Quando lavoravo su pellicola portavo spesso con me una Minox GT, non soltanto in alta montagna (dove la leggerezza rappresenta un valore fondamentale), ma anche in vacanza o in giro per la città. La qualità dell’obiettivo era sufficiente a garantirmi risultati vendibili, mentre le ridottissime dimensioni dell’apparecchio mi consentivano di lasciarlo sempre in tasca, o in una piccola borsa, e in questo modo riuscivo a cogliere spunti interessanti anche quando le circostanze mi impedivano di portarmi appresso le reflex o – peggio – le medio formato. Il problema (condiviso tanto dai dilettanti quanto dai professionisti quando sono ufficialmente “fuori servizio”) è che durante un pomeriggio di shopping la dolce metà non accetta di buon grado di condividere tempo e attenzioni con un corredo reflex!
Al contrario un apparecchio tascabile, se usato con la dovuta rapidità, non soltanto viene tollerato, ma può rappresentare un gioco divertente, una gara a chi dei due si accorge per primo di qualcosa di simpatico da immortalare.
L’avvento del digitale ha messo in crisi anche questo aspetto, dal momento che fino a poco tempo fa le compatte (anche di livello elevato) erano caratterizzate da sensori di dimensioni troppo piccole per poter garantire una qualità sufficiente a soddisfare le aspettative del mercato professionale.
I diversi tentativi e i molti soldi inutilmente spesi non hanno mai convinto i miei clienti istituzionali, giustamente critici soprattutto sulla quantità di rumore elettronico (anche a bassi valori ISO) strettamente dipendente dall’utilizzo di sensori minuscoli.
Mercatino gastronomico in piazza Statuto a Torino. La resa grandangolare dell’obiettivo è ideale, a distanze medio-lunghe, per le vedute d’insieme. Le tende bianche in ombra presentano una dominante azzurrina facilmente correggibile in postproduzione.
Un problema non sufficientemente avvertito dal dilettante, interessato soprattutto alla quantità di pixel presenti sul sensore: un parametro a cui egli attribuisce un’importanza esagerata, irretito dalle case produttrici che fondano specialmente su questo (più che non su elementi di maggior rilievo quali, appunto, le dimensioni del sensore o la qualità dell’obiettivo) i motivi di confronto con la concorrenza.
Gli apparecchi a telemetro ad ottica intercambiabile e le più recenti evil potevano costituire una valida alternativa, ma si tratta sempre e comunque di corredi (quando compri un corpo ad ottiche intercambiabili mica puoi accontentarti di un solo obiettivo) i quali, per quanto piccoli e leggeri, richiedono pur sempre una borsa per il trasporto, e allora addio tascabilità. Poi, finalmente, dopo tanti “rumors”, indiscrezioni, rivelazioni ufficiose, anteprime, prezzi mormorati a mezza voce ma mai definitivamente annunciati, La Fuji Finepix X100 è sbarcata in Europa. Il suo prezzo, non certo popolare ma adeguato alle prestazioni, è più che sostenibile da parte del professionista alla ricerca di leggerezza e semplicità.
Un banco di salumi e formaggi al mercato. Buon comportamento anche nelle riprese a distanza media, con un’ottima resa ai bordi.
E’ vero, non si tratta di una novità assoluta nella categoria, dato che condivide la nicchia di mercato con la blasonata Leica X1. Ma – a parte le ovvie differenze tecniche e costruttive, che non stiamo ad analizzare – va detto che la Leica costa circa il cinquanta per cento più della Fuji: intorno ai 2000 dollari negli USA e poco più di 1500 Euro in Italia, mentre la X100 si può avere a partire da 900 Euro, se si sceglie bene il venditore.
La caratteristica più interessante della nuova compatta è costituita dal sensore CMOS, il cui formato “da reflex” (APS-C) risponde finalmente alle aspettative del professionista che non è disposto a transigere sulla qualità di immagine. La risoluzione contenuta (“solo” 12,3 megapixel) è comunque più che sufficiente a soddisfare le richieste dei clienti professionali, mentre l’obiettivo fisso da 23 millimetri (con un angolo di campo equivalente a un 35 millimetri sul formato pieno) garantisce prestazioni ottiche senza compromessi. L’aspetto un po’ “retrò” è – se vogliamo – una civetteria piacevole, anche se non commuove più di tanto il professionista attento alla sostanza piuttosto che all’estetica. Anzi, in certe circostanze preferirei passare inosservato piuttosto che suscitare ammirazione per quanto è bella la macchina che sto maneggiando…
Sciarpe al mercato. Eccellente nitidezza anche da vicino e buona resa dei colori
anche se il soggetto era in piena ombra.
