Appena
pubblicato da 5 Continents Editions, questo volume viene
finalmente a
colmare una grossa lacuna nell'ambito dell'editoria
fotografica italiana. Una prestigiosa raccolta di immagini
accompagnate da parole che, quarant'anni fa, svelarono un
nuovo, rivoluzionario modo di "pensare" la fotografia.
Un'introduzione all'arte fotografica e al suo lessico
specifico ormai divenuta un classico.
Perché
tanta attesa intorno all'uscita di un
volume, per la prima volta disponibile sul mercato italiano, risalente
alla bellezza di quarant'anni fa? Che sia perché Szarkowski, direttore
emerito del dipartimento di fotografia di un tempio
dell'arte mondiale come il MoMA (Museum of Modern Art)
di New York, è anche uno dei più importanti curatori di
mostre al mondo, nonché critico, storico e artefice della
consacrazione di personalità fotografiche quali Diane Arbus
e Lee Friedlander? Che sia perché quest'opera gode della
fama di esser stata capace di svelare e imporre alla
coscienza estetica del popolo americano un nuovo modo di
"pensare" la fotografia, che ha poi impresso di sé ogni
futuro sguardo, ben oltre i confini entro cui è nata?
Insomma: qualche motivo plausibile, effettivamente, pare
proprio esserci. Il volume si presenta bene già dalla prima
occhiata: copertina sobria ed elegante, esatta riproduzione
dell'edizione originale (la foto che vi compare è di autore
ignoto, del 1910), telata e con sovraccoperta; dimensioni
abbastanza grandi per non mortificare le immagini,
abbastanza piccole per essere consultato con estremo agio
(per l'esattezza, 21,5x23cm). Ora che infine ci troviamo
a poter sfogliare questo tanto agognato
oggetto del desiderio (si sa che la rarità è uno dei più
efficaci stimoli al possesso!), scopriamo il perché di tanta
celebrità.
Pubblicato per la prima volta nel 1966, sull'onda di
un'importante esposizione fotografica allestita al MoMA due
anni prima, questo libro nacque in sostanza come "semplice"
catalogo, per poi arrivare ad essere unanimamente
considerato come un'opera di riferimento, un'introduzione
alla storia della fotografia e al suo linguaggio visivo in
breve tempo considerata un classico. La domanda-fulcro
attorno a cui ruota lo svolgimento dell'opera risulta essere
questa: quali fattori indirizzano l'occhio del fotografo,
intento alla sua opera di selezione del reale? (perché di
"selezione" si tratta, adesso, e non più di "sintesi"
e più o meno arbitraria combinazione di elementi provenienti
da tempi e luoghi diversi, come si dava invece in pittura);
che scelte stilistiche e visive si trova a dover compiere nell'ambito di questo
rivoluzionario orizzonte creativo? Quali sono le
caratteristiche distintive ed esclusive di questo nuovo
sguardo "automatico", così diverso da ogni altro sguardo
precedente; quali le possibilità a disposizione del
fotografo per eludere i limiti di un'intrinseca
"meccanicità", riuscendo a dar vita ad immagini che possano
a buon diritto ambire ad essere considerate arte? E, sia ben
chiaro, Szarkowski ne parla qui come di un'arte "a sé", autonoma,
provvista di un lessico specifico, e dunque già emancipata
dal paragone con la pittura: un approccio critico che, se
oggi può apparire scontato, quarant'anni fa non lo era
affatto (e anzi, costituì uno dei maggiori argomenti che
decretarono l'interesse nei confronti di questo lavoro). «Per farsi
capire con chiarezza - scrive Szarkowski, ripercorrendo
le sorti di una pratica ancora in piena crisi d'identità - il fotografo avrebbe dovuto trovare altri modi, e
questi nuovi modi sarebbero stati individuati da coloro che
seppero abbandonare i criteri tradizionali della pittura;
oppure da coloro che, del tutto ignari di arte, non
dovettero infrangere alcun antico patto di fedeltà»:
l'occhio del fotografo, in sostanza, matura all'insegna di una persuasa
autarchia. Il suo compito primario sarà allora proprio quello, ripercorso in
queste pagine, di prendere coscienza in maniera graduale «dei caratteri e dei
problemi che apparivano connaturati al mezzo stesso», considerato che «la
fotografia è nata tutta intera, come un organismo. La sua
storia consiste nel percorso attraverso il quale ne facciamo
la progressiva scoperta».
