Ho un eccellente orecchio musicale, "sento" la musica con intensità. Ho iniziato a suonare da autodidatta, senza studiare teoria né, soprattutto, la tecnica. Con i grandi jazzisti nel cuore, e una discreta presunzione in testa, immaginavo che avrei potuto evitarmelo. Dopo un inizio pieno di promesse mi sono bloccato, miseramente arenato nel punto in cui l'improvvisazione (non in senso jazzistico) non basta più, se non sei Mozart: frustrazione e senso di fallimento, tanto che nemmeno suono più. Inquadrare e premere un pulsante è certamente più istintivo che non suonare una chitarra, ma non ci rende automaticamente dei fotografi, così come strimpellare non ti rende un chitarrista: le prime cose buone al massimo per le foto al pupo, la seconda per una cantata tra amici (meglio se ottenebrati dall'alcool). L'equivoco di fondo è lo stesso: pensare che basti sentire qualcosa per poterlo riprodurre. Come ho già scritto, in fotografia non vediamo il soggetto, ma un'immagine del soggetto.
La distanza tra il rappresentato e la sua rappresentazione è grande, soprattutto se comprimiamo in una foto bidimensionale, statica e limitata nello spazio, la grandiosità di una montagna, il dinamismo di un uccello, il colore di un fiore nel sottobosco. Prima di tutto ci vuole l'anima, certo: l'emozione che passi dal cuore al pulsante. Non basta, però, farsi affascinare da un fiore per ottenere una buona foto di fiore, per quanto intensamente esso ci possa toccare (magari bastasse! ora starei pestando su un altro tipo di tastiera). Occorre imparare i meccanismi conoscitivi, non intuitivi, attraverso cui la suggestione è traducibile in immagine: studiare il linguaggio, quindi, e la sua specifica sintassi, per restituire una parvenza di quell'emozione e renderla conoscibile da qualcuno al di fuori di noi. Se una canzone appare da subito inequivocabilmente stonata, tuttavia, sembra invece che per le foto regni il più totale relativismo. È mia, mi piace quindi è bella, sono autorizzato a qualsiasi nefandezza: in malafede chi non mi capisce.
Chi si offre al giudizio altrui vive spesso una critica come un attacco alla persona, mischiando il piano della sua interiorità con quello della proprietà di linguaggio con cui la esprime; succede, quando s'investe molto di sé in ciò che si fa. Bisogna accettare che la comunicazione si nutre di regole e convenzioni. La rottura creativa di quelle esistenti, territorio riservato ai Grandi Anticipatori, porta comunque a nuove regole e convenzioni. Così come nessuno pretende di spiegare a gesti dei concetti complessi, ma ricorre a linguaggi codificati e condivisi (parlare, scrivere), allo stesso modo vanno percorse le vie maestre della tecnica espressiva fotografica. Quale morale? La necessità imperativa di studiare molto, prima di tutto; esercitarsi, poi, e proporsi infine al confronto, con la dovuta umiltà.
Vitantonio Dell'Orto © 10/2008
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"Cigni selvatici: un momento carico di grazia inserito in una degna cornice"