Prodotto per le Hasselblad serie V (compresa la nuova 503CWD con dorso digitale) e ulteriormente migliorato rispetto alla precedente versione CF, lo Zeiss Sonnar CFi 180mm f/4 è il mediotele ideale per chi non intende scendere a compromessi con la nitidezza... al punto che nel ritratto bisogna usarlo con molta cautela.
L'aspetto "imponente" del Sonnar CF1 180mm f/4.
I grafici MTF del Sonnar 180mm, rilevati a f/8 (in alto) e a tutta apertura (in basso).
Carl Zeiss Sonnar CFi 180mm f/4. Il nome completo non è neppure troppo lungo, se lo si confronta con le interminbabili serie di sigle (per lo più incomprensibili ai profani) che caratterizzano certi zoom destinati al piccolo formato.
La denominazione commerciale dell'obiettivo indica che si tratta di uno schema Sonnar, quindi un derivato del tripletto di Cooke, ma caratterizzato da uno spesso elemento centrale. Anche lui deriva da quel leggendario "Olympia Sonnar" realizzato da Zeiss per le Contax 35mm in occasione delle olimpiadi di Berlino del 1936 e in seguito adattato al medio formato. Detto per inciso, anche la Carl Zeiss Jena (il ramo originario della Casa tedesca rimasto ad est dopo la spartizione della Germania) produceva un 180 millimetri derivato dall'Olympia Sonnar e destinato alle reflex medioformato con attacco P6. Con la differenza che quest'ultimo (essendo destinato a reflex con otturatore sul piano focale) poteva permettersi il lusso di un diaframma in più: f/2,8 anziché f/4 come nel modello destinato alle Hasselblad e dotato di otturatore centrale.
La sigla CFi indica che l'obiettivo è stato migliorato rispetto alla precedente serie CF ("i" sta per "improved"), specialmente per quanto riguarda la verniciatura interna, capace di abbattere drasticamente il rischio di riflessioni parassite migliorando ulteriormente la nitidezza.
Le curve MTF (riprodotte nella colonna di sinistra) mostrano un comportamento superbo se appena si chiude il diaframma di due stop. A f/8 le curve si mantengono alte e piatte sia per quanto riguarda le linee sagittali (linee continue) sia per le linee tangenziali (linee tratteggiate).
La distanza minima di messa a fuoco (155 centimetri tra il piano del soggetto e il piano focale, 133 centimetri tra il piano del soggetto e la lente frontale) permette di riprendere un'area di 36x36 millimetri, con un rapporto di riproduzione pari a 1:6,5. Non si tratta certo di un obiettivo macro, ma del resto non erano queste le intenzioni del progettista. L'area inquadrata alla minima distanza è di fatto ideale per un ritratto in primissimo piano, o per riprendere particolari di architettura e arredamento.
Se usato in unione al dorso digitale V96C la ratio di ingrandimento viene moltiplicata per 1,5 (circa). Questo significa che l'obiettivo si comporta come se fosse un 270 millimetri, incrementando l'effetto tele e la possibilità di riprendere soggetti lontani.
Nell'uso pratico il Sonnar 180mm si rivela alquanto massiccio e pesante, con una lunga escursione di messa a fuoco: occorre ruotare molto la ghiera per ottenere piccoli spostamenti, ma questo va a vantaggio della precisione. Del resto stiamo parlando di un sistema di medio formato, la cui destinazione primaria non è certamente la fotografia "al volo".
Nel paesaggio l'effetto tele è chiaramente percepibile, sotto forma di compressione dei piani prospettici, accompagnata però da una sensazione di "ariosità" e di profondità che - unite alla formidabile nitidezza - consentono allo spettatore di "entrare" nell'immagine.
La ripresa di particolari architettonici o di arredamento, così come lo still-life in studio, si avvantaggia della formidabile incisione di questo obiettivo che però - vogliamo ribadirlo - non è un obiettivo macro! Il suo uso nella fotografia a breve distanza è giustificato solo quando le circostanze contingenti impediscano l'uso di un vero obiettivo macro, ad esempio quando il fotografo di matrimonio voglia avvicinarsi agli sposi per riprenderne le mani appena inanellate, o quando durante un servizio in esterni si imponga la necessità di riprendere un particolare lontano e non facilmente raggiungibile, quale ad esempio un fregio architettonico sull'archivolto di un portone. A sinistra, l'estremità di una trave di sostegno di un balcone scolpita a forma di testa, nel villaggio di Fenilliaz (Valle d'Ayas). Sotto, antica insegna di panetteria affrescata nel villaggio di Antagnod (la scritta recita "Boulangerie - Merlet Jean Baptiste". In centro sono raffigurate alcune forme di pane. Notare, a sinistra, quella strana ciambella con una barra in mezzo, che denota, se non altro, una certa fantasia e un insolito discostarsi dalle forme tradizionali).
Con la sua area di ripresa di 36x36 centimetri, l'obiettivo è ovviamente adatto al ritratto in primo piano. Ma qui cominciano i distinguo. Proprio a causa della sua incisione e nitidezza, questo Sonnar potrebbe giocare brutti scherzi, riproducendo impietosamente quei difetti della pelle che di solito si vogliono nascondere: piccole rughe, pori dilatati, peli superflui.
Qui a sinistra un ritratto di Lenka in primo piano e (subito sotto) un particolare ingrandito dell'occhio che mette in risalto (con i limiti dovuti alla riduzione web) la capacità di resa dei particolari.
Ovviamente tutto dipende dal soggetto: un intenso ritratto maschile o le mani nodose di un'anziana contadina non possono che giovarsi di un'elevata capacità di resa dei particolari. Ma quando si fotografano modelle bisogna andarci cauti, cercando di "ammorbidire" le superfici con un'illuminazione adeguata, o alla peggio ricorrendo a filtri di diffusione (non sempre adatti per tutti i soggetti).
In alternativa si può semplicemente cambiare obiettivo, ricorrendo ad esempio al Sonnar CFi 250mm f/5,6, anch'esso nitido e inciso ma dalla resa generale più morbida e meno tagliente.
Michele Vacchiano © 02/2007
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