Reggio Emilia: due prestigiose sedi, i Chiostri di San Domenico e Palazzo Magnani, ospitano dal 4 febbraio al 25 marzo la mostra LUIGI GHIRRI, ANTOLOGICA 1972-1992, dedicata al grande fotografo nato a Scandiano (Re) nel 1943 e scomparso nel 1992.
Le 600 fotografie esposte, scelte da Massimo Mussini e Paola Borgonzoni Ghirri, provengono dalla Fototeca della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e documentano l'intero percorso creativo di Ghirri, che, pur se consumato in un arco di tempo di vent'anni, lo ha fatto diventare uno dei venti fotografi più significativi del XX secolo, secondo i curatori della mostra Photographie 1922-1982 tenuta a Colonia nel 1982, dove era il solo italiano presente.
Nei Chiostri di San Domenico sono visibili 350 "scatti" del primo periodo (1972 - 1979), dai lavori con alcuni artisti concettuali, oggi di fama internazionale, alle sue prime ricerche sul "linguaggio" e sui "codici" della fotografia pubblicate in Kodachrome (1970-1978), Infinito (1974-75), fino al Ghirri organizzatore e protagonista di mostre in Italia e all'estero. Le sale di Palazzo Magnani presentano, invece, 250 opere che si riferiscono agli anni dal 1980 al 1992, periodo iniziato con la sua personale a Parma che segna una svolta fondamentale per la sua attività di ricerca. Seguirà l'invito alla Biennale di Venezia, una mostra a New York e una modifica del suo approccio concettuale verso il tema del paesaggio. E' in questo momento che viene affascinato dall'architettura, soprattutto dalle opere di Aldo Rossi. Successivamente si occupa dei luoghi di cultura, in particolare degli interni dei musei, e studia la pittura di Giorgio Morandi, colpito dalla luce dei suoi dipinti. Negli anni Ottanta, tutto il suo lavoro rivela il desiderio di consegnare all'immagine fotografica il compito di guidare l'individuo, ormai completamente condizionato dagli stereotipi visivi, verso il recupero dell'immaginazione.
"Comunque lo si voglia riconoscere, il ruolo da lui rivestito nella fotografia contemporanea scrive nel suo testo il curatore Massimo Mussini - è certamente stato rilevante e lo attesta il cambiamento che ha impresso al modo di rappresentare il paesaggio nel corso degli anni Ottanta e in genere alla fotografia italiana dell'ultimo quarto di secolo".
La mostra è promossa dalla Provincia e dal Comune di Reggio Emilia con la collaborazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia "Pietro Manodori", di CCPL, della Bipop-Carire, di CNA e della Federico Motta Editore che ha curato l'edizione del volume-catalogo.
LUIGI GHIRRI, ANTOLOGICA 1972 1992
Reggio Emilia, Chiostri di San Domenico e Palazzo Magnani
4 febbraio 25 marzo 2001
Biglietti: L. 10.000 intero; L. 8.000 ridotto; L. 5.000 scuole
Orari: 10.00 19.00. Lunedì chiuso
Informazioni: tel. 052 2459415 052 2459408 fax 052 2452349 email: r.grassi@mbox.provincia.re.it.
Biglietterie: tel. 052 2451722 (Chiostri di San Domenico) - tel. 052 2454437 (Palazzo Magnani)
Sito web: www.palazzomagnani.it.
Ugo Mulas, Un Archivio per Milano.
Approfondimento.
Si è inaugurata ieri (4 ottobre 2000) alla Galleria Carla Sozzani in Corso Como 10 la personale di Ugo Mulas, Un Archivio per Milano. La mostra, che ripercorre i punti fondamentali della carriera del fotografo, è un omaggio importante al personaggio, all'uomo, all'artista e, più in generale, alla fotografia italiana. Omaggio che certo non dispiace vista la bellezza delle immagini esposte e l'ottima scelta del percorso fotografico fatta dagli organizzatori.
