LA MIA OPINIONE SUL SISTEMA ZONALE
Michele Vacchiano, marzo 2001

Il sistema zonale è vittima di fraintendimenti, pregiudizi, opinioni errate che ne snaturano la vera valenza. Fino a sfociare nell'abitudine tutta italiana della polemica, che vede schierati in due partiti avversi i fautori e i detrattori del sistema, quasi si trattasse di un'ideologia o di una fede piuttosto che un metodo di lavoro, di uno strumento che può essere o non essere usato, ma che in quanto strumento non è di per se stesso né buono né cattivo, né giusto né sbagliato.

Fondamento del sistema zonale è la comprensione dei processi fisico-chimici che stanno alla base del procedimento fotografico. Questo perché la pellicola non può fare tutto: ha delle possibilità ma ha anche dei limiti. Tuttavia, l'espressione "comprensione dei processi fisico-chimici" non implica che il fotografo debba trasformarsi in fisico, occupandosi di sensitometria piuttosto che di fotografia! Il sistema zonale non è una teoria astratta, ma un metodo di lavoro (che ovviamente si basa su una teoria, ma non si limita a questa), con lo scopo di realizzare immagini che - dal punto di vista del fotografo - possano dirsi riuscite. Per questo è necessario che il fotografo faccia delle vere fotografie, non sempre e soltanto delle prove. Conosco persone che provano sempre tutto e non fotografano mai nulla: tanto varrebbe che riprendessero cartoncini grigi!

Un'altra idea limitante è che il sistema zonale possa essere applicato soltanto quando si usano pellicole piane, sviluppabili singolarmente. Questo non è del tutto esatto. E' vero che la pellicola piana consente l'applicazione completa del sistema, ma è anche vero che nella sua prima parte, quella della ripresa, esso conserva tutta la sua validità anche quando si lavora con pellicola in rullo. La scelta del soggetto, dell'illuminazione e dell'esposizione corretta è già sistema zonale, e merita un'attenzione ben più approfondita di quella che normalmente il fotografo - anche esperto, purtroppo - le dedica. Certo, è possibile effettuare una frettolosa misurazione esposimetrica attraverso l'obiettivo (o, peggio ancora, fare una media matematica fra i valori rilevati sulle alte luci e sulle ombre rispettivamente) oppure si può decidere, al contrario, dove far cadere l'area del grigio medio, verificando poi il corretto bilanciamento di tutte le altre aree dell'immagine. Si tratta di due approcci completamente diversi alla fotografia: il primo è approssimativo e genera immagini in qualche modo riuscite ma certamente non corrispondenti a ciò che il fotografo si aspettava (la "previsualizzazione" di cui parla Adams); il secondo è un metodo di lavoro in grado di trasferire un'idea su un supporto sensibile. Il primo sistema porta alla cartolina illustrata, il secondo comunica il mondo interiore del fotografo e l'intimo rapporto che esso ha saputo instaurare con il soggetto.

Per quanto poi riguarda l'affermazione secondo cui le carte graduate o multigraduate avrebbero ormai reso obsoleto il sistema zonale, mi sembra persino inutile discuterne. La convinzione che negativi dotati di diverso contrasto possano essere sviluppati in modo identico compensando poi il contrasto dell'immagine mediante la scelta del grado della carta sembra ignorare un dato di fatto fondamentale, e cioè che il controllo reso possibile dalla gradazione della carta è di gran lunga meno esteso di quello reso possibile dall'applicazione del sistema zonale. Inoltre il contrasto del soggetto e la sua estensione tonale in termini di brillanza sono due concetti molto diversi. A parità di contrasto del soggetto, lo scarto fra zone chiare e zone scure può essere più o meno esteso. Stampare un negativo con uno scarto di brillanza pari a 4 stop su carta a forte contrasto e - contestualmente - un negativo caratterizzato da uno scarto di brillanza di 10 stop su carta a basso contrasto significa da un lato adattare l'estensione di brillanza del soggetto alle caratteristiche della carta ma al tempo stesso falsare il contrasto originario del soggetto. Pertanto, se confrontato alle vaste possibilità di controllo dell'immagine garantite dalla corretta applicazione del sistema zonale, l'uso della gradazione della carta come unico strumento di regolazione del contrasto appare fortemente limitante.

La realizzazione di una fotografia non è frutto di una corrispondenza matematica tra soggetto e negativo e tra negativo e carta, ma è il risultato dell'interpretazione creativa di un soggetto che è, per l'artista, il puro pretesto della comunicazione visiva. Una comunicazione che non riguarda la "cosa" fotografata, ma il "modo" con cui è stata fotografata, cioè l'uso che il fotografo ha saputo fare del codice (il "linguaggio") fotografico. Allo stesso modo, quando commentiamo una poesia non ci fermiamo tanto ad analizzarne il contenuto quanto piuttosto a considerarne lo stile, a verificare "come" il poeta ha saputo esprimere i suoi sentimenti (non "che cosa" ha espresso). Non mi interessa che il pelo dello stambecco sia nero o grigio chiaro: mi interessa sapere come io lo voglio tradurre per esprimere i miei sentimenti di fronte a quel determinato soggetto. Perciò a volte può non interessarmi se la carta che ho scelto è in grado di rispettare tutti i minimi scarti di densità del negativo: come per l'esposizione, si tratta di una scelta espressiva, che impone non già delle misurazioni o delle calibrazioni scientifiche, ma un atto di volontà creativa.

Ed è in quest'ottica che il sistema zonale può rivelarsi un alleato prezioso, uno strumento capace di liberarci dai vincoli che il mezzo tecnico impone alla creatività.

Michele Vacchiano © 03/2001
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