BN DIGITALE & RUMORE
MOLTO RUMORE PER NULLA?

Pensieri a ruota libera di un bianconerista tradizionale
Proprietario di fotocamere ed ottiche di un certo prestigio, non ho resistito al richiamo della moda ed ho comprato una macchina digitale. Nulla che possa farmi mettere da parte la Hasselblad e la Contax, ma utile, con la sua indubbia comodità, a moltiplicare il numero di occasioni per tenermi in esercizio. Per un po' l‘ho usata senza sfruttare a fondo le sue possibilità, interessato soprattutto al contenuto delle foto da guardare sul monitor dopo un assoluto minimo di postproduzione, poi ho cominciato a chiedermi che cosa avrei potuto cavarne in più, che per me significa "in bianco e nero". E dopo anni di lotta alla grana mi sono trovato confrontato con il rumore, o meglio, con la psicosi del rumore

Per inveterata abitudine ho cominciato ad interessarmi al rumore cercando di capire che cosa ci fosse dietro quella specie di granulosità dell'immagine che, con frasi ormai entrate nel linguaggio comune, viene equiparata alla grana della pellicola. A rischio di aggressioni a mano armata con testi di meccanica quantistica da parte di qualche scienziato indignato per la mia impudenza, ho tentato di visualizzare in termini elementari le differenze tra i due sistemi per rendermi conto, ahimé troppo tardi, di aver commesso un errore fondamentale: quello di credere che, se una cosa la dicono in tanti, è vera. E che cosa dicono in tanti? Che il rumore è un problema. Se è per questo anche l'acqua lo è, bisogna vedere in che contesto. Ma intanto il lavoro era fatto, quindi cominciamo dal principio.

LA GRANA DELLA PELLICOLA

La grana di una pellicola è causata da una discontinuità dello strato di argento, che appare nella zona di transizione tra le luci e le ombre (Fig. 1). In alto a sinistra (luci nel negativo) lo strato di cristalli di argento si presenta come una struttura chiusa attraverso la quale la luce passa in proporzione inversa alla densità. Quando, nei mezzi toni, la distribuzione dell'argento diventa meno densa, le sue irregolarità interne si manifestano come discontinuità (in alto, al centro), che si stampano come macchie scure contro il tono grigio di fondo dando luogo a quello che chiamiamo grana. Man mano che, spostandosi verso le ombre, la densità dello strato di argento diminuisce, la sua struttura continua ad aprirsi mentre il tono di fondo si confonde con le discontinuità: la grana sparisce.

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Fig. 1

IL RUMORE DEL SENSORE

Anche il rumore di un'immagine digitale è dovuto ad una discontinuità, che però non è una discontinuità fisica del substrato (sensore) bensì la combinazione di due discontinuità, una nel flusso dell'energia luminosa, l'altra, intrinseca del sistema digitale, nella risposta del singolo pixel alle variazioni della luce incidente. Osserviamo la Fig. 2:

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Fig. 2

L'energia luminosa che raggiunge il pixel durante il tempo di esposizione arriva in "pacchetti", cioè in unità che, se pur piccolissime, non sono divisibili all'infinito (i fisici le chiamano fotoni). Supponiamo, giusto per discutere, che un pixel abbia bisogno di quattro fotoni per passare da uno stato di eccitazione a quello superiore, cioè per produrre il prossimo di quei 256 livelli di grigio che formano la scala tonale di un'immagine digitale: la luminosità dell'oggetto, l'apertura del diaframma ed il tempo di esposizione non bastano a garantire che questo avvenga, perché se i fotoni viaggiano affiancati tutto procede secondo le aspettative, ma se viaggiano sfasati, durante il tempo di esposizione sul pixel ne arrivano tre, ed il pixel, che da buon elemento digitale vive secondo la massima "o tutto o niente", non se ne accorge neanche. Questo al contrario di quanto avverrebbe se al posto del pixel ci fosse un elemento di pellicola di uguale area, perché all'interno di questo elemento i tre fotoni incontrerebbero un numero elevatissimo di punti attivi, pronti a produrre un incremento di densità del negativo che potremmo stimare come pari a tre quarti di quella ottenibile se tutti i quattro fotoni fossero giunti a destinazione.

La differenza di luminosità generata dai due pixel è "rumore".

Per la precisione occorre ricordare che, in un'immagine a colori, esso non si manifesta solo come differenza di luminosità ma anche in forma di macchie di colore, perché gli elementi del sensore che generano i colori rosso, verde e blu non reagiscono tutti allo stesso modo. Aggiungiamo anche che correnti parassite all'interno della macchina possono disturbare il sensore dando luogo, come vedremo più avanti, ad un rumore addizionale.

Ovviamente la rappresentazione in Fig. 3 è troppo semplice per pretendere di poter descrivere una realtà molto complessa, e sarebbe ingenuo tentare di trarne conclusioni sulla distribuzione del rumore digitale sulla scala tonale. La sola cosa che possiamo superficialmente intuire è che il rumore, inteso come risposta discontinua dei pixel al flusso di fotoni che li colpiscono, dovrebbe persistere anche nelle ombre. Dedurne che qui il rumore dovrebbe essere più forte perché, in presenza di un basso numero di fotoni, un "errore" si noterebbe di più, significherebbe spingersi troppo lontano, anche se due realtà tenderebbero a supportare questa conclusione: a parità di risoluzione il rumore è più forte

- in un sensore più piccolo, perché i pixel, essi stessi più piccoli, sono in grado di catturare meno fotoni
- a 800 ISO, perché per generare la stessa differenza di luminosità rispetto a 100 ISO basta un numero di fotoni otto volte inferiore.

Di qui la ritirata strategica sul più sicuro terreno sperimentale.


