LA FERRATA CON LA CONTAX T2
Pierpaolo Ghisetti, maggio 2013

Sono le otto del mattino di un fine agosto nelle Dolomiti: in pianura c’è la solita afa soffocante che non fa respirare, ma anche qui, a duemila metri di quota, si sente che il fresco durerà ancora per poco. L’anticiclone africano oramai si spinge fino alle Alpi e le Dolomiti, più basse e situate più a sud dell’arco alpino, ne risentono: l’aria è innaturalmente tiepida anche quando dovrebbe esserci una brezza frizzante.
Con mia moglie come fedele compagna ci avviciniamo alla parete del Lagazuoi, nei pressi del Passo Falzarego: gli Alpini hanno tracciato una nuova Via Ferrata al Col de Bos e vogliamo sperimentarla. In poco meno di un’ora siamo all’attacco: ci imbraghiamo e indossiamo i caschi. Dalla tasca del pile Patagonia controllo per l’ultima volta la Contax T2 che ho portato con me: piccola, ma non piccolissima, completa nelle funzioni, e dotata dell’eccellente Sonnar 38/2,8, pesa solo 300g e trova la sua perfetta collocazione nella tasca del pile. Una vera macchina da montagna, sia nel peso che nelle dimensioni.
Il suo obiettivo a scomparsa ne riduce grandemente l’ingombro e l’autofocus permette di scattare con una sola mano, mentre l’altra è ancorata alla corda fissa. Il flash incorporato è ottimo per i controluce, ma il vero asso nella manica risiede nell’ottica Sonnar. Incisa e contrastata, dona alle immagini quella saturazione cromatica che fa staccare i primi piani (in questo caso le persone) dallo sfondo della roccia, con una accentuata tridimensionalità che nelle diapositive fa rivivere gli emozionanti momenti quando, sospesi nel vuoto, grazie agli ancoraggi artificiali, si ritrova il piacere di un’arrampicata in piena sicurezza in un ambiente da favola.

Affronto i primi tiri di corda, i più impegnativi, secondo la relazione, con una certa prudenza ed arrampico piano ed in modo equilibrato, senza strappi e con movimenti controllati. In realtà il tratto impegnativo (o passaggio filtro, come viene chiamato in gergo) è più semplice del previsto e, una volta scaldati i muscoli, mi volto e scatto una serie di immagini a mia moglie che, senza fare la minima piega, arrampica con naturale eleganza.
La ex-strada militare che abbiamo percorso nell’avvicinamento si staglia a perpendicolo ormai sotto di noi sempre più piccola e l’ebbrezza di muoversi sul vuoto è controllata dall’esperienza e dalla gioia di ritrovarsi nell’ambiente prediletto.
Infatti man mano che saliamo lungo il percorso, sempre ottimamente attrezzato, appaiono tutte le cime della conca Ampezzana, ed oltre: dal potente Sorapiss alle piccole Cinque Torri, la lontana Civetta sino alla bianca Marmolada. Dopo circa un paio di ore che saliamo lungo i cavi, in perfetta tranquillità, e godendo di una giornata stupenda e mai troppo fredda, arriviamo al punto finale, costituito da un altopiano erboso a circa 2500 metri di quota, vero terrazzo che si affaccia sulla rosata Monument  Valley dolomitica: alle nostre spalle si snoda il favoloso e turrito Gruppo di Fanis. Ogni cima è un ricordo, un compagno diverso, un momento di vita passato insieme a questi sassi, cui doniamo un amore forse inutile ed insulso, ma che ci ha riempito le ore dell’esistenza.

Gli Alpini hanno compito un’opera notevole: non lontano dalla strada che porta al Passo e quindi con un accesso comodo, attraverso una vecchia strada militare risalente alla Prima Guerra Mondiale, hanno disegnato una Via Ferrata mai troppo difficile, diciamo di livello medio, ma che, con un tracciato logico ed elegante, si snoda su un pilastro laterale del gruppo del Lagazuoi, con un finale aereo che completa degnamente la salita. La discesa, attraverso un bel ghiaione rossastro, è di un’ora e mezza.
La Contax mi ha seguito docilmente durante tutta la salita, ora in mano mia ora in mano a mia moglie: grazie all’autofocus e all’esposizione automatica, ho potuto maneggiarla con estrema disinvoltura. Una delle caratteristiche salienti del Sonnar è rappresentata dall’ottima leggibilità delle zone d’ombra, senza mai chiudere troppo l’esposizione, ma con un rapporto equilibrato con le zone di luce. Da considerare che, a causa delle dimensioni delle lenti, il piccolo Sonnar è afflitto da una discreta vignettatura, che non scompare neanche chiudendo il diaframma a f/8. Ho scattato anche diversi fotogrammi alla medesima inquadratura, perché il contrasto tra cielo e roccia poteva portare ad esposizioni diverse, privilegiando sempre il cielo per ottenere immagini opportunamente sature.
Trasmettere e tramandare l’emozione di una giornata perfetta: alla Contax non potevo chiedere di più.

Pierpaolo Ghisetti © 05/2013
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