La Fondazione Ragghianti di Lucca, fino al 29 luglio 2007,
ospita una retrospettiva
dedicata ad uno dei più celebri
rappresentanti della scuola fotografica italiana
nel mondo.
La sua trentennale ricerca sul paesaggio urbano è ripercorsa
attraverso
un'ottantina di foto, a cui vanno ad aggiungersi
quelle di altri 8 giovani autori,
proposti dallo stesso Basilico,
le cui ricerce si inseriscono anch'esse
nel vasto ambito
della "fotografia di paesaggio".
Trent'anni esatti sono trascorsi da quel 1977 in cui quello di Gabriele Basilico, classe 1944, era ancora un nome tra i tanti. Gli altri nomi in questione erano, nella fattispecie, quelli dei fotografi che, insieme a lui, parteciparono in quell'anno alla mostra "L'occhio di Milano": un'esposizione che riuniva le ricerche di quarantotto autori accomunati dall'aver fatto del capoluogo lombardo - dell'espansione delle sue periferie e delle trasformazioni urbane e sociali cominciate a partire dalla ricostruzione del secondo dopoguerra - il loro privilegiato campo d'indagine.
La direzione preminente che avrebbe preso il lavoro fotografico di Basilico, reduce da una laurea in Architettura, era quindi, già a quel tempo, sufficientemente chiara: il paesaggio urbano, le mutevoli fisionomie metropolitane, le forme della città, l'architettura storica e contemporenea. E sono stati effettivamente questi gli elementi fondamentali - anche se non esclusivi - che hanno caratterizzato la sua trentennale carriera, tanto che il suo nome è al giorno d'oggi sinonimo della fotografia italiana (e non solo) d'architettura: una devozione ostinata, la sua, portata avanti «con un atteggiamento sentimentale e metodologico che qualcuno, con un po' di ironia, ha accomunato più al percorso di un "missionario" che a quello di un fotografo, per la sua ossessiva ripetitività», ricorda Basilico.
Trent'anni in perenne ascesa nell'ambito del
panorama internazionale, scanditi da innumerevoli e
prestigiosi incarichi e collaborazioni con istituzioni
pubbliche italiane e straniere, mostre in tutto il mondo (il
cui vertice è costituito dalla grande retrospettiva che
l'anno passato gli è stata dedicata dalla Maison
Européenne de la Photographie) ed
una serie di pubblicazioni di cui non è facile tenere il
conto, al punto tale che nel 2006 si è sentita la necessità
di pubblicare un ulteriore libro - Photo Books 1978-2005 - che
elencasse e catalogasse tutti i precedenti! Ma procediamo
con ordine.
Nel corso del biennio successivo - '78-'80 -
Basilico porta avanti un progetto che, decretando ancor più
chiaramente la sua originalità di sguardo, gli varrà nel
1983 la sua prima mostra singola, al milanese PAC
(Padiglione di Arte Contemporanea): si tratta della serie "Milano,
ritratti di fabbriche", documentata nella mostra
allestita alla Fondazione Ragghianti da una selezione di 40
immagini. In questi "ritratti", il fotografo dosa con
perizia quasi alchemica luci, ombre e volumi, fino a trarne
un distillato di forme e geometrie dalla purezza
cristallina. Una sinfonia di angoli, linee, superfici,
prospettive, luci risolute che disegnano ombre nette, modellando con rigore le
forme architettoniche e rivelandone il vigore plastico.
