LA PRIVACY COLPISCE ANCORA
Anche - e soprattutto - in campo fotografico
Gianfranco Arciero, febbraio 2002

Se le istituzioni e i massmedia si rendessero conto dei danni che può provocare nel tempo l'enfatizzazione della entrata in vigore di determinate norme, le cose andrebbero certamente meglio.

Ricordate i toni apocalittici con i quali la stampa annunciò l'entrata in vigore della legge 675/96 (che ancora ci si ostina a definire della privacy anche con riferimento all'immagine, laddove il titolo della legge parla a chiare note di "tutela dei dati personali"? E se si è inteso, come è avvenuto, inserire tra i dati anche l'"immagine" e i "suoni" - sic! - che possono identificare una persona, consentitemi di non essere d'accordo. In altra occasione vi spiegherò nel dettaglio il perché).

In nome di questa rinnovellata "privacy" (già perché a quanto pare sembra che ci si sia dimenticati della legge 8 aprile 1974, n.97) sono stati commessi clamorosi "equivoci" che qui riassumiamo a memoria e in estrema sintesi:
Questi i casi più clamorosi. Ma non sono tutti.
Quando la psicosi sembrava sopita e proprio mentre la legge veniva ad alleggerire la sua portata procedurale e sanzionatoria, i responsabili di un noto ospedale di Roma hanno ritenuto che i neo-papà non potessero riprendere le immagini dei neo-nati nella nursery, così come è ormai inveterata consuetudine. Quindi niente macchine fotografiche, telecamere ed altre diavolerie simili. In nome della privacy.
Nell'arco di 24 ore è giunta la smentita dell'Ufficio del Garante che, nell'assicurare che non sussiste alcuna previsione nella norma che vieti tale tipo di riprese, ha espresso un certo disappunto per il fatto che la stessa legge sia fomentatrice di "leggende metropolitane".

Mi si consenta di fare una breve incursione nel "biografico".
All'epoca dell'entrata in vigore della legge, di fronte al martellamento di notizie e al rimbalzare di comunicati stampa presaghi di mille disgrazie per gli inadempienti, cercai di mettermi in contatto con l'ufficio del Garante non essendo il testo stesso chiaro circa i soggetti tenuti agli adempimenti e mancando idonei indirizzi interpretativi. Telefonai per giorni e giorni, senza che nessuno rispondesse. Così mi recai di persona all'ufficio, ma in portineria furono irremovibili "L'Ufficio del Garante non riceve il pubblico", questa fu la risposta. Altre telefonate, ancora senza esito. Allora, a livello decisamente provocatorio, scrissi al Presidente della Repubblica con lettera raccomandata la cui ricevuta di ritorno è in mio possesso. Chiesi in sostanza come si dovesse regolare un cittadino per ottemperare agli obblighi di questa legge. Naturalmente, nessuna risposta. Aspetto ancora, e dopo qualche mese mi si comunica sempre dietro mie telefonate, il nuovo indirizzo dell'ufficio del Garante della "privacy". Questa volta, stanco ed esausto, scrivo per conoscere se e quali siano i miei adempimenti. Mi si risponde press'a poco in questi termini e allegando il testo della legge già in mio possesso: "veda lei se rientra nelle previsioni dell'obbligo o dell'esonero".

Da quel momento un susseguirsi di modifiche e di integrazioni a breve distanza nel testo normativo, tanto che se andavi al Poligrafico dello Stato per acquistare la Gazzetta Ufficiale con l'ultima modifica, ne trovavi addirittura due, essendone intervenuta un'altra. Per questo io oggi non mi meraviglio se ci sono presidi che non vogliono esporre i "quadri" scolastici, professori che hanno radiato dalle tracce dei loro temi il profilo della figura paterna, fotografi fermati e arrestati dalla polizia con relativi e successivi attestati di solidarietà nei loro confronti dell'Ufficio del Garante e dello stesso Capo della Polizia e, dulcis in fundo, direttori di ospedali che vietino l'ingresso di macchine fotografiche e di telecamere nelle nursery. Ma la nostra, si sa, è la patria del diritto e cerco strade alternative. E penso: se il direttore dell'ospedale vieta l'ingresso dello strumento di ripresa, nulla vieta, allora, che io possa introdurre un registratore e registrare il ruttino del pargolo. Aggirerò legittimamente il divieto e otterrò lo stesso scopo dal momento che anche il "suono" ipso iure identifica il soggetto. Sono veramente soddisfatto e, per un momento, mi compiaccio della mia sagacia. Ma l'entusiasmo dura poco. E se quei diavoletti emettessero il fatidico "ruttino" tutti insieme? Si verserebbe, indubbiamente, in tutt'altra ipotesi: quella dell'"opera collettiva"!

