PELLICOLA E DIGITALE: CONFRONTARLI E VIVERE FELICI
Agostino Maiello, novembre 2005

Capita spesso di incontrare appassionati di qualcosa che, alla prova dei fatti, si dimostrino essere appassionati degli strumenti progettati per tale qualcosa.

Appassionati di automobili a cui interessi soprattutto smanettare in garage, anziché guidare; appassionati di computer che più che adoperarlo si divertono ad aggiornarlo ed ottimizzarlo di continuo (chi scrive, peraltro, in passato è stato membro di questa categoria…); o anche, appassionati di alta fedeltà e/o home video talvolta molto più avvinti dalle discussioni sulle qualità dei cavi che dal valore della musica o dei film che su quei cavi dovrebbero viaggiare. Non fanno eccezione i tanti appassionati di fotografia che, più che allo scattare foto, si votano con ardore all'incessante confronto tra obiettivi, pellicole e fotocamere.

Ebbene, l'avvento del digitale ha dato nuova linfa a quest'ultima categoria di persone. Sono sempre numerosi i dibattiti, sulle riviste cartacee o attraverso i siti ed i gruppi di discussione presenti sul Web, che ambiscono a capire se sia meglio la pellicola o il digitale. La recente pubblicazione di un test del genere sulla rivista Fotografia Reflex ha suscitato in numerosi lettori reazioni molto diverse – sia riguardo i risultati che per la metodologia del confronto. Senza entrare nel merito del dibattito, vogliamo cogliere quest'occasione per qualche riflessione sull'argomento.

Tanto tempo fa, nell'Era dei Rullini (quella intermedia tra l'Era delle Lastre e l'Era dei Sensori), di tanto in tanto saltava fuori un confronto tra piccolo e medio formato. L'appassionato di turno prendeva la sua bella reflex 35mm, scattava qualche foto, e poi con una medioformato scattava foto identiche usando la stessa pellicola, ed adoperando una focale equivalente per angolo di campo (per esempio, 50mm sul 24x36 e 80mm sul 6x6). Dopodiché, stampe alla mano, non era raro che il giudizio fosse a favore del piccolo formato, perché più nitido ed inciso.

Ora, al di là delle mille solite considerazioni che si possono fare sulla qualità ottica (e che trovate in varie salse ripetute su Nadir: non è solo la risolvenza a fare la qualità di un'immagine, contano anche la correzione delle distorsioni, il trattamento antiriflesso, la tridimensionalità, ecc.), questo tipo di parere veniva solitamente contestato sulla base di due argomenti. Il primo è che le foto in piccolo formato risultano più incise perché, anche se l'angolo di campo è lo stesso, un 50mm ha pur sempre la profondità di campo di un 50mm, che è maggiore di quella di un 80mm. Quindi, anche se può sembrare corretto, è in realtà sbagliato confrontare una foto scattata in queste condizioni a parità di diaframma. Per compensare la cosa si dovrebbe usare l'ottica in medioformato ad un diaframma più chiuso, ma se già la definizione di profondità di campo è opinabile (come lo è la dimensione del circolo di confusione, su cui si basa l'ampiezza della PDC), figuriamoci che senso ha stabilire a naso (o ad occhio, se si preferisce) un valore di diaframma che si presume azzerare le differenze di PDC tra i due formati.

Il secondo argomento è che la dimensione delle stampe influenza notevolmente il giudizio. Il medioformato ha com'è noto meno grana ed una superiore gamma tonale, ma questi sono aspetti che per essere apprezzati richiedono dimensioni generose. E non è detto che siano l'ideale per tutti i soggetti. Insomma, non ci stupiremmo se tutto sommato il classico scatto di reportage, in un bel BN sporco stampato sul 20x30 da un negativo piccolo formato, sia più bello, più d'impatto, della stessa foto scattata con un'Hasselblad. Poi magari ci si vuol ricavare un poster, e lì il medioformato finisce con l'avere la meglio.

La conclusione qual è? E' che non ce n'è una oggettiva, univoca ed indiscutibile, perché anche lasciando fuori dal discorso tutti gli aspetti legati ai costi, agli ingombri ed alla praticità d'uso, il solo tema della qualità finisce con il dover essere talmente precisato e circostanziato da premesse e vincoli vari che, alla fine, il test ha un valore pratico prossimo allo zero. Un po' come i classici test estivi delle riviste ("Il tuo lui è geloso?", "Sei un turista comodo o un avventuriero?", ecc.): se sono fatti bene ci dicono cose che già sappiamo, se sono fatti male non servono a nulla.

