1/8 - 1/4 - 1/2 - 1 - 2 - 4 - 8 - 16 - 32 sec
diventa
1/8 - 1/4 - 1/2 - 2 - 4 - 10 - 25 - 60 - 170 sec
La correzione è all'incirca di uno stop per una esposizione normale di 1sec, di due stop per 10sec e di 3 stop per 100sec (valore estrapolato, ma in buon accordo con dati da altre fonti). Questi dati dovrebbe essere sufficienti in prima approssimazione per qualunque pellicola BN, dato che la Ilford pubblica gli stessi per pellicole così diverse dalla Delta come la FP4 e la HP5Plus. Purtroppo però non basta correggere il tempo di otturazione per risolvere tutti i problemi da difetto di reciprocità. Poiché è per le ombre che stabiliamo l'esposizione, siamo portati ad esporre per tempi molto più lunghi di quanto non sia necessario per le luci, che possono risultare sovraesposte, con conseguente aumento del contrasto. Per il BN vi si può ovviare sottosviluppando rispettivamente del 10% per uno stop di correzione, del 20% per due e del 30% per tre stop. La cosa è decisamente più complessa per le diapositive. Mentre la correzione dell'esposizione è abbastanza simile tra le diverse marche, ed approssimabile in media a quella del BN, manca la possibilità di compensare il contrasto con lo sviluppo, ma quello che è più grave è che, essendo il materiale sensibile composto di tre strati colorati diversi, ognuno di essi può mostrare un diverso difetto di reciprocità, ed una conseguente diversa resa cromatica rispetto ai colori originali. Poiché la deviazione cromatica ha in generale una dominante verde o ciano si può correggerla con un filtro rosso come il Kodak CC05 R per esposizioni nominali intorno a 10 sec o il CC10 R per esposizioni intorno a 100 sec.
PELLICOLE PER INFRAROSSI (BN)
Sono pellicole sensibili alla radiazione infrarossa e quindi al calore, vanno utilizzate con un filtro rosso scuro (quasi nero) per avere il massimo dell'effetto. Ma già con un filtro 25A si ottengono stampe con effetto infrarosso molto marcato. La messa a fuoco va fatta usando come riferimento il puntino rosso che gli obiettivi hanno sul barilotto vicino al classico segno per il fuoco normale. Esistono sia per BN che per il colore. La Kodak ha in listino una Infrared BN infrarossa che ha una sensibilità estesa verso la gamma del rosso. L'effetto è abbastanza imprevedibile, dipende dal tipo di luce e dal materiale che riflette tale luce. In esterni in pieno sole l'effetto è quello di avere la vegetazione molto chiara, quasi bianca, perché la clorofilla presente nelle foglie riflette molte lunghezze dell'infrarosso, cieli scuri tendenti al nero e incarnato chiaro con un alone "mistico". In interni con luci artificiali l'effetto è molto più imprevedibile, per esempio nel caso di una persona con un maglione nero, illuminata con luce al tungsteno, sulla stampa finale il maglione può risultare grigio chiaro a causa della emissione di raggi infrarossi da parte del materiale nero scaldato dal calore del corpo. Altra caratteristica di queste pellicole è che presentano una grana evidente ma molto netta e secca, piacevole. Tutto ciò vale per il BN. Per il momento non disponiamo d'informazioni sulle pellicole per infrarosso a colori.
PICCOLO FORMATO (24x36) E PELLICOLE DI BASSA SENSIBILITA': SI POSSONO OTTENERE RISULTATI SIMILI A QUELLI DI UN FORMATO SUPERIORE?
Una pellicola di bassa sensibilità non darà i risultati di una 100 ISO e neanche di una 400 ISO in formato medio, ma può essere molto interessante rispetto ad una pellicola di più alta sensibilità dello stesso formato, posto che si sia pronti ad accettarne gli inconvenienti, che si riassumono nella necessità quasi assoluta di lavorare con un cavalletto. La sua capacità di produrre negativi a contrasto elevato può rivelarsi utile quando sovrasviluppare una pellicola di media o alta sensibilità produrrebbe una grana eccessiva. Il miglior compromesso per il 35mm è una pellicola di media sensibilità trattata con un rivelatore ad alta acutanza.
