Nel vasto complesso di obiettivi creato dalla Carl Zeiss per il sistema Contax/Yashica, un’ottica sicuramente primeggia, per realizzazione e prezzo: l’Apotessar 300/2,8.
Quest’obiettivo si affianca alla più classica, ed economica, versione f/4, per distaccarsene non solo nelle dimensioni fisiche, frutto di una apertura relativa superiore di uno stop, ma anche nella manifattura, più artigianale ed esclusiva, che si nota non solo nei particolare costruttivi dell’ottica in questione, ma perfino nella valigetta che trasporta il complesso, ottica e moltiplicatore dedicato 1,4x.
Come dichiarato esplicitamente l’ottica possiede la correzione apocromatica dei colori dello spettro visibile: ciò vuol dire che, contrariamente alle ottiche normali che mettono a fuoco due dei colori dello spettro, quest’ottica ne mette a fuoco tre, con conseguente assenza di ogni sfrangiatura di colore, e incisione complessiva di livello superiore. Poiché l’aberrazione cromatica aumenta con l’aumento della focale è chiaro che un tele da 300mm che possiede questa correzione si pone su un pianeta diverso rispetto ad un obiettivo di equivalente lunghezza focale che invece è di costruzione ottica più semplice.
Per ottenere questo risultato è stato usato un vetro Schott a base di fluoruri tipo N-PK 52A, a bassa rifrazione e bassissima dispersione, in due elementi tra i 7 che compongono lo schema ottico, suddivisi in 6 gruppi.
Inoltre la messa a fuoco è interna, questo vuol dire: nessun sbilanciamento nella messa a fuoco ravvicinata, minor atrito, per minor spostamento delle parti mobili, maggior velocità operativa. La minima distanza di messa a fuoco è posizionata a 3,5 metri.
Il peso di quest’ottica è di 2,700g, che diventano 3kg con la speciale valigetta in metallo in dotazione; in proporzione il 300/4, che pesa solo 1,2kg, sembra una piuma: questo è lo scotto da pagare per un solo stop di differenza in luminosità in un 300mm. L’enorme lente frontale, di ben 12 centimetri di diametro, viene protetta da uno speciale ‘tappo’ in metallo, dal peso di 70 grammi, che viene avvitato sulla ghiera frontale. Naturalmente l’ottica è completata dall’attacco per il cavalletto, il cassetto portafiltri e un enorme paraluce rientrante. La produzione dell’Apotessar 300mm è certificata in 750 esemplari in tutto, secondo la Zeiss FabrikazionBuch: tuttavia, considerando l’estrema rarità di quest’ottica, la cifra appare più come una produzione presunta o programmata che reale.
Dal punto di vista dei parametri ottici la distorsione si attesta sullo 0,5% (invisibile), mentre la vignettatura si attesta sul valore di mezzo diaframma a f/2,8 mentre a f/5,6 scompare. La resa ottica è eccezionalmente uniforme su tutto il campo inquadrato e a tutta apertura è già ai massimi livelli: la chiusura del diaframma non influisce sul miglioramento delle prestazioni ma solo sulla profondità di campo. Una nota sui duplicatori: mentre con lo 1,4x la resa ottica si mantiene praticamente immutata, con il 2x abbiamo notato una leggera, ma evidente, caduta di qualità, specie ai bordi, poiché l’introduzione di lenti non specifiche al progetto apocromatico, influisce negativamente sull’aberrazione cromatica.
Ricordiamo che nel 2001 il 300/2,8 per Hasselblad era stato eletto miglior obiettivo dell’anno da i lettori di una rivista tedesca, segno che in questo campo la Carl Zeiss possiede una tecnologia di assoluta eccellenza.
In definitiva un’ottica eccezionale, che ai tempi della Lira raggiungeva quotazioni da capogiro, in quanto costruita quasi su ordinazione, tanto che in Italia ne sono arrivati pochissimi, forse cinque al massimo. Una esperienza unica con una delle ottiche Zeiss più esclusive e perfette.
In azione con L’Apotessar
Anni di frequentazione della conca Ampezzana mi hanno insegnato orari e posizioni migliori per riprendere le varie cime e i mutevoli colori delle Dolomiti, spesso presenti solo per pochi attimi. Non basta infatti disporre di un superteleobiettivo, una buona fotocamera, una Contax Aria, in questo caso, e di un ottimo cavalletto Manfrotto per eseguire immagini accattivanti: occorre sapere quando e dove rivolgere tutto questo Ben di Dio fotografico.
Le giornate di settembre ed ottobre sono tra le migliori dell’estate per cogliere momenti magici, grazie al sole più basso, ma anche in inverno, in giornate particolarmente terse e brillanti, si riescono ad ottenere incisioni notevoli, sia per merito delle ottiche migliori, sia perché la mancanza di velo fotografico, nubi, nebbie, o ondate di calore, permette di fotografare al meglio montagne lontane migliaia di metri in linea d’aria.
Occorre poi evitare immagini scontate, ove la nostra cima appare, per così dire, nelle sue sembianze più note, quasi ufficiali, quelle che la fanno riconoscere immediatamente. Con un 300mm o con 420mm, se viene montato il duplicatore, appaiono solo determinati particolari del monte, e ci si può sbizzarrire a cercare inquadrature ove i pinnacoli e gli angoli dolomitici risaltano come corpi a sé stante, separati dalla massa montuosa principale. Con il voluminoso complesso dell’Apotessar ho scelto alcuni belvedere facilmente accessibili, che mi permettessero delle buone inquadrature senza troppe sfacchinate: spesso ci si può agevolare la vita (fotografica) con una buona conoscenza topografica e stradale.
Il diaframma utilizzato è stato sempre f/4, in quanto era inutile una diaframmatura maggiore a discapito del tempo di posa, che è sempre bene tenere il più breve possibile, anche su cavalletto. Per i colori, variabili tra il violetto e il rosato acceso, la famosa Enrosadira, e che, detto per inciso, sono tutti naturali come appaiono nelle foto, senza alcun ritocco, occorre aspettare pazientemente il momento giusto, magari sottoesponendo di mezzo diaframma, per caricare ulteriormente la saturazione cromatica. Se per caso i colori desiderati non appaiono, occorre... aspettare un altro giorno!
Ma tutte le precauzioni possibili alla fine ripagano, perché le buone immagini non sono mai frutto del caso.
Pierpaolo Ghisetti © 01/2011
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