Il digitale, da questo punto di vista, non ha cambiato le cose, anzi per molti aspetti le ha complicate. E' sempre più difficile stabilire uguali condizioni di partenza: prima almeno si poteva usare la stessa pellicola, la fotocamera non aveva molta importanza, e di fatto si confrontavano due obiettivi. Ora non più: per realizzare un test "pellicola contro digitale" bisogna stabilire quale pellicola e quale digitale. Tra i tantissimi obiettivi e le numerose pellicole a disposizione, bisogna scegliere una coppia di riferimento, non replicabile dall'altra parte visto che nel digitale la funzione della pellicola la svolge il sensore. Nell'Era dei Sensori, la qualità la fanno l'obiettivo e la coppia sensore/software; nell'Era dei rullini contavano l'obiettivo e la pellicola (nel caso del BN va aggiunto il rivelatore). Dunque non si può far altro che scegliere un binomio digitale fotocamera+obiettivo che sia il più possibile equivalente, ma come stabilire l'equivalenza? Con il prezzo? Il marchio? Il tipo di prodotto? Un possessore di una Nikon F100 con ottiche Nikon AF con chi dovrebbe confrontare il proprio corredo? Con una reflex digitale Nikon con le stesse ottiche? O con un corredo digitale che costi quanto il suo corredo a pellicola? Con cosa confrontare un sensore da 6 megapixel? Con una Velvia, una Provia, una Kodachrome? Ed uno da 8? Con pellicole da quanti ISO? 

Ancora: si potrebbe pensare che usando lo stesso obiettivo su due corpi si introduca nel test un po' di uniformità. Mica vero: a parte che esistono sensori di diversi formati (e quindi anche qui abbiamo PDC diverse, senza contare che anche la nitidezza varia in funzione della distanza tra soggetto ed ottica), è stato spesso verificato come gli obiettivi dell'Era dei Rullini, una volta trapiantati nell'Era dei Sensori, abbiano una resa assolutamente imprevedibile (il Darwinismo ha un senso, in fondo). Pregiatissime ottiche che sulle reflex a pellicola davano risultati di qualità, montate sulle reflex digitali hanno una resa a dir poco modesta, talvolta visibilmente inferiore a quella degli zommettini da cento Euro forniti a corredo delle digireflex stesse. Allora cosa si deve confrontare? Uno zoom "a pellicola" che costava più di mille Euro con uno "digitale" che di fatto ne costa un centinaio? Si potrebbe dire "E' accettabile, anche perché il corpo a pellicola costa molto meno di quello digitale, quindi il costo complessivo dei due corredi è lo stesso". Ma questo non è sempre vero, perché si possono avere reflex a pellicola da 250 Euro o da 2.500 Euro da un lato, e digitali da 800 a 3.000 dall'altro (e cambiando la digitale, cambia anche tutto il test, perché la "pellicola" è il sensore: quindi non è solo una questione di prezzi equivalenti).

Un ultimo punto riguarda la destinazione delle immagini. Andranno stampate o visionate su un monitor? E se vanno stampate: come e dove? Serve della postproduzione, come ormai quasi sempre avviene? E con quale flusso di lavoro dobbiamo confrontarci? Le immagini verranno scandite? E come, con uno scanner da 100 Euro, uno da 2.000 o uno da 35.000? Per il digitale non c'è molto da decidere: si scatta, si fa postproduzione, e talvolta si va in stampa. Con la pellicola c'è più variabilità: le diapositive nascono per la proiezione, di solito gli amatori ne stampano una minima parte, mentre è noto che in ambito professionale la dia è stata il supporto di riferimento per la pubblicazione su libri, riviste, cataloghi e quant'altro. Le pellicole in BN vengono solitamente stampate in proprio (e spesso anche sviluppate in casa); le negative colore finiscono di solito nei laboratori verso flussi più automatizzati. Negli ultimi tempi alcuni fotografi, dotati di scanner per pellicola, anziché far stampare il negativo tal quale portavano al laboratorio un CD con le foto già postprodotte.

A ciascuno il suo, insomma: molte varianti, molte esigenze, molti flussi di lavoro diversi. Un enorme e variegato calderone decisamente difficile da rinchiudere in tre parole: chi è meglio? Il problema non è più definire cosa sia meglio, il problema è capire cosa sia il chi.

Il test di Fotografia Reflex citato in apertura non può sottrarsi a tutto questo, e si basa sul confronto tra due flussi di lavoro il più possibile simili e, soprattutto, realistici (soprattutto in ambito editoriale, dove ormai l'immagine nasce, sempre più spesso, direttamente in digitale). Quindi: gli si può obiettare che il formato è diverso e quindi la PDC è diversa e quindi la risolvenza ne è influenzata e così via, nonché che far passare la pellicola in uno scanner finisce con l'avvantaggiare il digitale. Ma un lettore attento dovrebbe trarre da articoli del genere quel che possono dare, senza lasciarsi fuorviare da ciò che non possono fornire, ovvero una verità assoluta che valga per qualunque tipo di utente e soddisfi ogni tipo di esigenza. 

