A volte le compatte sono comode davvero. Avere un obiettivo fisso, non intercambiabile, può essere vissuto come una liberazione. Non devi chiederti quale focale sarebbe più adatta: semplicemente inquadri e se ti piace la scena così come la vedi, scatti; se non ti piace, eviti di fotografare e ti sposti. La compatta obbliga il fotografo al movimento, là dove la reflex tende ad impigrirlo.
Quando si viaggia, poi, la compatta è forse la scelta migliore. Un buon fotografo sa trovare splendide occasioni fotografiche anche se non dispone di un parco ottiche esagerato, o peggio di uno zoom 18-600. Per quanto mi riguarda, trovo divertente viaggiare leggero: giusto la Minox nel taschino della giacca, e non solo quando mi avventuro per ghiacciai impervi.Il problema è che ormai molti fotografi si ritengono insoddisfatti del piccolo formato. L'obiettivo può essere performante quanto si vuole, ma una diapositiva 24x36 proiettata su uno schermo non permette certo di cogliere i particolari più fini dell'inquadratura. Non è certo un difetto, ma un limite fisiologico che il sistema non è progettato per superare. Lo stesso dicasi per la stampa da negativo: se si oltrepassano i 20x30 cm un negativo di piccolo formato inizia a rendere evidenti i propri limiti, anche se l'obiettivo si chiama Planar o Elmarit.
Nel medio formato esistono prevalentemente sistemi reflex, ad anche sistemi a telemetro ad ottica intercambiabile. Macchine con obiettivo fisso se ne trovano poche, se si eccettuano le biottiche 6x6, e la comodità della compatta nel medio formato è quasi sconosciuta.
Ho detto "quasi", perché in realtà esistono quattro "compattone" di medio formato davvero interessanti prodotte dalla Fuji. Le sigle identificative di queste macchine sono piuttosto sibilline: GW670, GW690, GSW670, GSW690. Vediamo di spiegarle. I numeri 670 e 690 si riferiscono al formato del fotogramma: le Fuji GW sono proposte in due modelli, rispettivamente in grado di fornire fotogrammi 6x7 e 6x9 su pellicola 120. A loro volta i due modelli sono proposti in versione "normale" e in versione "super": per intenderci, con obiettivo EBC Fujinon 90 mm f/3,5 e con obiettivo EBC Fujinon 65 mm f/5,6. Il 90 è da considerarsi obiettivo normale per il formato 6x7 (equivalente a un 45 mm nel piccolo formato) e moderatamente grandangolare (come un 37 mm) per il formato 6x9; mentre il 65 mm si comporta da grandangolare moderato nel formato 6x7 (equivalente a un 32 mm) e da grandangolare medio (come un 28 mm) nel formato 6x9.
La macchina è costruttivamente semplice: di fatto è un corpo molto spartano costruito intorno all'obiettivo. Sia il 90 che il 65 mm sono caratterizzati da una resa superba: buon contrasto, splendida resa dei colori, definizione elevata. Queste caratteristiche, unite al formato del fotogramma, regalano immagini in grado di sorprendere chi proviene dai formati inferiori, ma comunque eccellenti anche agli occhi di chi è abituato a lavorare con il medio o il grande formato.
Ho avuto in prova la GW690III ("III" indica che l'apparecchio è ormai giunto alla sua terza edizione) e qui di seguito riporto le mie "impressioni di guida".
Con le sue proporzioni (2:3) il formato 6x9 è quello che risulta più familiare a chi è abituato al 35 mm e consente anche ottimi tagli panoramici: un negativo di 4,5x9 cm è ancora sufficientemente grande da poter essere stampato con risultati spettacolari. Il 6x7 è meno familiare al dilettante, più consono forse alla mentalità di chi lavora in grande formato. Personalmente preferisco queste proporzioni, più vicine alla perfezione del rettangolo aureo, anche se devo ammettere che una diapositiva 6x9 è davvero bella da guardare.Come preannunciato, si tratta di una splendida lente. Nel formato 6x9, da me provato, si comporta da grandangolare moderato. E' un po' come avere tra le mani una compatta equipaggiata con il classico 35 mm: una focale che va bene tanto per il paesaggio quanto per il reportage di ambiente umano. Non troppo vicina al mio modo di fotografare (personalmente preferisco selezionare di più l'inquadratura) ma, come ho già detto, se la composizione non convince la fotografia non si fa, semplicemente. Le ghiere sull'obiettivo sono un po' piccole e non troppo comode da maneggiare. L'apertura relativa massima non è eccezionale ma più che sufficiente per fotografare il paesaggio, anche in condizioni di ridotta luminosità ambientale. Devo confessare che non ho mai utilizzato l'obiettivo a tutta apertura, ma sempre a diaframmi intermedi.
Il corpo macchina ha un aspetto piuttosto dimesso, con tanta plastica che ricorda certe compattine di poco prezzo. In realtà è robusto anche se spartano, come si conviene a un corpo costruito giusto per contenere la pellicola. Manca l'esposimetro, ma per il professionista questo non costituisce davvero un problema. Il mirino a sdoppiamento di immagine è luminoso e ben fatto. Come in tutte le macchine con mirino galileiano l'errore di parallasse diviene evidente alle brevi distanze di ripresa: anche se corretto, esso provoca in ogni caso una differenza di angolazione che diventa tanto più sensibile quanto più ci si avvicina al soggetto. Il sistema di caricamento della pellicola è facilitato, il che viene avvertito come una benedizione da chi è abituato a lavorare col formato 120.
La livella a bolla è sistemata sulla parte superiore dell'apparecchio, a sinistra del fotografo. Una posizione davvero scomoda quando si fotografa a mano libera: sarebbe meglio poter vedere la bolla direttamente nel mirino. Inoltre si avverte la mancanza di una seconda bolla per le riprese in verticale. Molto comodo, invece, il doppio pulsante di scatto, sia coassiale alla leva di carica che inserito sul frontalino dell'apparecchio, a destra di chi fotografa. Un'utile levetta di blocco impedisce scatti accidentali.
Per quanto pesante, la macchina si impugna comodamente (merito anche dell'obiettivo generosamente dimensionato, che appoggia bene sul palmo della mano). L'otturatore centrale, discreto e silenzioso, è sincronizzabile con il flash su tutti i tempi: una comodità sconosciuta a chi usa la reflex 35 mm, oltre che un utile mezzo per ampliare le proprie possibilità espressive.
L'aspetto da compatta, la buona impugnabilità e la comodità operativa rischiano di trarre in inganno il fotografo, che si sente invogliato a comportarsi come i turisti giapponesi a Firenze, che scattano a raffica consumando rullini su rullini. In realtà ci si accorge presto che si ha a che fare con un altro mondo e con una ben diversa filosofia del fotografare: sulla pellicola 120 ci stanno giusto otto fotogrammi, non uno di più; questo significa che non appena uno incomincia a prenderci gusto è già ora di sostituire il rullino. Una vera rottura, che però ci ricorda che abbiamo in mano un apparecchio professionale, capace di regalarci un'area impressionabile che sta giusto sul confine tra il medio e il grande formato, e che di conseguenza richiede inquadrature più meditate e selezionate, un approccio studiato e non frettoloso, con tutto vantaggio per la qualità di immagine.
Michele Vacchiano © 07/2001
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