Sono nato e cresciuto alle falde del più grande vulcano d’Europa e l’ho percorso per anni sia col CAI che col WWF: pertanto conosco bene i paesaggi aridi e desolati tipici dei vulcani.
Mi ha sempre colpito questa dicotomia: nella nostra immaginazione pensiamo spesso ad una natura tipo Mulino Bianco. I gerani della Val Pusteria, i giardini perfetti di Villa d’Este, i parchi naturali come a Paneveggio, dove gli animali sono timidi ma visibili, o magari quei sentieri delle Dolomiti ormai invase da seggiovie, parcheggi e rifugi. Una natura amica e comoda, ricca di frutti e delizie. Poi ci sono i vulcani, con i loro tremori, i terremoti, le distruttive colate di lava.
Da ragazzo, quando visitai il Duomo di Catania e vidi nella sagrestia il dipinto che raffigurava la grande eruzione dell’Etna del 1669 con i fiumi di lava incandescente che si gettavano nel mare, ne rimasi fortemente colpito: d’altra parte tutta la Catania barocca si appoggia sulla lava e con la lava sono costruiti moltissimi dei suoi edifici, creando quella bicromia contrastante di bianco e nero che li rende così caratteristici.
Sin da allora ho capito che la natura non è univoca e che accanto alla vita è sempre in agguato la morte, come per noi umani. Chi non conosce la sorte di Pompei e di Ercolano? Chi non ha mai visto la terrificante esplosione del Mount St. Helens? O le spaventose frane provocate dallo scioglimento dei ghiacci dei vulcani colombiani? Il vulcano Krakatoa alla fine dell’Ottocento provocò col suo collasso un’onda che fece il giro del mondo e che sconvolse gli oceani. Non sono eccezioni: i vulcani attivi esistono, sono pericolosi e la convivenza alle loro falde richiede una buona dose di fatalismo, come i catanesi sanno bene.
La visita all’Isola di Lanzarote, nelle Canarie, mi riporta improvvisamente indietro nel tempo, quando con gli amici siciliani percorrevo i pendii etnei o la grande Valle del Bove, sull’Etna. Il Parco nazionale di Timanfaya protegge la zona vulcanica, percorribile solo di giorno. Dal 1730 al 1736 sull’isola si sono succedute diverse eruzioni vulcaniche che ricoprirono di lava quasi un quarto del territorio, facendo fuggire i pochi abitanti a causa del calore insopportabile del terreno. Situazione poi ripetutasi nel 1824, con devastazioni e nascita di nuovi coni vulcanici, caldere, crateri e acque ribollenti dove i pesci morivano a migliaia. Oggi, una strada percorre il malpais, la terra cattiva in spagnolo, e permette di ammirare il paesaggio quasi lunare che tali fenomeni hanno creato, un mosaico di colori vividi e sempre cangianti, dal giallo all’arancione al verde.
Ho sempre pensato che un ambiente di tale varietà geologica e paesaggistica possa raccontarsi visivamente meglio grazie a un medio teleobiettivo, con immagini specifiche, piuttosto che con un grandangolo. Presa questa decisione il mio compagno di avventure fotografiche non poteva essere che il Leitz ApoTelyt 180mm, vecchio e immarcescibile obiettivo, la cui leggenda nacque nel 1975 e non accenna ancora a scomparire.
Nato, con altri obiettivi, per soddisfare un ordine della US Navy, il nostro 180mm si segnala per essere il primo obiettivo commerciale dotato di correzione Apocromatica, ovvero la correzione dei colori dello spettro di luce. L’onda di luce, quella almeno da noi visibile tra i 400 e i 700 nanometri, passando attraverso un prisma - e un sistema ottico ne è l’equivalente - scomponendosi nei colori primari, cade su diversi punti di fuoco, tra cui il verde e il blu insieme, mentre il rosso cade su un punto diverso. L’arcobaleno ne è l’esempio classico: la luce, bianca in partenza, passando attraverso le gocce di pioggia, si scompone in tanti colori, ognuno su un punto di fuoco diverso. Ne consegue una sfrangiatura di colore con una conseguente perdita di nitidezza, specie nei teleobiettivi, ovvero l’aberrazione cromatica.
La correzione Apocromatica (da cui il termine Apo) riporta i colori dello spettro sul medesimo punto di fuoco, offrendo pertanto una definizione perfetta. Da rimarcare che, parlando di colori dello spettro di luce e non di colori visibili all’occhio umano, la correzione apocromatica è valida sia per il colore che per il bianconero, permettendo notevoli ingrandimenti. Leitz assicura la correzione Apo sino ai 2,5 metri di messa a fuoco e da questa considerazione deriva la non favorevole messa a fuoco ravvicinata di quest’ottica, perfino disapprovata da alcuni appassionati, ma che dimostra invece la serietà della Leitz. Anche duplicata essa presenta una nitidezza superlativa a TA, e raggiunge il picco delle prestazioni a f/4, a dimostrazione che la correzione Apo è stata pensata e realizzata proprio per usare l’ottica alle prime due aperture di lavoro, e non usufruendo della chiusura del diaframma per migliorare le prestazioni, come succede con una ottica normale.
L’esposimetro della mia Leica R6.2, con soggetti scuri per antonomasia, va guidato con attenzione perché sovraespone regolarmente privilegiando le zone scure, pertanto occorre chiudere il diaframma tra mezzo e uno stop completo, talvolta di più, pena coni vulcanici slavati ed evanescenti.
I paesaggi di Timanfaya mi riportano fatalmente alla mia giovinezza, quando il quadro della sagrestia del Duomo di Catania mi fece capire, forse per la prima volta, che la natura non era sempre un’amica benevola, ma qualcosa di pulsante e potenzialmente terribile: spero che le immagini catturate dall’ApoTelyt, che maneggio ormai da tanti anni da averne consumato la vernice in molte zone del rivestimento, abbiano reso queste peculiarità.
I vulcani delle Canarie, dell’Equador o delle Galapagos, solo per citarne alcuni che ho visitato, mi ricordano sempre che la natura, quella vera, e non l’interpretazione benevola disneyana, è qualcosa di non facilmente addomesticabile, anche con le nostre più avanzate tecnologie, ed è ancora temibile nelle sue imprevedibili manifestazioni.
Avete mai visto un torrente di lava fumante avanzare implacabile verso di voi, senza che niente lo possa fermare? Io sì, ed è una vista che suscita il più puro terrore.
L’Inferno non è solo un concetto religioso, esiste, ed è proprio vicino a noi.
Per approfondire la storia tecnica dell’ApoTelyt 180mm si può consultare il relativo articolo su Historica Wetzlar Italia.
Pierpaolo Ghisetti © 06/2024
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