Foto e testi © Vitantonio Dell'Orto.
Forme nella neve
(Nikon F100 - 300/4 - Fuji Provia 100 F)
La similitudine che si presenta immediatamente è quella con le forme umane, come in una successione di corpi distesi (si son viste immagini balneari di questo genere). Solo i rami e le leggere depressioni di vecchie impronte riportano al contesto reale, quello di una candida e ovattata coltre nevosa.
La morbidezza vellutata tipica della neve vergine è sottolineata al meglio quando la luce è altrettanto soffice e permette di evitare i forti contrasti tipici della luce solare diretta, tanto più problematici da maneggiare in casi come questo per la fortissima luminosità che ne risulterebbe.
È fondamentale tuttavia che la luce non sia così diffusa e spenta da non provocare ombre, altrimenti non sarebbe possibile evidenziare in alcun modo la sequenza di forme che da sola costituisce trama e ordito di immagini come queste.
Rami ghiacciati
(Nikon F100 - 180/2,8 - Fuji Velvia)
Ci sono situazioni che mi fanno sempre uno strano effetto, mi mettono addosso una singolare tensione. E' il caso di questa spettacolare ghiacciata di qualche settimana fa.
Uno spesso strato di ghiaccio limpido e cristallino si era depositato sull'intero versante di una collina boscosa. Da un lato si parava davanti ai miei occhi una visione resa incomparabile dal connubio tra la grazia del fenomeno e la sua estensione: fin dove lo sguardo spaziava tutto era di cristallo, ogni singolo filo d'erba o foglia d'albero. Dall'altro lato mi trovavo a confrontarmi con la limitatezza dello strumento fotografico, che spesso può interpretare i grandi scenari solo attraverso la scelta di particolari o scorci che rappresentino e lascino intuire la sensazione dell'insieme.
Ho scattato freneticamente per un paio d'ore, con un occhio al cielo ed uno all'inquadratura, prima che il sole sbucasse infine dalle nuvole per sottolineare inesorabilmente il carattere effimero di quella situazione. Alla fine la tensione ha lasciato il posto ad una sottile frustrazione per la consapevolezza di non essere riuscito a cogliere pienamente quello che vedevo, mitigata però dalla gioia di essere stato partecipe di tanta bellezza.
Sfida tra i ghiacci
(Nikon F90x - 20/2,8 - Fuji Provia 100F)
Quaranta gradi sotto zero sono un bel freddo anche secondo i canoni dell'inverno artico. È proprio la temperatura che devo affrontare, dopo aver lottato con una tuta superimbottita nella quale la mia abbondante sagoma si rifiuta di entrare. Nonostante le precauzioni, l'impatto col freddo estremo è un colpo duro: il battito accelera, il respiro si fa affannoso… e ancora non mi sono mosso. All'esterno, tutto è coperto da una brina che forma lunghi barbigli penduli che dondolano nella brezza: sembra che una strana muffa si sia attaccata ad ogni cosa. Dopo un paio di respiri vengo contaminato anch'io, il volto mi si ricopre di perle di ghiaccio luccicanti al sole. Le narici si tappano istantaneamente, le palpebre si incollano l'una all'altra: questa sarà decisamente una giornata fredda.
Un bosco misto di pino e abete copre tutto il versante nel quale mi muovo lentamente. Il sole è basso e il gioco delle pendenze lascia intravedere tra i tronchi uno sciabolare di lame di luce. Cammino abbastanza agevolmente, ma solo perché seguo la traccia di una motoslitta; quando sono costretto ad uscirne, per cercare le inquadrature, compio lunghe escursioni nella neve fresca, dibattendomi goffamente in un manto bianco farinoso che arriva al bacino, in cui spostarsi è faticosissimo. Le mie energie, già in partenza non proprio portentose, si consumano con rapidità sorprendente. Nonostante tutto mi muovo di continuo, per mantenermi caldo ed evitare di diventare parte integrante del paesaggio naturale.
Il bosco è tappezzato di orme. Scoiattoli, ermellini, caprioli, renne, ma soprattutto lepri variabili, le cui impronte sono ovunque, molte di esse freschissime. Non riesco a vedere nemmeno un animale, neanche mentre fugge in un turbine di neve; eppure devono essercene a decine… oppure è solo una, sempre quella, che si sta allenando per le olimpiadi dei roditori.
Mentre sorrido tra me e me a quest'idea, mi imbatto in una fila di graziosi arabeschi. È un solco leggero, affiancato da una serie di segni stampati sulla neve fresca: quattro o cinque linee che si aprono a ventaglio, poste sui due lati. Corrispondono alle remiganti di un uccello di medie dimensioni, con tutta probabilità una pernice bianca nordica (Lagopus lagopus), qui molto diffusa. Due serie identiche di queste tracce si dipartono da un unico punto, al quale arriva una terza traccia, una profonda scia continua. Riesco quasi a vedere la scena nella mia mente: una volpe, o un cane, sbuca dalla foresta e si lancia vanamente sugli uccelli che si involano in un vortice di piume e neve, lasciando impressa la prova di una caccia infruttuosa e di un volo disperato che posso solo immaginare.
Le tracce si portano dietro sempre un quid supplementare di suggestione, per quel margine di indecifrabile che viene lasciato alla fantasia, testimonianze trattenute solo per poco tempo, il percorso del sole, il passaggio di un'onda, uno scroscio di pioggia.
La vita qui segue il suo corso, a dispetto dell'ambiente estremo, gli animali sono adattati alle bassissime temperature. Stanco e intirizzito, verifico che per l'uomo le cose stanno in maniera molto diversa, e spendo gli ultimi sprazzi di sensibilità alle mani e di autonomia delle batterie per fotografare. La luce bassa è ideale per evidenziare le impronte. Il taglio verticale, un grandangolo spinto e un primo piano stretto mi aiutano a rafforzare la profondità, scelte tanto più indicate perché in sintonia con la fuga e lo slancio che cercano di rappresentare.
Vitantonio Dell'Orto © 12/2007
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