COME SI SVILUPPA L'AGFA SCALA USATA COME NEGATIVO?
Un articolo su Fotografare di Agosto 1999 trattava proprio quest'argomento. In particolare suggerisce di svilupparla in Studional Agfa 1:32 per 8'15'' a 20°C.
Ottimi risultati si ottengono anche con lo sviluppo Tmax, ma con qualche piccolo dubbio: il negativo è bellissimo... trasparente, pulito, con nitidezza estrema e interessante scala tonale, ha però il difetto tipico delle combinazioni ad altissima risoluzione come ad esempio usando la Technical Pan della Kodak. La nitidezza è estrema nei punti a fuoco, punitiva, in paragone, sul resto dell'immagine. In pratica ogni minimo scadimento di qualità dovuto a sfocato e/o micromosso fa cadere l'immagine verso un "tutto confuso" non proprio bello, che con altre pellicole è assai meno evidente. La tenuta generale dell'immagine stampata, insomma, è carente, inferiore a quella ottenuta con pellicole più facili tipo la Tri-X, proprio per il grande salto tra la parte perfettamente ripresa e quella necessariamente fuori fuoco. Conclusione: per chi non possiede il medio formato un negativo eccellente da usare con cavalletto a F/22.
SVILUPPO DIA IN CASA (1)
Non è affatto complicato. Un preciso termometro al mercurio, una tank e tanta passione. Molto schematicamente:
SVILUPPO DIA IN CASA (2)
Esiste un kit di chimici di sviluppo della Kodak per il processo E6 che costa intorno alle 30.000 lire e consente (nella vita utile dei chimici: circa due mesi) di sviluppare una dozzina di rulli, anche qualcosa in più con opportune forzature sui tempi. Il problema è solo la reperibilità di questo kit; una volta lo si trovava anche per corrispondenza, ora è diventato davvero difficile. In ogni caso il kit comprende quattro chimici per il processo completo: primo sviluppo, sviluppo colore, sbianca e stabilizzatore. I più critici sono i primi due, tutto il processo si può svolgere a temperature compresa da 20°C fino a 43°C secondo le tabelle allegate al kit.
SVILUPPO DIA IN CASA (3)
Per sviluppare pellicole diapositive in casa esiste anche il Kit Kodak denominato "Hobby Pack". Si tratta di 7 bottigliette che diventano poi 4 bagni, il trattamento dura complessivamente poco più di mezz'ora a 30°C . Il procedimento è molto semplice, le cose importanti sono sostanzialmente due: fare molta attenzione ai tempi del primo e del secondo bagno e eseguire un perfetto lavaggio con acqua corrente fra i bagni per evitare che si inquinino i reagenti. Attenzione anche al fatto che una volta miscelate le bottiglie il prodotto si deteriora abbastanza rapidamente (circa 2 settimane). Un Kit costa circa 21.000 lire e sviluppa 6/7 rulli da 36 pose.
DUPLICARE LE DIA IN CASA
Prima di tutto, conviene la duplicazione in proprio delle dia? Sì! Sia in termini di qualità, che di costi (400 lire circa, contro le 1500/2000 del laboratorio). E che pellicola per duplicazione usare? Sarebbe consigliata la Kodak Ektachome Slide Duplicating, pellicola per luce artificiale espressamente progettata per tale scopo. Però, almeno inizialmente non è il massimo della semplicità:
1) La sensibilità varia da rullo a rullo, ed anche se nella maggioranza dei casi oscilla intorno a 20-25 ISO sono stati osservati casi di 4 ISO
2) È necessario utilizzare filtri di correzione colore (sulla confezione della pellicola si trovano quelli consigliati da Kodak, che vanno più che bene).