Ci spieghiamo meglio. Trovare due sistemi di produzione delle immagini che siano assolutamente identici ed equivalenti, con la sola differenza che uno usa il sensore e l'altro la pellicola, è impossibile. Dunque, tutto ciò che si può fare è mettersi nei panni di Mario Rossi che, sperso in un negozio di fotografia, prova a capire quale dei due insiemi di attrezzature sia più adatto alle sue esigenze, oggi, nel 2005, spendendo più o meno una cifra simile. Stabilite le premesse, un test di confronto sviluppa il suo ragionamento ed arriva a delle conclusioni che sono figlie di quelle premesse. Un lettore attento, una volta compresa la logica del confronto, dovrebbe inserire le proprie premesse a monte, così da ritrovarsi con risultati adatti a valle, e cosciente del fatto che si tratta di una risposta ad personam, che con enorme difficoltà si potrebbe applicare a qualcun altro.

Tutto ciò detto, la maniera migliore per concludere queste riflessioni è probabilmente con qualche esempio. Immaginiamo dunque alcune tipologie di fotografi e proviamo ad imbastire un ragionamento che consenta una scelta tra pellicola e digitale. 

Tralasceremo, nel prosieguo, il discorso relativo alla qualità, soprattutto perché quella fornita dal 90% dei corredi in circolazione (a pellicola o digitali) è ampiamente oltre la sufficienza e, ferma restando una buona stampa, ci riesce davvero difficile sostenere che col digitale non si sia almeno pareggiata la resa di un'ottima pellicola 24x36mm usata con un obiettivo di qualità. 

Partiamo dall'ipotesi più radicale (aggiungeremo poi ulteriori elementi per complicarci la vita): un aspirante fotografo privo di corredo, dunque al suo primo acquisto. In questa categoria possiamo inserire anche un fotografo alle primissime armi, che abbia iniziato a fotografare da poco con un'attrezzatura minimale e, diciamo così, priva di futuro: come una compattina digitale da due megapixel (magari un regalo di compleanno), o una reflex a pellicola di trent'anni fa probabilmente ancora in perfetta efficienza (il classico regalo delle zio appassionato in gioventù, ad esempio un corredo Fujica, uno Zorki, o anche un Canon FD). 

La scelta non può prescindere da una semplice domanda: che cosa si vuol fare con la macchina fotografica? Per immortalare foto ricordo di feste e picnic va benissimo una compatta digitale di medio livello: genera stampine di buona qualità, regge anche un ingrandimento della foto del nipotino appena nato, ed ha la praticità del digitale; grazie ai computer ed all'e-mail diventa infatti molto facile diffondere le foto ai vari partecipanti, laddove un tempo iniziava, a fine gita, un lungo e costoso giro di negativi e ristampe (che spesso si concludeva con lo smarrimento dei negativi stessi, di solito ritrovati anni dopo nel cassetto del più pigro della compagnia). Chi invece aspiri a qualcosa di più – a diventare cioè il classico fotoamatore, magari evoluto – si trova dinanzi ad una scelta più complessa. Si può orientare fin da subito verso un corredo digitale di buon livello (una reflex ad ottiche intercambiabili, o anche una prosumer di fascia alta), ma in fondo anche un valido corredo a pellicola non sarebbe da sottovalutare, visti i prezzi in caduta libera, e magari di una marca che consenta poi di adoperare anche il digitale senza dover stravolgere tutto, riciclando cioè corpo macchina ed obiettivi. Questa scelta potrebbe essere più adatta a chi ancora non si senta troppo a proprio agio con il mondo del digitale e che abbia come ambizione finale quella di ritrovarsi con stampe e/o diapositive. A parte tutto, per distribuire le proprie immagini (ristampe alle zie a parte, l'internet è diventato il mezzo principale di scambio e di confronto tra i fotografi) può essere sufficiente uno scanner da poche decine di Euro, posto che i volumi di scatto siano contenuti (il discorso cade se poi ci si deve dedicare tutti i giorni ad ore ed ore di scansioni).