Tali domande, e le relative risposte, motivano la suddivisione in sezioni che
caratterizza il libro; cinque capitoli, che sono poi altrettante indicazioni su come
porsi di fronte ad una fotografia (o, altresì, come porsi di
fronte al reale che si vuol fotografare), come "esplorarla"
nei suoi elementi linguistici caratterizzanti, come
penetrarne più consapevolmente la creazione; eccoli,
nell'ordine: La cosa in sé - Il particolare - L'inquadratura - Il tempo - Il punto di vista.
Non aspettatevi un libro composto per la maggior parte da
testo: dopo una breve e assai pregnante introduzione presente in apertura del
volume, infatti, saranno le immagini (156 in tutto, ottimamente stampate in
bicromia) a farla da padrone, e questi cinque punti risulteranno declamati
soprattutto dalla viva voce delle foto stesse; Szarkowski, tramite poche righe
all'inizio di ogni sezione, si limita a darci il la, quell'esortazione
necessaria ad affrontare la lettura delle immagini proposte
con la giusta dose di discernimento. Testi brevissimi ma
capaci di illuminare il campo d'indagine con subitanea
chiarezza e concisione: parlando del Particolare, per
esempio, Szarkowski si sofferma sulla scarsa capacità
narrativa dell'immagine fotografica, sopperita da una
impareggiabile potenza simbolica, concentrata appunto in
quel particolare che si trasfigura in simbolo;
per quanto riguarda invece il Tempo, presta attenzione alle "immagini multiple"
così come allo stupore generato dalla facoltà fotografica di frammentazione del tempo e
dalla relativa «momentanea creazione di uno schema di linee e di forme
rimasto fin allora celato nel flusso del movimento stesso»; o
ancora, ecco in quali termini si accosta all'elemento
Inquadratura: «Il taglio della fotografia
definisce il contenuto. Isola accostamenti inaspettati. Delimitando due fatti,
crea un nuovo rapporto tra essi. Attraverso una cornice immaginaria, il
fotografo ordina i significati e le forme del mondo»: unitamente all'efficacia
delle foto esplicative proposte, ce n'è quanto basta per percepire d'ora in
avanti il bordo di un'immagine in modo significativamente nuovo e certamente più
conscio degli effetti sostanziali che si celano dietro
questa semplice operazione: scegliere cosa includere, e cosa invece rifiutare.
Veniamo
adesso alle immagini, indiscusse protagoniste. Szarkowski ci propone un
compendio che rende conto di 125 anni di pratica fotografica, sia dal punto di
vista della tradizione artistica che di quella formale; e lo fa chiamando in
causa ed accostando nomi, nazionalità, generi e stili diversi (senza dimenticare
gli artefici non identificati, gli "ignoti", dal momento che è un fatto
inconfutabile - o almeno
dovrebbe esserlo - che la forza espressiva e validità di
un'immagine non sono certo determinate dalla firma apposta
sul retro!), raccogliendoli in base alla loro particolare
capacità di esemplificazione di uno o l'altro dei cinque
aspetti considerati. Eccovi la formazione al gran completo:
Berenice Abbott, Manuel Alvarez-Bravo, Eugène Atget, Richard
Avedon, Mathew B. Brady, Brassaï, Peter Buckley, Max
Burchartz, René Burri, Harry Callahan, Henri
Cartier-Bresson, Alvin Langdon Coburn, Maxime Du Camp, Robert Doisneau,
Elliott Erwitt, Walker Evans, Robert Frank, Lee Friedlander,
Mario Giacomelli (unico italiano, presente con una delle sue
più celebri immagini di Scanno), Hiroshi Hamaya, André Kertész, William
Klein, Dorothea Lange, Jacques Henri Lartigue, Russell Lee,
Danny Lyon, László Moholy-Nagy, Wright Morris, Serge
Moulinier, Eadweard Muybridge, Charles Nègre, Irving Penn,
Arthur Rothstein, August Sander, William Shew, Otto Steinert, Paul Strand,
Charles J. Van Schaick, Edward Weston.
In conclusione, si tratta di uno di quei libri
effettivamente "preziosi", da sfogliare e risfogliare con la
stessa attenzione che si presterebbe ad una lezione tenuta
da uno stuolo di grandi maestri, se è vero che «la
fotografia - nel suo insieme, omogeneo e indifferenziato -
ha fatto da maestra, da biblioteca e da laboratorio per
quanti si sono serviti della macchina fotografica come
artisti consapevoli»: come a dire che val più una foto
altrui attentamente studiata, compresa e assimilata, che non la pedissequa
lettura di chissà quanti manuali. Un'illuminante fonte di ispirazione e riflessione
per chi la fotografia la studia, ma, se possibile, ancor di più per chi la fa.
Serena Effe © 05/2007
Un'altra recensione del libro su Nadir Magazine