Un’altra caratteristica utile è la conversione del mirino da ottico a elettronico, con possibilità di inquadrare ciò che effettivamente vede l’obiettivo ed evitare l’errore di parallasse tipico di tutte le telemetro. A dire il vero il mirino elettronico non è comodissimo in termini di luminosità e facilità di visione, ma le informazioni che contiene sono davvero numerose e importanti ai fini del controllo completo dell’immagine. La pressione del pulsante “View mode” permette di selezionare la funzione “Sensore occhio”: staccando l’occhio dal mirino questo si oscura e l’immagine inquadrata può essere osservata sull’ampio display posteriore (funzione utile in macro). Al contrario, accostando l’occhio al mirino si provoca lo spegnimento del display, il che evita riflessi e abbagliamenti.
Un casale contadino in Alta Langa. La X100 è dotata di due impostazioni di espansione della gamma dinamica: DR200 (200%) aggiunge uno stop supplementare di informazioni nelle luci,
mentre DR400 (400%) aggiunge due stop. Questo permette, con un’esposizione accuratamente “pensata”,
di registrare correttamente tanto le ombre quanto le luci, espandendo di fatto la gamma dinamica
dell’immagine. La funzione è attiva quando si lavora in JPEG, cosa che personalmente non faccio mai.
Lavorando in RAW, l’unico modo per ottimizzare la gamma dinamica impedendo la formazione di rumore
elettronico è adottare la tecnica ETTR (espose to the right), cioè sovresporre in fase di ripresa
(pur evitando il clipping delle alte luci) e sottosviluppare in fase di trattamento.
Adottare cioè una tecnica
ben nota a chi fotografa su pellicola in bianco e nero, consapevoli che il sensore di fatto “ragiona”
in bianco e nero e consente (mica tanto paradossalmente) di applicare nella sua forma
più completa il buon vecchio sistema zonale.
A parte le brevi annotazioni appena esposte, qui non parleremo delle caratteristiche tecniche dell’apparecchio (già evidenziate in un precedente articolo di Paolo Limoncelli e in ogni caso facilmente reperibili su pubblicazioni tanto cartacee quanto telematiche), ma ci limiteremo a fornire delle “impressioni di guida” da parte di chi utilizza professionalmente la fotografia e si trova a lavorare con una macchina del genere. La prima impressione è quella di una rassicurante robustezza costruttiva. Solida e meno leggera di quanto ci si aspetterebbe guardandola, la macchina pesa bene sulla mano e si impugna con sicurezza. Si sente che “c’è della roba dentro”. La carrozzeria è ben strutturata e i comandi sono facilmente raggiungibili anche per chi non ha le dita da fata. La cinghia a tracolla fornita in dotazione è di buona qualità e ben rifinita, ma nell’uso sul campo si rivela più un ingombro che un vantaggio: per quanto mi riguarda la macchina sta in tasca (ne parleremo tra poco), o in una borsa assicurata alla cintura quando le tasche non bastano, e non certo al collo. Manca una guancetta ben dimensionata (quella presente è appena accennata), ma il materiale che ricopre il corpo offre egualmente una buona presa.
Controluce deciso con sole diretto nell’inquadratura (parzialmente filtrato dai rami). La nitidezza è elevata, il flare e le immagini fantasma sono del tutto assenti.
La seconda sensazione si fa strada usandola, ed è quella di una riconquistata libertà.
Basta con le borse a tracolla, basta con gli zaini, soprattutto basta con le occasioni perse nel tempo necessario ad estrarre la reflex dal suo contenitore ed eventualmente sostituire l’obiettivo: si va in giro con una macchina sempre pronta e la si estrae in pochi secondi.
Piccola zucca. Il flash forzato ha ammorbidito le ombre rendendole perfettamente leggibili.
Adesso approfondiamo il concetto della “tascabilità”.
Chi si aspettasse un sostituto della Minox resterebbe sicuramente deluso. La X100 è decisamente più grossa e più pesante. Ma sta in tasca? Sì, quando la tasca è generosamente dimensionata: nessun problema se si indossa un giubbotto da pescatore, o una giacca a vento (io le scelgo in funzione delle dimensioni delle tasche), ma togliamoci dalla testa di farla stare nel taschino del camiciotto estivo (mentre la Minox ci stava, accidenti!).
In questi mesi di un autunno anormalmente caldo, non disponendo di tasche adeguate, ospito la X100 in una di quelle piccole borse sportive che si allacciano intorno alla vita. Ho anche acquistato una custodia dedicata, in pelle, dotata di un passante da assicurare alla cintura.
Foglie rosse controluce. In questo caso il flash forzato ha illuminato la superficie del soggetto rivolta verso la macchina, pur senza mortificare l’effetto di trasparenza dovuto al controluce.
