LA VENDETTA DELL'ICONA
Massimo Stefanutti, febbraio 2013

Secondo le fonti giornalistiche più aggiornate (per un riassunto vds. Wikipedia, voce Fabrizio Corona con le fonti in calce), molte sono le condanne irrogate (anche definitive) dalla Giustizia Italiana nei confronti di tale Fabrizio Corona, autoqualificatosi e noto (non ai più) come fotografo.

Molte di queste condanne sono legate a doppio filo con la fotografia: perciò ci si chiede se il Corona – alla lettura dei dispositivi da parte dei tribunali – abbia o meno inviato qualche giaculatoria a Santa Veronica, com’è noto patrona della fotografia.

E non è una nostra idea: seconda Wikipedia "Santa Veronica, comunemente conosciuta come la pia donna che asciugò con un panno il volto di Gesù lungo la Via Crucis. Viene commemorata il 12 luglio. Letteralmente si identifica con il nome Veronica il fazzoletto con cui una donna asciugò il volto di Cristo (Veronica = Vera Icona)”.

E se la fotografia sia o non sia vera icona del reale (prospettiva sempre ripresa da qualcuno) non interessa più di tanto se non per trovarci argomenti per avere una patrona alla quale rivolgersi in momenti di difficoltà.
Se il Corona si sia rivolto alla Santa proprio non lo sappiamo; constatiamo solo che l’uso spregiudicato dell’immagine, come il delitto, non paga.
Per verificare cosa abbia veramente fotografato il Corona abbiamo fatto un giro in rete: le informazioni giornalistiche non sono sufficientemente complete ma, leggiucchiando e guardando qui e là, qualcosa abbiamo captato.

Uno dei processi era basato sugli autoritratti del Corona in carcere: corrompendo un secondino e con la complicità (così dice la sentenza) del proprio avvocato (anch’esso condannato in primo grado), fu fatta entrare dietro le sbarre una macchina fotografica “usa e getta” e con quella il predetto fece delle pose tipo set, all’interno della cella a San Vittore; fotografie che furono vendute a noti giornali di gossip e poi pubblicate (il Corona era coinvolto del caso “Vallettopoli”). Il 26.3.2012 la Corte d'Appello di Milano gli irrogava una pena di 1 anno 2 mesi e 5 giorni, poi divenuta definitiva.
Il fine dell’operazione (visti i rischi corsi e le conseguenze penali) appare ignoto se non nell’ottica (sic!) di una sovraesposizione (sic!) di sé stesso.

Negli altri due processi, invece, si è – per grandi linee – accusato il Corona di estorcere denaro tramite delle immagini (i c.d. foto-ricatti) a personaggi pubblici: in poche parole il nostro pedinava alcuni noti (Elkan, Trezeguet, Adriano, ecc.), eseguiva delle riprese in momenti che riguardavano la vita privata dei soggetti interessati (anche all’interno delle abitazioni), con utilizzo successivo delle immagini come merce di scambio. Di qui le condanne: il 21.10.2011 la Corte di Cassazione confermava la condanna della Corte d’Appello di Milano a 1 anno e 5 mesi per tentata estorsione ai danni dei calciatori Francesco Coco e Adriano, mentre il 18.1.2013 la Cassazione confermava in via definitiva la condanna a 5 anni di reclusione per estorsione aggravata e trattamento illecito di dati personali, per aver preteso dal calciatore David Trezeguet 25mila euro per non pubblicare delle foto che lo ritraevano.

Le cronache giudiziarie raccontano anche di un’imputazione per violazione della privacy: non si sono trovate notizie certe, ma appare plausibile che i reati contestati fossero l’art. 167 D.lvo 30.6.2003 n. 196 (trattamento illecito di dati, c.d. legge sulla privacy) e/o l’art. 615 bis c.p. (interferenze illecite nella vita privata).
Le due norme trattano casi giuridici diversi: la prima punisce chi tratta dati personali (la sembianza della persona può esser dato, dato personale ed anche dato sensibile) senza il necessario consenso o in violazione delle regole sancite mentre la seconda impedisce la violazione della sfera privata del soggetto all’interno del domicilio o della dimora mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora.

Secondo una delle sentenze, le immagini delle vittime del Corona – nonostante fossero di personaggi dotati di una certa notorietà anche nazionale – non potevano esser diffuse al pubblico sia per la mancanza di consenso che per l’assoluta mancanza dell’interesse pubblico alla conoscenza dei comportamenti degli interessati, ripresi anche all’interno delle mura domestiche. In particolare non sembra nemmeno esser stato riconosciuto al Corona il diritto di cronaca (e con la possibilità di avvalersi dell’art. 25 della c.d. legge sulla privacy il quale prevede la non necessità del consenso quando il trattamento dei dati è effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità). La motivazione (che riprende una costante giurisprudenza) afferma come tale norma possa riguardare anche chi non abbia un ruolo stabile nella formazione del messaggio giornalistico, purché il materiale raccolto abbia la funzione di illustrare un avvenimento nella esclusiva prospettiva di una pubblicazione. Non serve, in sintesi, esser iscritti all’Ordine dei Giornalisti per fare, con la fotografia, attività giornalistica.

Senza addentrarsi nella disamina approfondita delle due norme, si possono fare delle considerazioni sul limite (incerto) tra privacy e diritto di cronaca giornalistica: problema già sorto per le foto del premier Silvio Berlusconi all’interno di Villa Certosa in Sardegna da parte del fotografo (questo sì, vero) Antonello Zappadu e, in tempi più recenti, per le foto di George Clooney all’interno della propria villa sul lago di Como.
In sintesi la riservatezza esiste anche per il personaggio pubblico, chiunque esso sia.

Le regole, dettate anche dal Garante della Privacy, sono sempre l’interesse pubblico (nell’ottica della sussistenza di un diritto ad informare) e la rilevanza del fatto, purché la necessità di documentare non leda la dignità della persona e le immagini non siano acquisite con modalità illecite.
In sintesi, anche per il Corona, vale il sempre vecchio detto: gioca con i fanti ma lascia stare i santi (soprattutto se sono iconici).

Massimo Stefanutti © 02/2013
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