E così come ad un valente ritrattista - in pittura come in
fotografia - si richiede non soltanto l'abilità di ritrarre
l'esteriorità del soggetto, ma anche quella di far emergere nell'immagine un sentore d'interiorità (o "anima" che dir si
voglia) tale da suscitare nell'osservatore una sottile
quanto arcana vibrazione, allo stesso modo Basilico ci restituisce una
visione in grado di rapire i nostri sguardi a partire dalla
- e nonostante la - caparbia materialità e reticenza di
intonaco, lamiera, mattone e cemento. Immagini depurate da
ogni elemento superfluo, quasi ipnotiche nella loro
essenzialità e pulizia, tanto che l'occhio vi indugia
beatamente, come pacificato nel constatare come niente vi
sia di troppo e niente manchi: l'equilibrio compositivo è
talmente esemplare da
sfiorare l'inverosimile, fino ad evocare una vagamente
intimidatoria grandiosità: «ho visto l'architettura
riproporsi, filtrata dalla luce, in modo scenografico e
monumentale», ricorda Basilico, ripercorrendo il farsi
di questo suo importante progetto. E'
chiaro come ci si trovi di fronte ad un fare fotografico che
ha imboccato una strada opposta rispetto a quella indicata
dalla lezione del reportage, che aveva più o meno
monopolizzato il panorama fotografico fin dal '45: niente
più "istanti decisivi" alla Cartier-Bresson, ma
un'osservazione lenta, che si prende tutto il tempo
necessario per comporre l'inquadratura, dosare i rapporti
interni, attendere che la luce sia quella giusta; l'istinto
viene domato da una riflessività che si concretizza in «un'esperienza
solitaria, un dialogo silenzioso con lo spazio,
un'esplorazione laconica dei luoghi. Paradossalmente un
atteggiamento anomalo e asimmetrico, se confrontato con il
mandato sociale di cui i fotografi si sono fatti carico in
questi anni», osserva Basilico. Il paesaggio cessa,
attraverso fasi successive, di essere concepito
esclusivamente come mero "fondale" che si limiti
ad accogliere scenograficamente le azioni e la gestualità
dell'uomo, ed emerge da questo limbo umanista fino a
conquistarsi un ruolo da
protagonista. Oltre a questo "sentire comune", a questa
necessità di svolta collettivamente avvertita, un altro
riferimento fondamentale riguardo la nascita dei "Ritratti
di fabbriche" risulta essere il lavoro dei coniugi
tedeschi Bernd e Hilla Becher, ai quali Basilico afferma di
essersi profondamente ispirato in questo suo primo lavoro.
I caratteri in comune
sono lampanti: prospettiva frontale, essenzialità, intento di descrizione
particolareggiata ed oggettiva («oggettiva fino
all'assenza - annota Basilico a proposito di se stesso - caratterizzata da un grande rispetto verso le cose»), propensione verso
l'archeologia industriale e, ultima ma non ultima, volontà
di restituire dignità estetica al mondo produttivo (non a
caso, uno dei più importanti volumi dei Becher si intitola "Sculture
anonime"). Basilico attinge chiaramente, in questa sua
prima fase, alle loro modalità espressive, senza però
lasciarsi eccessivamente tentare da quelle serialità e
catalogazione sistematiche e dall'ossessiva ricerca
tipologica che caratterizzano l'opera dei due tedeschi,
tanto da averla condotta a lambire le sponde dell'arte
concettuale e del minimalismo.
Un ulteriore, plausibile accostamento può derivare dalla
constatazione di una certa affinità stilistica con il
pittore e fotografo americano Charles Sheeler, creatore
anch'esso di immagini nitide e geometricamente
irreprensibili, che intorno agli anni Venti del Novecento
compì un'indagine fotografica sull'architettura autoctona
americana e su quella industriale degli stabilimenti Ford a
River Rouge; in pittura il suo 'realismo fotografico' prese
non a caso il nome di Precisionism ('precisionismo'):
molti dei suoi paesaggi e prospettive architettoniche
appaiono incredibilmente affini alle successive vedute
urbane di Basilico.
Nel 1984 il recupero in forze di un'attenzione fotografica
al paesaggio viene sancita da due fondamentali progetti,
diversissimi tra loro ma ambedue orientati verso l'indagine
delle trasformazioni del territorio e la ricerca di un nuovo
senso da conferire al paesaggio contemporaneo: da una parte Luigi Ghirri (e
compagnia, Basilico incluso) e il suo Viaggio in Italia, dall'altra il
governo francese e la Mission Photographique de la
D.A.T.A.R. (Délégation a l'Aménagement du Territoire
et a l'Action Régional); quest'ultima, riallacciandosi
idealmente alla prima campagna fotografica ad iniziativa
statale della storia della fotografia (la celebre Mission
Héliographique del 1851, a cui presero parte, tra gli
altri, Le Secq, Bayard e Le Gray), affidò ad un gruppo di
fotografi internazionali il compito di registrare
criticamente i
mutamenti del paesaggio contemporaneo francese. Basilico fu
tra questi: è il suo primo incarico internazionale; dalla
sua esplorazione fotografica delle coste del Nord della
Francia scaturì il noto volume "Bord de mer"
(pubblicato per la prima volta nel 1990, stesso anno in cui
esce la sua raccolta dedicata ai "Porti di mare").
