Per il principiante non è difficile realizzare una ripresa ravvicinata: basta uno zoom dotato di posizione "macro". Ma il risultato... Ecco una piccola dimostrazione.
A rigor di termini si potrebbe parlare di "macrofotografia"
solo quando il rapporto di riproduzione è uguale o superiore
a 1, e cioè quando le dimensioni dell'immagine sulla
superficie di acquisizione risultano uguali o superiori alle
dimensioni reali del soggetto. Negli altri casi si deve
parlare di fotografia ravvicinata o close-up.
Tuttavia il termine "macrofotografia" si usa ormai
comunemente anche per denotare quelle riprese che proprio
macro non sono. E' il caso di tutte le riprese effettuate da
vicino con gli obiettivi zoom, la cui posizione "macro"
consente di scendere al di sotto della distanza minima di
messa a fuoco che sarebbe propria della focale minore,
garantendo rapporti di riproduzione anche piuttosto
interessanti.
Se ci si vuole avvicinare al fatidico rapporto di 1:1 non
resta che fare ricorso ai "veri" obiettivi macro, oppure a
tubi di prolunga e soffietti che consentono all'obiettivo di
avvicinarsi al soggetto, grazie all'aumento del tiraggio (vale a dire l'aumento della distanza tra l'obiettivo e il piano pellicola o il sensore).
Che differenza c'è tra i due sistemi?
La differenza è che, mentre un obiettivo macro è corretto
dalle aberrazioni per le brevi distanze di ripresa, un
obiettivo normale montato su soffietto o tubi non lo è, per
cui la resa sarà scadente.
E se qualcuno ancora pensa che simili disquisizioni siano
frutto di insana e inguaribile pignoleria, andiamo ad
illustrare visivamente la differenza di cui si parlava.
Pubblichiamo qui sotto tre fotografie: tre inquadrature
assolutamente identiche realizzate con una Canon Eos 5D e
tre obiettivi diversi: Canon EF
24-105mm f/4L IS USM in posizione macro, Canon EF 50mm f/1.4 USM su tubo di prolunga, Canon EF 50mm f/2.5 Compact Macro. Per la ripresa è
stato utilizzato uno stativo da riproduzione Lupo e due
lampade alogene posizionate a 45 gradi rispetto al piano di
ripresa in un locale completamente oscurato. Scatto in
modalità RAW non elaborato e convertito in JPEG senza
applicazione di filtri o maschere di contrasto. L'immagine è
stata convertita in toni di grigio mediante la funzione
Miscelatore canale di Photoshop senza applicare alcun tipo
di filtro.
Il soggetto è il particolare di una lettera del Fondo Donati
conservata presso la Biblioteca Civica Centrale di Torino.
Come possiamo osservare, dall'alto verso il basso, la prima immagine sembra "gonfia" a causa della vistosa distorsione a barilotto dello zoom e soffre di mancanza di nitidezza (sembra quasi sfocata). La seconda è già più che accettabile: il buon 50/1.4 Canon si è difeso con le unghie e coi denti, ma nulla può, alle distanze ravvicinate, contro un'ottica progettata solo per questo. Il risultato, pur essendo dignitoso, non ha la nitidezza ed il contrasto del 50/2.5 Macro, e si notano i bordi leggermente sfocati oltre ad una certa morbidezza generale. La terza foto, fatta con un vero obiettivo macro, è quanto di meglio si possa desiderare come contrasto e nitidezza, ma - ad onore degli altri due obiettivi, va ricordato che sono progettati per affrontare le più svariate situazioni di ripresa e per questo hanno la loro progettazione ha dovuto prendere in considerazione una notevole serie di compromessi.
Anche se le riproduzioni per il web mortificano le differenze, queste sono più che palesi persino nelle piccole jpeg che accompagnano l'articolo e balzano agli occhi in modo così evidente che sarebbe stato superfluo ogni commento, ma non è superflua una raccomandazione: la macrofotografia
si fa con gli strumenti giusti.
Qualunque sistema di ripresa
che non sia un obiettivo macro è da considerarsi
un palliativo e non può essere preso in considerazione non solo per
un lavoro di livello serio, ma anche per qualsiasi ripresa amatoriale per la quale si pretendano nitidezza, brillantezza e fedeltà.
Michele Vacchiano © 10/2007
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