Divisa idealmente in quattro distinte sezioni, la mostra ripercorre il lavoro di una vita intera, dalle prime immagini, rubate nella periferia urbana milanese, agli esperimenti degli ultimi anni, detti "Verifiche". Se da un lato vediamo un Mulas intento nel riprendere la quotidianità periferica di una città industriale, foto dure, immerse in un'atmosfera gelida, istintive, forse didascaliche; dall'altra possiamo finalmente scoprire il fotografo che ha ideato, o quasi, un genere, che ha creato una fotografia per l'arte, un'arte fine a se stessa che ritrova la sua massima espressione significativa nella intrusione discreta nel mondo e nella realtà di pittori, scultori, poeti... Vediamo Montale, vediamo Fontana, vediamo Man Ray, Pomodoro e molti altri intenti nella creazione delle proprie opere, nella normalità dei loro ambienti, nella bellezza delle forme che li circondano, li avvolgono e, quelle forme, sono le loro, sono l'arte nata dalla loro mente. Mulas è entrato in questo mondo, ne è entrato come semplice ritrattista e ne è uscito vincente. Artista anch'egli senza troppa filosofia, con la semplicità intuitiva della ripresa fotografica nella normalità assoluta che un'immagine può regalare alla complessità di un'arte.
Cronologicamente per seconda, ma non per esposizione, vi è la serie dedicata all'inaugurazione dell'opera di Christo sul monumento a Vittorio Emanuele in Piazza del Duomo: un reportage compiuto, semplice, convenzionale ma reso estremamente piacevole dalla capacità del fotografo di rendere l'ambiente come fosse un palco, il gigantesco palco di un teatro. Sono immagini ingenuamente teatrali e sta proprio in questo l'originalità di questo reportage.
Ultima parte della mostra è quella delle così dette Verifiche. Queste immagini sono dedicate alla fotografia stessa, ognuna rappresenta un modo di vedere e di vivere la fotografia. L'intenzione è originale perché muove dal concetto di una fotografia come fine e causa di se stessa, una fotografia che dovrebbe trovare il motivo dell'esistenza in se stessa e per se stessa. Una sperimentazione originale giustificata dal periodo storico, siamo negli anni settanta, ma che trovo estremamente, forse troppo, concettuale. L'esporre una foto non fatta, ad esempio, ovvero esporre il nulla, il vuoto, l'inesistente risulta un esercizio ambizioso che scade nell'intellettualizzazione forzata dell'idea di fotografia. Inquadrare quest'operazione e tutte le Verifiche in un processo di creazione artistica pura non riesce a giustificare l'esasperazione eccessiva delle parole, il tentativo di fare una "filosofia" incerta che fa perdere quella intuitiva semplicità che caratterizza l'arte del Mulas del Bar Giamaica, dei ritratti di Montale, di Fontana, di Pomodoro.
Luigi Ghirri. In mostra presso Photology, Via della Moscova 25 Milano.
Approfondimento: semplice spontaneità.
Elogio alla semplicità. Poesia del quotidiano. Attimi di tranquilla spontaneità fotografica. Geometrie di un mondo alla ricerca di una propria personalità. Intuizioni, queste, che emergono dalla visione della mostra di Luigi Ghirri, una mostra che si muove e prende vita nei meandri di queste sensazioni, di questi aspetti che il fotografo sapientemente cela dietro una patina di convenzionalità fotografica.
Ghirri ha la capacità di riprendere i particolari più comuni della realtà e di trasmetterli come quadri di una sensazione personale, come attimi magici di una tranquilla normalità quotidiana. Contrasti a cui è difficile sfuggire. Stupisce vedere come un angolo di una strada, quattro cipressi, un muro, una spiaggia assolata, una piazza di una periferia deserta, un manifesto dietro un vetro, divengano soggetti di piccoli e meravigliosi racconti. La sua capacità di trasmettere le situazioni più comuni come aspetti di un sistema più grande e di geometrie esistenziali, è alla base di un capillare lavoro di riproduzione della realtà. Ghirri riprende la realtà senza troppe intromissioni soggettive, la fotografa, la cattura nei suoi momenti più comuni e, volendo, più banali. È proprio questa sorta di banalità dei soggetti ripresi che conferisce un fascino particolare alle immagini; immagini che regalano personalità agli elementi ripresi e gli investono di un'atmosfera particolare e nascosta, quella stessa che, vissuta soggettivamente, ha spinto il fotografo alla cattura di quell'attimo muto, immobile ma "celatamente" vivo. È una specie di schema circolare, ogni elemento conferisce ad un altro qualcosa di nascosto; pertanto, in questo processo, il punto di partenza coincide con quello di arrivo.