È necessario, comunque, un minimo di prove. Si riesce ad ottenere duplicati identici agli originali o con differenze minime (dia più calda o più fredda), ma comunque ottimi. Per un inizio più semplice si potrebbe utilizzare una normale pellicola per dia da 100 ISO. Si riscontrerà un aumento del contrasto (colori più saturi), ma esistono tecniche che permettono di ridurlo. Una di queste è la prevelatura, che consiste nell'esporre una prima volta la pellicola (inquadrando un foglio bianco omogeneamente illuminato) e sottoesponendo, rispetto alla lettura fornita dall'esposimetro, di circa 3/4 stop. Dopo aver effettuato la prima esposizione, realizzare il normale duplicato (doppia esposizione). Un'altra tecnica utilizzabile è quella della compressione delle dia, cioè esporre la pellicola ad una sensibilità più bassa rispetto a quella nominale (ad es. pellicola da 100 ISO esposta a 50 ISO) e relativo sottosviluppo. Tale tecnica viene utilizzata dai fotografi di Beauty e produce immagini con un contrasto minimo. Che luce usare per la duplicazione? Artificiale o naturale, e quanta? Una buona fonte di luce è il diaproiettore senza l'obiettivo, facendo attenzione a non sparare il fascio di luce direttamente in macchina, ma orientandolo in modo che la luce arrivi obliquamente sul piano pellicola. Attenzione a che il tutto sia illuminato omogeneamente. Poiché la lampada del proiettore ha una temperatura di colore di circa 3800K, che con una pellicola per luce naturale darebbe delle dia con dominante calda, usare un filtro Cokin 80C (colorazione azzurrina). Nel caso di luce spot occorre aggiungere un altro diffusore oltre a quello già montato sul duplicatore? Sì, diffondere ulteriormente la luce utilizzata non farà sicuramente male. Come scegliere con precisione l'esposizione? Una soluzione molto utile consiste nello scegliere dal proprio archivio una diapositiva con contrasto normale, né sovraesposta né sottoesposta, che chiameremo "dia campione", e nel duplicarla dando esposizioni diverse. Quindi esposizione suggeritaci dall'esposimetro, +1, +2, -1, -2. Dopo aver sviluppato il rullino scegliere la diapositiva che più si avvicina, come esposizione, all'originale. A questo punto, prima di procedere alle duplicazioni successive, posizionare l'illuminazione, inserire la diapositiva campione, leggere l'esposizione ed apportare le modifiche suggerite dalla precedente prova, usando sempre la stessa esposizione anche se l'esposimetro suggerisce valori diversi.
DIA FUJI VELVIA E LABORATORI
La pellicola di Fuji siglata RVP Velvia è un poco diversa da tutte le altre diapositive in commercio. Solo che quel poco la rende difficile da sviluppare con eccellenti risultati da qualsiasi fotolaboratorio. Fuji propone oramai da tempo una politica incentrata sulla maturazione del settore dell'immagine professionale: dalle dia ai negativi bianco e nero, dalla carta per stampa alle pellicole istantanee, sembra che il fulcro della produzione sia l'uniformità di rendimento delle proprie emulsioni. La variazione cromatica media che si nota su foto con fondo bianco è ridottissima (capita di dover usare per alcuni lotti un filtro 81 che "scaldi" lievemente l'immagine), tuttavia i laboratori Kodak dotati di bagni con pH variato per lo sviluppo Fuji Velvia rendono mediamente un'immagine più calda e meno neutra della corrispondente in bagno Fuji. Al contrario, salvo eccezionalmente rari cali di qualità, i laboratori della casa verde sono più fedeli negli sviluppi, ed operando dal martedì al giovedì si può ottenere una incredibile costanza di risultati. È ovvio quindi che chi usa pellicole Fuji le debba portare nel laboratorio corrispondente, se non altro per la capacità dei bagni dedicati di rendere al meglio il microcontrasto e di fornire una densità massima molto vicina alla soglia dell'ottimale (normalmente si ottiene su di una Velvia o Provia ben sviluppata una densità massima prossima o superiore a D 3.80). Lo sviluppo in proprio è meglio lasciarlo a chi è dotato delle attrezzature necessarie, almeno una Jobo ATL, infatti per l'ottimizzazione della resa è di norma effettuare dei test degli spezzoni iniziali dei film (Clip-test) per poter ottenere in seguito il miglior risultato possibile. Per quanto riguarda la 50 ISO in questione, si tende di norma ad effettuare un trattamento variato di +1/3 su 35mm e 120/220, lasciando invece nominale il valore per le lastre. Dando gli sviluppi ai laboratori è meglio esporre in un'ombra media piuttosto che sfruttare un grigio medio; con misurazioni in luce incidente è indicato aprire da 1/2 a 1 stop. Questo per vederle a visore o per stamparle tipograficamente. Per la stampa fotografica o la proiezione è valida l'esposizione nominale sempre che la sorgente luminosa sia sufficientemente forte. Sviluppando in proprio, fare dei test molto accurati tenendo presente che queste pellicole tollerano meglio una sovraesposizione di uno stop piuttosto che la sottoesposizione di 1/3. È consigliabile farsi fornire gli sviluppi in striscia per evitare che il calcare o l'intelaiatrice automatica rendano inservibili le diapositive. È infatti più semplice ripulire un film che un singolo fotogramma slide.