Da questo momento in poi si avrà un susseguirsi ininterrotto
di collaborazioni ed incarichi, in Italia e all'estero,
consacrati alla ricerca sul paesaggio urbano: la Beirut
devastata da 15 anni di guerra civile, e poi Berlino,
Parigi, Napoli, Valencia e Lisbona... solo per citarne alcune. Sguardo
sul
paesaggio, appunto, e non più soltanto sull'architettura:
infatti, se in passato Basilico si era lasciato sedurre in
maniera quasi esclusiva «dalla forma degli edifici, dalle
facciate, dagli angoli, dalle superfici, dalla profondità
dei volumi e dalle differenze di linguaggio dei manufatti»,
adesso nell'inquadratura accoglie anche «tutto quello che
sta fuori dal profilo e dalla massa degli edifici, e che
contribuisce al disegno "urbano" dello spazio».
Ecco allora che lo spazio poco a poco si dilata, fino ad
includere ed elevare al rango di elemento strutturale
dell'immagine tutto ciò che, altrimenti, sarebbe stato
considerato come un fattore "di disturbo": transenne,
segnali stradali, cartelloni pubblicitari, semafori,
lampioni, cavi elettrici di tram e filobus contribuiscono
allora a rafforzare
la trama compositiva, e, alludendo alla funzione per cui
sono nati, riconducono forme e superfici sulla Terra, tra
gli uomini, anziché trattenerle in una rarefatta bolla di
astrazione eminentemente formale (come secondo alcuni
accadeva con le immagini precedenti, tacciate talvolta di
una certa "afasia emotiva" e di eccessivo formalismo).
Questa più matura e assai vasta fase - tuttora in corso
d'opera - è documentata in mostra
da una selezione di altre 40 immagini, ognuna delle quali
risulta fin dal primo colpo d'occhio profondamente permeata
da quella "sensuale intelligenza" - come ebbe a
definirla un osservatore d'eccezione come Ferdinando Scianna
- che ci colpisce in forza della sua abilità nello svelarci,
pur con un linguaggio severo e disciplinato, la tensione
estetica e quasi "sensuale", appunto, sottesa agli elementi
raffigurati, siano essi edifici, incroci stradali o
panoramiche cittadine a volo d'uccello. Anche queste ben più
recenti immagini continuano perlopiù ad essere sgombre di
presenze umane, tanto da far tornare in mente l'immobilità
deserta ed improbabile di certe vedute cittadine racchiuse
nei primi dagherrotipi, ancora troppo poco sensibili per
riuscire a considerare seriamente la fuggevole impermanenza
della vita umana; come se la stasi poderosa
delle architetture avesse "assorbito" ogni
movimento, tramutando il reale in una visione atemporale. Permane dunque un senso di metafisica sospensione e
spaesamento, quello stesso che nel corso degli anni ha
generato talvolta un accostamento delle fotografie di
Basilico alle tele dechirichiane, o, considerata l'identità
dei soggetti, a quelle di Sironi. Ma se volessimo attenerci
con maggiore scrupolo alle parole del diretto interessato,
allora l'unico nome che dovremmo chiamare in causa sarebbe
quello di Walker Evans, maestro in
quello "stile documentario" che mitiga la
freddezza della rappresentazione oggettiva attraverso
un'attenzione - per quanto discreta e non accentratrice - al
versante estetico
della composizione: si misura così la distanza tra il
"guardare" e il "sentire" un luogo, tra il mero "subirlo" e
il farne invece esperienza sensibile e partecipe,
sconfinando così in un territorio che si estende ben "oltre
il paesaggio", per l'appunto.
Gabriele Basilico risulta essere l'unico fotografo chiamato
a far parte della sezione internazionale nell'ambito della
52° Biennale Internazionale d'Arte di Venezia (la cui
inaugurazione è alle porte): l'ennesimo riconoscimento per
un autore che è riuscito a mantenere una non comune coerenza
e incisività
espressiva, coltivando una riconoscibilità stilistica sempre
fedele ai propri assunti quanto nel contempo capace di
rinnovarsi dall'interno. Se, tra le
innumerevoli possibili, scegliessimo qui di considerare la
definizione formalista che di Arte ha fornito Clive Bell -
secondo cui è da considerarsi arte l'opera provvista di una
"forma significante", capace cioè di «produrre
un'emozione estetica in chi guarda attraverso una
particolare combinazione di linee e forme» -, ecco che
sullo statuto delle fotografie di Basilico rimarrebbe ben poco di
che interrogarsi.
Serena Effe © 06/2007
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