Giocare con le immagini di tutti i giorni, con la normalità delle cose e scovare in esse quel particolare che le rende speciali, trovarlo e, soprattutto, riuscire a trasmetterlo è la grande intuizione di Luigi Ghirri. Colori slavati, morbidi, oggetti e ambienti saturi della loro semplicissima realtà quotidiana, inconsapevoli del loro esistere, diventano protagonisti di immagini geometriche, perfettamente geometriche, simbolo e particelle di un sistema di cose più grande, del tentativo costante di donare personalità alle cose comuni, agli ambienti logori di ideali città di frontiera.
World Press Photo
fotogiornalismo e reportage.
Conclusasi sabato alla Galleria Carla Sozzani la mostra di World Press Photo, è giusto, alla luce dell'importanza che ogni anno riveste questa iniziativa internazionale, ripercorrere e tirare le somme di quest'ultima edizione. L'importanza del fotogiornalismo nello scenario della comunicazione globale è indubbia, come è indubbio che l'uso di questo mezzo d'espressione sia necessario (ancora necessario!) per la trasmissione di valori, di avvenimenti, di momenti "del mondo dal mondo" che sono elemento per la conoscenza di luoghi lontani, di situazioni distanti
anche drammaticamente distanti. La fotografia allora diventa un mezzo per la comunicazione di valori, un mezzo per sensibilizzare, per permettere la conoscenza di svariate realtà, anche dure, anche orride ma che esistono e spesso si nascondono affogate in silenzi di drammatica profondità.
World Press Photo è un'iniziativa che raccoglie le più significative esperienze fotogiornalistiche mondiali, e sono proprio questi momenti di testimonianza che rendono grande il lavoro compiuto da uomini che hanno avuto il coraggio e la forza di entrare in situazioni difficili, di narrarli e di renderli indelebili alla memoria storica. Divisa in più sezioni, immagini di guerra, di sport, di scienza ecc, l'esposizione si diramava su campi di analisi differenti; si concentrava sull'analisi di condizioni di vita disagiate e su forti scene di guerra, per poi spaziare sulla rappresentazione di attimi di vita e di decadenza sociale. Difficile descrivere a parole quello che tali fotografie, nella loro intensità, trasmettevano all'osservatore; difficile cercare di descrivere i volti, le espressioni di persone sbattute dagli eventi, estirpate dalla decadenza e dal male della storia; difficile reggere certi sguardi che i soggetti di alcune fotografie di duro reportage lanciavano come protagonisti di vicende infernali.
Oltre all'impatto di queste immagini l'esposizione di World Press Photo faceva un excursus su altri generi di espressione fotogiornalistica, dai miracoli della scienza, foto spettacolari per il loro impatto visivo, si passava agli avvenimenti sportivi
avvenimenti sportivi documentati grazie a fotografie spesso costruite e a volte "strane" nel loro momento di ripresa.
Un conflitto di generi che, in un certo senso, spiazzava il visitatore, ma che rientrava e rientra nella celebrazione di un genere di fotografia a volte disprezzato, altre volte rinnegato perché, per alcuni "estremisti", non facente parte della concezione purista dell'arte fotografica fine a sé stessa. Forse il reportage non trasmette la visione del fotografo, forse è in questo che si estranea dall'arte in quanto tale, ma rimane elemento e tassello fondamentale per la rappresentazione della realtà per la divulgazione stessa dell'uso della fotografia come mezzo di comunicazione e analisi, aspetti, secondo me, ancora più importati della creazione "sedentaria" di opere che restano solo esercizi di pensiero e pura creatività.
Andrea L. Casiraghi © 2001
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