QUANTO TEMPO PUÒ STARE UNA PELLICOLA IN MACCHINA SENZA ROVINARSI?
La pellicola può rovinarsi se tenuta in macchina per due motivi:
Per quanto riguarda il secondo ordine di problemi ricordo che il rullino può prendere la forma attorcigliata al contrario ma ciò non è grave e si sistema in breve. Il rullino può prendere luce se la fotocamera non è perfettamente a tenuta o se si dimentica di averlo caricato e si apre per sbaglio la fotocamera. I materiali di cui è composta la fotocamera non sono stabili e si deteriorano. In particolare le spugnette sono capaci di sciogliersi e di impregnare tutto ciò che trovano (ma si parla di molti anni). Si tenga presente che le condizioni ambientali all'interno della fotocamera sono meno stabili rispetto all'involucro del rullino, in particolare l'umidità. Questo accelera l'invecchiamento della pellicola. Un altro danno possibile è il regresso dell'immagine latente impressionata sui fotogrammi già scattati. Per concludere, meno si lascia la pellicola nella fotocamera meglio è. Per un riferimento preciso, non lasciare la pellicola in macchina più della metà del tempo tra la data di caricamento e la data di scadenza.
COME SI POSSONO REALIZZARE LE DIA IN BN?
Si possono realizzare in vari modi tra cui il più semplice è senz'altro quello di adoperare una pellicola apposita come l'Agfa Scala; ma può essere preferibile duplicare i normali negativi con un'altra pellicola negativa in modo da avere, oltre ai consueti negativi BN, anche le dia. La duplicazione della pellicola come l'Agfa Ortho (purtroppo fuori produzione) o la Technical Pan sono le migliori soluzioni, ma bisogna disporre di un banchetto di duplicazione, di un'ottica macro di elevatissima qualità, e saper lavorare bene in un settore troppo poco conosciuto...
Una buona diapositiva BN ottenuta per duplicazione deve:
Per ottenere valori prossimi a questi ci si basa su sperimentazioni empiriche, ma sempre riproducibili. La Technical Pan raggiunge una risoluzione massima di 500 linee/mm, un'ottica di media qualità raggiunge le 90 linee, un negativo BN ne raggiunge, non sempre, 160. In altre parole, la pellicola che funge da positivo può fare molto meglio di quanto possa fare il negativo di partenza. In pratica questa altissima risoluzione si ottiene a spese dell'acutanza e di un contrasto molto elevato, ma riducendo opportunamente lo sviluppo per ottenere una buona scala dei grigi si guadagna contemporaneamente in acutanza pur mantenendo il potere risolvente intorno a 250 l/mm che è ancora nettamente superiore a quello delle pellicole normali. Ci sono quindi tutte le premesse per ottenere una bella diapositiva se non vi si intromette un'ottica a creare un calo di qualità. I pochi obiettivi che raggiungono la risoluzione di 160 l/mm delle migiori pellicole si chiamano Leitz 100mm Apo Macro, Leitz 60mm Macro, Zeiss 60mm Makro-Planar T*, Zeiss 100mm Macro-Planar T*, e soprattutto le ottiche repro ed il mitico Kinoptic Macro-Switar 50mm; quindi, per ottenere diapositive perfette si deve necessariamente disporre di questi strumenti e di un banco di duplicazione. In mancanza di questo si procede per duplicazione a contatto. Il problema è nell'esposizione, mai riproducibile perfettamente senza un timer digitale di alto livello. Dato che tutti gli sviluppi di "alta qualità" per le pellicole tecniche riducono drasticamente la latitudine di posa (una sovra o sottoesposizione di 1/4 di stop è già eccessiva) si rende necessaria la massima cura e competenza. Lo sviluppo viene fatto a tank aperta, con inserimento, dopo un bagno di prelavaggio, in una miscela di sviluppi tale da consentire la normalizzazione dei toni da riprodurre (da compressi ad estesi).