Gianfranco Arciero © 02/2002
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N. B. - Vorrei concludere questa nota con un repertorio di leggi, diciamo eufemisticamente "particolari", che mi balzano improvvisamente alla memoria:

Anni '70, entrano in vigore le prime norme contro l'inquinamento. Come effetto della sua immediata applicazione, soggiornano, nelle patrie galere, sindaci di Comuni sprovvisti di impianti di depurazione, fino ad allora non previsti, non prodotti in Italia, e tutto ciò spesso in presenza di Comuni con reti fognarie realizzate anche due secoli prima. Metempsicosi applicata al diritto?

Anni '80 (stiamo parlando del Novecento, non del Settecento). Entrano in vigore norme per la tutela delle specie animali. Le sanzioni sono talmente rigide e le notizie vengono talmente enfatizzate che per giorni e giorni le caserme del Corpo delle guardie forestali sono pacificamente assediate da lunghe code di cittadini. Motivo dell'assedio: denuncia della detenzione di: pettini, cinghie, borse, borsellini, pellicce, accendini foderati in pelle, oggettini in avorio (anche più piccoli di quelli trasmessi recentemente dalla televisione e messi a disposizione dal Vaticano per una gara di beneficenza), e altre chincaglierie attinenti al mondo animale. Per consentire al benemerito Corpo dei Forestali di attendere alle loro già impegnative e concrete incombenze, viene chiarito successivamente che questi oggetti non sono sottoposti a notifica.

Anni '90: siamo in tema di proposta "informale di legge" e ai nostri giorni. Si sparge la voce (sempre attraverso i massmedia) che il Ministero dell'Ambiente proporrà una legge di questo tipo: non si può possedere una macchina se non si ha un garage. Io non possiedo garage. E, poiché nonostante tutto continuo a voler interpretare le norme a nome mio, convinto di essere il Solone della situazione, penso già di lanciare un referendum: tutti noi che non possediamo garage, all'entrata in vigore della legge, depositeremo le nostre vetture sotto la casa del Ministro. Vedremo come uscirà di casa per andare al Ministero! Ma non me ne va una bene. Come se qualcuno avesse letto nel mio pensiero e riferito nelle sedi competenti della contromossa, il giorno successivo il Ministro precisa, a scanso degli equivoci già ufficializzati, che sarebbe opportuno per il futuro che ogni nuova costruzione disponesse di garage.

Ancora anni '90. Passo come al solito al Bar del Signor Tonino. Prendo lì il caffé volentieri la mattina perché mentre paghi la consumazione il buon Tonino ti sciorina una battuta fresca di giornata. Esempio: "Qual é l'hobby preferito dal dentista? Portare a spasso due... canini" (carina, vero?). E il sorriso è di casa. Ma quella mattina tutti, compresi i camerieri, sempre brillanti, sono un po' preoccupati. Domando loro cosa sia accaduto. Mi indicano la prima pagina del Messaggero che pubblica a grandi caratteri la notizia a tutti nota: al bar non si potrà più chiedere un bicchiere d'acqua minerale. Se lo ordini, la bottiglia è tua. Prendere o lasciare. La ratio di questa norma? Non mi sforzo di approfondirla, tanto appare illogica. Mi accingo ad uscire e lambisco la cassa sperando di sentire una nuova freddura di Tonino che nel frattempo sta parlando con un nuovo cliente. Niente da fare, è la stessa. Me ne vado tranquillo al lavoro, tanto domani leggerò sul giornale la smentita. Sbaglio ancora una volta. Questa arriva non il giorno dopo ma 48 ore dopo: "Dietrofront sull'acqua minerale al bar. Ritirato il decreto che imponeva la vendita soltanto di bottiglie sigillate", è il titolo di prima pagina dell'illustre quotidiano della Capitale! E tornò il sorriso! (g.f.a.)