ANCORA SULLA TUTELA DELLA PRIVACY
Le regole che riguardano i fotografi
Roberto Tomesani, maggio 2000

Dall'entrata in vigore della legge sulla tutela della privacy n. 675/96, molti fotografi hanno dimostrato interesse (o preoccupazione) in relazione alle nuove norme che vincolerebbero l'attività di reporter e, in generale, quella di fotografo.

Come capita in questi casi, hanno cominciato a diffondersi "leggende metropolitane" sulle proibizioni che la nuova legge avrebbe introdotto, e sull'impossibilità di svolgere il proprio lavoro, dato che serpeggia il timore che sia divenuto impossibile fotografare chiunque senza il suo consenso.

LA "NUOVA" LEGGE

La nuova famigerata legge è la n. 675/96, la cui finalità è quella di adeguare la legislazione italiana al contesto legale più austero della Comunità europea. Questa legge, tuttavia, si occupa sostanzialmente del fatto che non sia possibile raccogliere indiscriminatamente dati personali sui cittadini, per poi rielaborarli, cederli ad altri o pubblicarli. Il nocciolo della legge, dunque, mira a porre delle regole - controllate da un Garante della Privacy - nella raccolta e diffusione di qualsiasi dato sugli individui (e conseguentemente anche le sue immagini private), permettendo a ciascuno un miglior controllo delle informazioni che lo riguardano. In particolare, il trattamento di alcuni dati definiti "sensibili" (ad esempio idee politiche, religiose, vita sessuale, salute, aspetti economici, ecc.) sono subordinati ad esplicito assenso da parte dell'interessato e da controlli molto più stretti su coloro che raccolgono ed organizzano questi dati. Costoro, oltre a chiedere il permesso alle persone coinvolte, devono anche rendere conto delle modalità con cui questi dati vengono utilizzati e dei sistemi di sicurezza con cui vengono gestiti i relativi schedari e files di computer.

E a noi, tutto questo, cosa interessa?

Oltre a ricordare, in margine, che la raccolta di indirizzi e la cessione a terzi di tali indirizzi è regolamentata ora da tale legge, per quello che riguarda in specifico il fotogiornalismo, l'unico articolo della legge che solleva realmente la questione è l'articolo 25, che recita: " Art. 25. Salvo che per i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, il consenso dell'interessato non è richiesto quando il trattamento dei dati è effettuato nell'esercizio della professione giornalistica e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità, nei limiti del diritto di cronaca, ed in particolare dell'essenzialità dell' informazione riguardo a fatti di interesse pubblico". Ora, per quello che riguarda il fotoreporter, questa norma significa che la pubblicazione delle immagini (in senso lato, il "trattamento" di dati personali) NON è subordinata ad assenso se essa avviene per finalità giornalistiche, e per fare davvero informazione. Negli altri casi (cioè se non viene usata per giornalismo, o se è relativa ad elementi come la salute e la vita sessuale), occorre sempre il consenso.

LE REGOLE CHE GIA' ESISTEVANO

I fotografi anche solo minimamente documentati sanno che da decenni la regolamentazione esistente non era identica, ma produceva effetti molto simili.

La legge 633/41 (quella ben nota sul diritto d'autore) e il Codice Civile (entrambi ben vivi e vegeti, non certo né sostituiti né soppiantati dalla legge sulla privacy), prevedevano fin da prima - e tuttora prevedono - delle norme ben precise per quello che riguarda i ritratti fotografici (vedi pubblicazione dei ritratti). E cioè: non si è mai potuto pubblicare il volto di una persona che non fosse consenziente, a meno che la pubblicazione non fosse relativa ad un personaggio già noto (viene meno il diritto ad una privacy che già non c'era più), o per finalità giornalistiche (il diritto di cronaca permette la pubblicazione, a patto che non si calpesti un diritto più forte). In nessun caso, era - ed è - ammessa la pubblicazione di immagini lesive del buon nome e del decoro della persona.

In pratica, dal punto di vista specifico del fotografo la nuova legge sulla privacy non ha aggiunto proprio nulla. La 675/96 ha istituito regole molto più stringenti e severe sui dati personali che può gestire la società di marketing, la banca, l'azienda, il partito, il giornalista di penna, ma ha di fatto lasciato le cose più o meno come stavano per quello che riguarda la fotografia.

Unico elemento forse davvero innovativo, sta nel fatto di dover chiedere l'assenso esplicito per la pubblicazione di immagini che riguardano la salute dei personaggi pubblici, cosa che prima non necessariamente ricadeva nel novero delle eccezioni che non ne permettevano la pubblicazione.

In pratica, ora:

1) Per pubblicare l'immagine di una persona non famosa occorre la sua autorizzazione (art. 96 legge 633/41).

2) Se la persona non famosa viene pubblicata in maniera che non possa risultare dannosa alla sua immagine, e l'uso è solo giornalistico, subentra il diritto di cronaca esercitato dal giornalista (da valutare di caso in caso).