Aumentiamo ora la complessità della questione: non più un fotografo al suo primo acquisto, ma uno più smaliziato, con un corredo di buon livello (per esempio, una Nikon F90x con un paio di buoni zoom AF Nikon) e magari dotato di uno scanner per pellicole. Qui la scelta è più complessa, ma a guidare la scelta ci sono sempre le proprie esigenze. Cosa succede alle foto scattate? Quante vanno scandite? Quanto tempo si perde in post-produzione? E' chiaro che se il flusso di lavoro tipico è scatto-sviluppo-scansione del negativo/dia il passaggio al digitale è quasi obbligatorio (ed in tal caso è consigliabile rimanere con lo stesso produttore del corredo a pellicola, quando possibile). Se invece la maggior parte delle foto viene semplicemente stampata (dal laboratorio) o proiettata (nel caso delle dia), facendo intervenire scanner e Photoshop solo di rado per qualche foto da correggere o ritoccare, si può ancora lavorare senza troppi patemi come si è sempre fatto. E per le cinquanta foto ricordo della gita al mare va benissimo una compattina digitale da battaglia. Va detto però che spesso ci siamo accorti che sì, solo poche foto vengono postprodotte, ma ciò avviene proprio perché scandire è un'attività noiosa; il digitale, fornendoci la foto già sottoforma di file, ci spinge a metterci mano più frequentemente. In sostanza c'è una certa probabilità che una frase del tipo "scatto sempre in pellicola, visto che lavoro pochissimo in post produzione" possa anche essere letta come "lavoro pochissimo in postproduzione perché non scatto in digitale".

Un sottocaso particolare è il fotografo dotato di camera oscura: ingranditore, bacinelle e tutto il resto. Qui abbandoniamo la razionalità ed affidiamoci di più al cuore. La stampa manuale del bianconero è un processo antico, fascinoso, artigianale e per certi aspetti anche rituale. E quando ci sono queste parole di mezzo, è inutile tirare in ballo concetti quali comodità, praticità, e così via. Chi ami dilettarsi in camera oscura, e non ha il problema di dover accontentare un committente che voglia le stampe in mezz'ora, continui pure. Del resto, se è vero che con Photoshop è possibile intervenire sulle immagini con altrettanta se non maggiore efficacia e libertà, è anche vero che imparare a farlo non è roba di poche ore; chi dunque abbia una profonda esperienza in camera oscura potrebbe chiedersi perché mai dover buttare tutto a mare e reimparare da zero per ottenere, dopo molto sudore, gli stessi risultati che aveva in partenza. L'abbandono della camera oscura in favore del bianconero digitale dunque ci pare suggeribile solo a chi, pur apprezzando la manualità del processo e tutto ciò che ne consegue, sia tutto sommato disposto a fare a meno di quelle ore di buio in mezzo ai chimici, ed abbia verificato che i risultati che si ottengono dal BN digitale siano soddisfacenti. O magari sia abbastanza sincero da dirsi "sono uno stampatore mediocre, col digitale non faccio di peggio ma almeno risparmio un mucchio di tempo"!

Immaginiamo ora un terzo ed ultimo caso: un fotografo professionista, che scatti sia in piccolo che in medio formato, a colori e in bianconero, e che abbia strumenti di tutto rispetto (validi corredi a pellicola ma anche computer potenti, filmscanner e buona conoscenza dei software di fotoritocco). Quando si tratta di professione il tempo finisce con l'assumere un valore enorme, quasi esclusivo: poter consegnare le foto in tempi rapidi è essenziale per rimanere competitivi sul mercato, e non a caso quello dei professionisti è il mondo che per primo, ed in maniera più massiccia, è migrato al digitale. Chi non ha particolari esigenze di qualità (se le foto saranno stampate su un quotidiano, talvolta nemmeno a colori, ne basta davvero poca) com'è ovvio si avvantaggia il più possibile delle nuove tecnologie (portatile, cellulare, e la foto arriva in redazione poco dopo lo scatto), chi ne ha non corre dietro ad ogni ultima novità ma, calcolatrice alla mano, valuta in maniera attenta cosa gli conviene acquistare e cosa dismettere, considerando ricavi attesi, l'aspetto fiscale, i tempi di ammortamento delle apparecchiature e via discorrendo. Appare evidente che per soddisfare le esigenze – di solito molto eterogenee – di un professionista quasi sempre si rende necessaria una reflex ad obiettivi intercambiabili (anche per una migliore integrazione con i vari sistemi di illuminazione solitamente utilizzati), campo in cui il digitale solo da pochissimi anni è veramente competitivo sia in termini di qualità che di costi. Francamente a chi volesse iniziare oggi un'attività professionale non riusciremmo a consigliare altro che un buon corredo digitale (beninteso, se uno è in grado di sostentarsi alla grande scattando con una Leica M e stampando le foto in camera oscura siamo contenti per lui ma tendiamo a considerarlo un'eccezione), anche perché sono ormai sempre più numerosi i committenti (agenzie, case editrici, ecc.) che chiedono le immagini già in digitale. Per chi, infine, esercita la professione già da tempo il digitale è, se non già il presente, di sicuro un futuro che sarebbe un suicidio ignorare. E' probabile che in settori professionali molto specifici (pensiamo ad esempio a chi lavori col grande formato) passerà ancora del tempo prima che il digitale spadroneggi, ma chi lavora a quei livelli non ha certo bisogno di sentirselo dire da noi.

Agostino Maiello © 11/2005
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