L’apparecchio si accende subito e risponde prontamente alla pressione sul pulsante di scatto. Personalmente lavoro a priorità dei diaframmi e con il flash incorporato in modalità forzata: il basso (quasi ridicolo) numero-guida non influisce sulle vedute di insieme, mentre permette un gradevole schiarimento delle ombre nelle riprese da vicino. La modalità macro (l’ormai universalmente nota icona col fiorellino) è costantemente inserita, per poter passare senza ulteriori regolazioni (e conseguenti ritardi) dalle riprese generiche a quelle a breve distanza. L’assenza dello zoom (o della possibilità di sostituire le ottiche) è un limite con cui confrontarsi, ma utile a stimolare la fantasia: quando ci si può muovere ci si ricorda che lo zoom più efficace sono i piedi del fotografo; quando questo non è possibile si decide una nuova inquadratura, ben sapendo che non esiste un unico modo per raccontare un soggetto. Del resto, uscire con una sola ottica è un esercizio che faccio spesso (e che impongo ai miei allievi) allo scopo di esercitare la creatività sviluppando la ricerca di soluzioni alternative.
Okay, non è un vero obiettivo macro e con un’apertura di f/11 non si può pretendere una profondità di campo totale, ma sul piano di messa a fuoco la nitidezza è più che buona e le aree fuori fuoco danno un bokeh morbido e graduale.
Quando ci si muove nella natura, la X100 si rivela ideale per i paesaggi (utilissimo l’orizzonte artificiale) ma anche per la fotografia di particolari, se non si pretendono rapporti di riproduzione da vera macro.
La funzione panorama (la macchina esegue autonomamente una serie di scatti mentre viene ruotata) è comoda e simpatica, anche se personalmente preferisco effettuare manualmente gli scatti che ritengo necessari per poi assemblarli via software in postproduzione. Poiché lavoro esclusivamente in Raw non sono interessato alla possibilità di simulare la resa delle diverse pellicole: una funzione utile invece a chi lavora in Jpeg.
Quello che ho notato con l’uso sul campo è la tendenza dell’apparecchio a indurre dominanti fredde nelle zone d’ombra: una caratteristica che si corregge facilmente in fase di trattamento del Raw.
Ottimo il comportamento dell’obiettivo nelle situazioni di controluce: anche con il sole nell’obiettivo il flare appare estremamente contenuto e non compaiono quelle immagini-fantasma del foro del diaframma così frequenti (e fastidiose) quando si adoperano gli zoom. Un pregio particolarmente apprezzato da chi – come me – è abituato da sempre al comportamento ineccepibile degli obiettivi Zeiss.
La macchina può montare un suo paraluce dedicato.
Ovviamente l’ho subito acquistato, ben convinto che – come sentenziava Ansel Adams – non esista fotografia senza paraluce. Peccato però che l’uso di questo accessorio sia particolarmente macchinoso. L’obiettivo, infatti, non è filettato: per montare filtri e paraluce bisogna rimuovere un anello avvitato al fronte dell’obiettivo e sostituirlo con un altro anello (che si acquista a parte), questa volta filettato. A questo secondo anello si possono avvitare filtri con diametro 49 millimetri e il paraluce dedicato a baionetta. Una complicazione tanto inutile quanto inspiegabile. Vabbe’, si dirà, sostituiamo una volta per tutte l’anello fornito in dotazione con quello filettato e lasciamo quest’ultimo costantemente montato. Ebbene no, perché su questo secondo anello il tappo copriobiettivo si innesta in modo impreciso e alla fine si rischia di perderlo.
Personalmente ho risolto il problema rovistando nel mio fornito cassetto di tappi e trovandone uno in grado di adattarsi (il tappo posteriore di un obiettivo per il grande formato), ma sinceramente ritengo che Fuji avrebbe dovuto curare questo aspetto con maggiore professionalità.
Conclusioni.
Al di là di questi limiti, del resto superabili, si può dire che la X100 rappresenta la scelta ideale per il professionista esigente in tutte quelle circostanze che rendono impossibile o eccessivamente laborioso l’utilizzo dei corredi reflex o delle ottiche intercambiabili. Certo, quando fotografo l’architettura uso apparecchi a corpi mobili, o più semplicemente il Distagon da 18 millimetri montato sulla reflex; quando devo fornire un servizio sui fiori di montagna porto con me la Hasselblad equipaggiata con dorso digitale e Planar 135mm montato sul soffietto…
Ma quando viaggio, quando visito un mercato, durante un trekking da rifugio a rifugio o un semplice pomeriggio con la famiglia, trascorso a navigare sul Po o a passeggio nei parchi cittadini, la X100 mi permette di cogliere tutte quelle occasioni fotografiche che prima mi sfuggivano, perché – diciamocelo – mica mi posso portare appresso un corredo reflex full-frame ogni volta che mi muovo da casa…
Michele Vacchiano © 10/2011
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Vecchio carro per il trasporto dell’uva. Il soggetto in piena ombra è stato illuminato dal flash incorporato nell’apparecchio, che nonostante la ridotta potenza è riuscito a rendere visibili tutti i particolari del soggetto.