli correlati
• La sezione di Nadir dedicata alle fotocamere ed agli obiettivi Leica
• Per altri racconti di viaggio e articoli dello stesso Autore, utilizzate il campo "Cerca" di Nadir Magazine scrivendo "Pierpaolo Ghisetti".