3) Per pubblicare con finalità giornalistiche immagini di personaggi famosi non occorre autorizzazione.

4) Occorre autorizzazione in ogni caso se la pubblicazione può risultare lesiva (legge 633/41), oppure se fornisce indicazioni sullo stato di salute o sulla vita sessuale (legge 675/96).

PRIVACY ED ARCHIVI FOTOGRAFICI

L'immaginario collettivo spinge un numero sempre maggiore di persone a fare pressioni sul fotografo che ha in archivio immagini che lo ritraggano, come se il fatto che il fotografo detenga queste immagini sia *in sé* una situazione lesiva dei suoi diritti. Ovviamente, oggetto dell'attività di una notevole parte degli operatori fotografici consiste nella gestione di un archivo di immagini, nel quale si conservano le foto prodotte dal fotografo stesso (singoli professionisti) o dai fotografi rappresentati (agenzie fotografiche). La consistenza numerica varia da alcune migliaia di immagini nel caso dei piccoli operatori a numerosi milioni di diapositive, nel caso delle maggiori agenzie d'archivio (ad esempio Grazia Neri, Granata, Olympia, eccetera). Sull'onda emozionale che la 675/96 ha portato con sé, è sempre più frequente il caso in cui i personaggi ritratti si rivolgono a fotografi ed alle agenzie con la convinzione che le immagini fotografiche che li ritraggono siano da considerarsi alla stregua di "dati personali" e che sia quindi dovuto loro, ai sensi dell'articolo 13 della legge 675, il diritto di conoscere nel dettaglio quali e quante immagini siano detenute, come vengano utilizzate e anche - su richiesta - che tali immagini vengano rimosse dall'archivio.

Chiaramente questa ipotesi si tradurrebbe nell'assoluta paralisi di qualsiasi attività fotografica d'archivio, a partire dalle strutture che utilizzano le immagini come elementi giornalistici per distribuirle alle testate nazionali (le maggiori agenzie d'archivio), giù giù fino ai piccoli archivi dei fotografi di provincia, che ovviamente detengono le immagini delle cresime dei ragazzi, dei battesimi, o delle manifestazioni locali come saggi e similari.

Va rilevato che le immagini fotografiche detenute con finalità anche professionali e che ritraggano privati cittadini o personaggi pubblici sono soggette alle restrizioni già imposte dalle norme concernenti il diritto all'immagine, contenute nella legge 633 del 22 aprile 1941, e successive modifiche, agli articoli 96 e seguenti, con i quali il legislatore ha già inteso tutelare i diritti legati alla privacy dei soggetti ritratti, proibendo la pubblicazione di immagini che ritraggano l'effigie di una persona in assenza di suo esplicito consenso, con l'eccezione dei casi di immagini ritraenti personaggi la cui effigie sia già nota al pubblico, e destinate a finalità giornalistiche e di informazione, ed in casi di avvenimenti pubblici o svoltisi in pubblico. Appurato dunque che il diritto di privacy del cittadino in relazione alla pubblicazione di immagini è comunque difeso da questa norma di legge (633/41), la detenzione, l'archiviazione e la disponibilità in archivio di immagini fotografiche non ricade in sé nei casi previsti dalla legge 675/96, non potendosi assimilare l'immagine fotografica ad un "dato personale" del singolo.

I singoli fotogrammi o le loro riproduzioni su qualsiasi supporto, infatti, sono semmai assimilabili a fonti di notizie giornalistiche - se la detenzione in archivio avviene con lo scopo di porre tali immagini a disposizione della stampa per i consueti usi di informazione - o al supporto della propria attività professionale, quando tali immagini rappresentino l'archivio professionale di un autore fotografo, ricadendo così nei casi di esclusione previsti dall'art. 12, lettere e) ed f), della legge 675/96.

IL FOTOGRAFO DEVE DICHIARARE GLI ARCHIVI DI DATI DEI SUOI CLIENTI?

Il dubbio è se esista per il fotografo l'obbligo di notifica al Garante della Privacy, ai sensi della legge 675/96. Ricordiamo che ai sensi dell'articolo 7, comma 5-ter, lettera g) della legge sulla Privacy, il "piccolo imprenditore" (definizione in cui rientra anche il fotografo artigiano) è esonerato dall'obbligo di certificazione. Per "piccolo imprenditore" si intende la definizione data dall'articolo 2098 del codice civile. Il che significa che non sono considerati piccoli imprenditori le ditte anche di minima dimensione di comparti industriali (ad esempio, un editore). La fotografia appartiene comunque al comparto dell'artigianato, se esercitata in forma di impresa (se libera professione, è invece dovuta l'iscrizione all'ufficio Iva ed all'Inps). Inoltre, ricordiamo che il trattamento dei dati necessari ai fini fiscali (fatturazione, ecc.) NON richiede l'assenso da parte degli interessati.

Roberto Tomesani © 05/2000
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