L'Agfa Ortho, purtroppo andata fuori produzione e le cui scorte stanno terminando, produce dei bellissimi negativi a tono caldo, con una buona densità nei neri (D=3,7) ed una discreta densità di velo (D=0,15), il tutto con un'eccellente estensione tonale. Mantiene un'ottima latitudine di posa e non richiede altro che sviluppi per pellicole Lith (fotomeccaniche) diluiti 1+3 per circa 3 minuti di sviluppo a 20°C con agitazione continua per i primi 30". Altre soluzioni di sviluppo migliorano lievemente il prodotto, ma subentrano i limiti dell'emulsione.
La Technical Pan (che costa molto di più e conviene prendere in bobina) consente lo sfruttamento ottimale dell'emulsione e reagisce al meglio con qualsiasi soluzione di sviluppo, compreso uno sviluppo carta a tono caldo ben diluito, fornendo validi risultati. Nel caso si richiedano toni brillanti, si rende necessaria una soluzione molto concentrata, tale da fornire toni estremamente neutri o freddi. Reagisce discretamente anche in Dektol Pro, in Neutol, in Rodinal, ma questo vuol dire sfruttare solo un millesimo delle potenzialità. Purtroppo non è facile da usare, ma i risultati si vedono.
INTERNEGATIVI BN DI DIA 24X36
Esistono delle pellicole apposite prodotte dalla Kodak ("Kodak Internegative Film", sia a colori che BN) ma si vendono solo in bobine e sono difficili da reperire sul mercato. Con pellicole normali si possono avere ugualmente buoni risultati ma la Delta 400 non va bene: tende a chiudere le ombre mentre occorre una pellicola particolarmente morbida (questa è la caratteristica principale delle varie Duplicating ed Internegative). Con la PanF (50 ISO), esposta a 25 o 12 ISO e sviluppata di conseguenza si ottengono internegativi con grana finissima ed ampia gamma tonale. Altrettanto valida è la XP2 esposta a 200 ISO proprio per la sua morbidezza e per la grana molto contenuta. Da tener presente però che internegativi davvero buoni si ottengono solo in un formato superiore a quello della dia originale (6x7 se non addirittura la lastra 4x5"). Per quanto riguarda la fonte luminosa, la maggior parte delle pellicole a colori per duplicare sono già tarate per la luce artificiale mentre non c'è alcun problema con il BN.
CHE ASPETTO HA UN BUON NEGATIVO?
Quasi sempre un negativo bello a vedersi non è un negativo "buono". Un negativo "bello" è, per i nostri occhi, ricco di neri e zone trasparenti, diciamo un negativo brillante e contrastato, mentre per essere davvero buono da stampare deve avere un contrasto abbastanza basso: il negativo deve sembrare "leggero" e troppo grigio. Un buon negativo dovrebbe produrre una stampa con "vivacità" soddisfacente su carta N° 2 o 3. Se richiede il ricorso ai gradi N° 1 o N° 4 non è un buon negativo, a meno che sia stato prodotto volutamente per effetti speciali. La ricetta di base per un buon negativo comprende un certo grado di sovraesposizione ed uno sviluppo leggermente più blando di quello raccomandato.
LE "FINTE" PELLICOLE BN COME LA XP2 SONO A SENSIBILITA' VARIABILE?