LA DISTRIBUZIONE DEL RUMORE SULLA SCALA TONALE

Osserviamo la Fig. 3 limitandoci alle tre linee non marcate dai punti rossi e neri. Esse rappresentano il rumore, misurato con Noise Ninja, in posizioni rigorosamente uguali su immagini in bn di una superficie uniforme, ripresa ad una distanza di circa 40 cm (con la macchina focheggiata su infinito, per sfocare qualunque irregolarità che Noise Ninja avrebbe letto come rumore). Il rumore è riportato in funzione della luminosità dell'immagine, a sua volta funzione dell'esposizione e della sensibilità del sensore.

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Fig.3

Anche se, a parità di esposizione, le luminosità alle tre sensibilità non sono esattamente uguali, l'andamento delle curve è inequivocabile:

- come prevedibile, il rumore aumenta considerevolmente con la sensibilità
- è nettamente più forte nei mezzi toni
- in misura maggiore o minore è sempre presente

La curva nera in alto si riferisce ad una seconda serie di esperimenti ad 800 ISO: pur disponendo di soli quattro valori del diaframma, da f/2.8 ad f/8, variando l'illuminazione è stato possibile ottenere sei immagini di luminosità diversa mantenendo il tempo di esposizione costante ad 8". Il rumore è chiaramente aumentato rispetto alla curva immediatamente inferiore, per la quale i tempi di esposizione non superano 1". Presumibilmente si tratta di "rumore di fondo" dovuto a fenomeni elettrici interni alla fotocamera, ed accumulatosi durante la lunga esposizione.

E qui non ci resta che spiegare la curva marcata come "800 ISO-corretto", che non rappresenta, come si potrebbe pensare, il rumore corretto con Noise Ninja, ma corretto per la dimensione dell'immagine. Ovvero...


MOLTO RUMORE PER NULLA

Un file da 5Mpx, risoluzione alla quale scatto le mie foto digitali, ha le dimensioni di 2592x1944 pixel (sulla mia fotocamera). Sul mio monitor, impostato ad una risoluzione di 1440x900 pixel ha una dimensione effettiva, misurata con un righello e facendo scorrere l'immagine sullo schermo, di 66x49 cm. Ed il rumore, se c'è, si vede. Ma chi ingrandisce un negativo da 35mm a 50x70? Io no. Al massimo arrivo a 30x40, se non, più spesso, a 24x30, e 30x40 è per me la dimensione effettiva alla quale valutare il rumore. Per comodità ho ridotto i file a 1500x1125 px, che è un po' più di 40x30, ed i risultati sono più che eloquenti: il rumore ad 800 ISO diventa quello della curva marcata come "800 ISO-corretto" in Fig. 3.

Da notare che questa non è una riduzione apparente dovuta ad un'incapacità dell'occhio di rilevare differenze di minori dimensioni lineari. Anche se non è da escludere che questo c'entri per qualche verso, si tratta di una riduzione effettiva delle differenze di luminosità tra pixel adiacenti, perché fondendo quattro pixel in uno, qualunque sia l'algoritmo con il quale il sw effettua questa riduzione le differenze vengono in parte livellate.
Questo per quanto riguarda i numeri. Osserviamo ora due foto (Fig. 4 e Fig. 5) scattate ad 800 ISO, che purtroppo non posso presentare per intero nelle loro vere dimensioni, seguite da alcune immagini scelte secondo i seguenti criteri:

- dettaglio della foto a dimensioni piene che mostra l'area con maggior rumore
- stesso dettaglio a dimensioni ridotte (lato maggiore della foto = 1500 px )
- idem a 1500 px dopo una minima correzione del rumore con Noise Ninja

In entrambi i casi l'area con maggior rumore è stata identificata ad occhio perché:

- confrontato con un oggetto reale Noise Ninja legge come rumore anche le differenze di struttura della superficie, come le venature del legno o la trama di un tessuto, e può dare indicazioni totalmente erronee
- in ultima analisi è il rumore che vediamo e che ci dà fastidio a determinare la qualità visiva dell'immagine

Nella foto in Fig. 4 le aree di maggior rumore sono le pareti della stanza riflesse nel globo in alto, dettaglio non molto significativo per la qualità totale dell'immagine ma più che adeguato a scopo dimostrativo. In Fig. 5 la superficie del portanegativi ed il lato in ombra della Hasselblad sono invece molto rilevanti. Le Fig. 6 e 7, lette di seguito (a, b, c), mostrano senza possibilità di dubbio l'effetto sul rumore delle ridotte dimensioni e della successiva correzione con Noise Ninja.

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Fig. 4

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Fig. 5

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Fig. 6a

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Fig. 6b

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Fig. 6c

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Fig. 7a

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Fig. 7b

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Fig. 7c

DUE PAROLE A PROPOSITO DI NOISE NINJA

Noise Ninja va usato in piccole dosi, perché oltre a leggere come rumore le strutture superficiali degli oggetti le tratta come tale, rendendole simili a facce da museo delle cere, come quelle di certi pensionabili personaggi TV. È consigliabile cercare sull'immagine le aree di minor rumore ed effettuare la correzione in base a questo dato. In Figg. 4 e 5 le aree di riferimento per la correzione sono state rispettivamente le alte luci ed una piccola zona bianca del portamatite.

CONCLUSIONE

Il rumore non è un problema, in casi estremi potrei addirittura sottoesporre di uno stop e scattare a 1600 ISO effettivi, perdendo qualcosa nelle ombre come ai tempi della buona, vecchia available light photography, ma mantenendo lo stesso livello di rumore. La mia relativamente modesta Sony V3 è perciò entrata a pieno diritto nella famiglia delle mie macchine per un lavoro serio in bn.

Romano Sansone © 08/2006