C'è chi pensa che la fotografia debba essere una riproduzione della realtà. Ma la fotografia, bidimensionale e spesso in bianco e nero, ha ben poco a che vedere con un mondo fenomenico tridimensionale e colorato.
La fotografia è piuttosto una "traduzione" della realtà, un insieme di segni, ordinati secondo un codice, che "significano" qualcosa. E questo qualcosa non è il soggetto, ma il rapporto che il fotografo ha saputo instaurare con esso, lo stile con cui ha affrontato e risolto il problema fotografico che quel soggetto poneva in essere, le modalità con cui ha saputo trasformare un pezzo di realtà esterna (di per se stesso privo di significato) in un messaggio.
1. Camille Silvy: Scena presso il fiume (1858). Stampa all'albumina ottenuta da due lastre al collodio.
2. Henry Peach Robinson: Agonia (1858). Stampa all'albumina da cinque diversi negativi.
3. Henry Peach Robinson: La signora di Shalott (1861). Stampa all'albumina da tre negativi.
4. Jeff Wall: La donna e il suo dottore (1981).
5. Oscar Gustave Rejlander: Le due strade della vita (1857). Stampa alla gelatina.
6. Julia Margaret Cameron: L'eco (1868)
7. David Hamilton: Twen (1969)
8. Peter Henry Emerson: A stiff pull, East Anglia (1880)
9. Michele Vacchiano: Rothorn e Testa Grigia da Mandriou (2000). Doppia esposizione su lastra invertibile 4x5 pollici.
10. Michele Vacchiano: La luna sulle Levanne (1985). Due diapositive 35 mm duplicate "a sandwich".
11 e 12. Due immagini "astratte" del fotografo naturalista Lonnie Brock.
[2] Tratto da: R. Maggiori, Fotografia “pre-raffaellita”.
[3] E’ infatti vero che l'obiettivo di Petzval, il primo obiettivo ad essere progettato matematicamente (1840), forniva una notevole apertura (f/6,3) unita a una nitidezza fino ad allora sconosciuta, ma si trattava pur sempre di una nitidezza limitata al centro del campo, che rendeva questo obiettivo ideale per il ritratto ma poco performante nelle riprese di insieme [ndr].
[4] Tratto da: Roberto Maggiori, I fotografi “pre-raffaelliti”.