Assolutamente no. Queste pellicole di solito hanno una latitudine di esposizione molto ampia che consente di sovraesporre e sottoesporre anche di due stop rispetto alla sensibilità dichiarata dal fabbricante, continuando a fornire negativi stampabili ed accettabili, ma non sono "a sensibilità variabile". Per la precisione la sensibilità dichiarata è volutamente non corretta. Per capire il perché occorre partire dalla definizione di sensibilità. Questa indica la quantità di luce necessaria per produrre sul negativo un grado di annerimento appena percettibile dalla carta in sede di stampa. Più alta è la sensibilità, più è bassa la quantità di luce necessaria per tale annerimento. Entro certi limiti la sensibilità dipende, oltre che dalle caratteristiche della pellicola, anche dal rivelatore e dal tempo di sviluppo. Si può quindi scegliere di esporre una 100 ISO come se fosse una 400, posto che poi la si sviluppi di conseguenza. Le cose cambiano quando a questo trattamento non si sottopone l'intera pellicola, ma si vuol cambiare sensibilità a metà rullino. Sottoesporre mantenendo lo sviluppo previsto per le foto già scattate significa cadere sotto la soglia di esposizione, perdendo completamente il dettaglio nelle zone più scure del soggetto. Forzare lo sviluppo in funzione delle nuove condizioni significa aumentare il contrasto dei negativi già scattati. Sfruttando la latitudine di esposizione di certe pellicole i fabbricanti hanno "risolto" il problema vendendo delle 1600 ISO ma chiamandole 400. Nella maggioranza dei casi esse saranno sovraesposte di due stop, e solo quando se ne presentasse la necessità esse verrebbero esposte normalmente. L'equivalente automobilistico consisterebbe nel guidare costantemente in terza sapendo che la quinta può venire buona di tanto in tanto. La stessa latitudine di esposizione consente l'utilizzo della pellicola a 200 o a 100 ISO, ma le probabilità che se ne faccia uso di proposito sono minime. Al più può servire come margine di sicurezza. Come comportarsi? Chi lascia fare tutto alla macchina può lasciare le cose come stanno e dormire sonni tranquilli. Chi invece cura l'esposizione di persona può trovare utile lavorare vicino alla sensibilità massima, sfruttando le potenzialità della pellicola ed ottenendo negativi più leggeri, cioè migliori.
Nota: il consiglio di lavorare vicino alla sensibilità massima può sembrare in contraddizione con il consiglio di sovraesporre (vedi "Sovraesposizione e sottoesposizione"). In realtà sono due concetti complementari: il primo consiste nell'utilizzare la pellicola per quello che è realmente, il secondo nel dare la migliore esposizione per il soggetto, in pieno rispetto delle caratteristiche reali, e non di quelle fittizie, della pellicola.
COME SONO LE PELLICOLE BN DA 3200 ISO?
Quando si usano pellicole da 3200 ISO si presuppone che ci sia poca luce, ma proprio poca! Si tratta quindi di prodotti spinti, la cui prestazione non può essere giudicata separatamente dagli obiettivi, che in queste condizioni possono rivelare differenze notevoli. Obiettivi speciali per questo tipo d'illuminazione, come il Planar 50/1,4 o i Noctilux o Summilux della Leica sono caratterizzati da un alto contrasto: la Delta 3200 sembra essere la migliore pellicola perché "lega" i vari toni dell'immagine compensando il contrasto degli obiettivi. Se non si dispone di simili "pezzi" è più difficile osservare delle differenze, ed anche con la Kodak o con la Fuji si ottengono risultati più o meno soddisfacenti. In questi casi è meglio puntare su immagini a contrasto forte piuttosto che perseguire una lunga ed elusiva scala tonale. Comunque un consiglio, che viene da uno stampatore di altissimo livello, è di non combattere contro i materiali con affermazioni del tipo "le Ilford fanno schifo... le Kodak vanno meglio... il Neofin è il miglior sviluppo", ma di cercare di comprendere per ogni materiale il migliore utilizzo, valutando in maniera complessiva luce, obiettivo da ripresa, sviluppo negativo, carta da stampa, sviluppo stampa, obiettivo da stampa (anche quello conta). Naturalmente il fotoamatore medio non ha l'opzione di scegliere tra uno Schneider ed un Rodenstock per la stampa di un particolare negativo, ma ciò non toglie che possa allenarsi a riconoscere l'effetto delle variabili sotto il suo controllo entro i limiti delle attrezzature in suo possesso.