Molto spesso ci capita di sentire molti fotografi vantarsi dei miracoli fatti per salvare luci e ombre nella stessa foto, ma è davvero indispensabile farlo?
Dopo giorni di diluvio, un bel mattino il cielo si è schiarito ed il sole è letteralmente esploso per qualche minuto. Una luce fortissima, abbagliante (forse solo per contrasto per il buio precedente), che mi ha invogliato a scattare questa foto. Lo scatto in sé non è nulla di speciale, ma mi piace proprio per la qualità della luce, e quello che si vede è esattamente quello che si mostrava all’occhio, e che la fotocamera ha riprodotto in totale automatismo. In altre parole, è quello che si vedeva sul display.
Il file RAW risultante l’ho aperto con Adobe Camera Raw e salvato in JPEG senza alcun intervento. Come si può notare, la foto è abbagliante, e con le alte luci “sparate”, per non dire bruciate. Avrei potuto correggerla, recuperando le alte luci in postproduzione? Certo che sì, e l’ho anche fatto: ma la foto è diventata un’altra foto, più banale e meno d’impatto.
Questo mi ha portato a parlarne in redazione e, con Agostino Maiello e l’amico Matteo Amantini, siamo arrivati a fare una riflessione: non è che tutti noi ci stiamo facendo prendere troppo la mano dal perfezionismo tecnico e dalla voglia di tirar fuori tutto dai RAW? Se, in linea generale, è cosa buona e giusta cercare di ottenere foto nitide, con la giusta messa a fuoco, evitando ombre chiuse e alte luci bruciate, d’altro canto non bisogna mai dimenticare che il fine ultimo della fotografia dovrebbe essere quello di ottenere immagini che emozionino, che raccontino qualcosa, che colpiscano l’attenzione dell’osservatore, e così via - il concetto è grossomodo questo, senza dilungarsi qui su un tema così articolato e complesso (su “a cosa serve la fotografia” si è scritto molto e si potrebbe discutere all’infinito).
Invece capita quasi sempre, leggendo i test pubblicati su siti e riviste, di vedere immagini “recuperate” nel senso descritto più sopra, con annesse lodi e giudizi positivi per la “potenza” del RAW converter di turno o per la “fantastica gamma dinamica” del sensore oggetto della prova. Benissimo, ci mancherebbe: è sempre meglio avere tante informazioni potendo scartare quelle indesiderate quando necessario, anziché poche; ed è altrettanto vero che la logica di un test è “vediamo fino a quanto il software o il sensore ci consentono di recuperare”, senza che vi sia un obbligo implicito di arrivare sempre fino in fondo.
Ma è anche vero che a furia di esaltare questi aspetti, c’è una ricaduta sul piano del linguaggio e dell’estetica fotografica, con conseguente aumento della tendenza a produrre immagini spesso oggetto di un forzato recupero di luci ed ombre che, a volte, sacrifica il valore del contenuto sull’altare del tecnicismo (lasciamo da parte il discorso dell’HDR, che è una tecnica di ripresa specifica, pure abusata, ma che volutamente qui trascuriamo).
Insomma, immaginiamo la classica, banale foto di un tramonto, con le ombre lunghe e nere: perché aprirle senza una reale necessità? Passi il recuperare le alte luci, per enfatizzare il tramonto, ma perché aprire le ombre, ritrovandosi con una foto irreale e priva di fascino?
Questa osservazione di ordine generale, beninteso, può essere e va precisata. Innanzitutto si potrebbe fare un discorso legato ai generi: tanto per fare due soli esempi, nelle foto paesaggistiche, in quelle dove il dettaglio non è un dettaglio, l’assenza di informazioni agli estremi della gamma tonale è quasi sempre inaccettabile; nel reportage, invece, quasi mai questo è un problema. Oppure si potrebbe tirare in ballo la sensibilità personale: c’è chi tollera molto di più le ombre chiuse che le alte luci bruciate, chi il viceversa, chi tollera entrambe… e chi non tollera né le une né le altre.
Inoltre, il discorso non è solo di alte e basse luci ma anche di punti di bianco o di nero: quante volte abbiamo letto la frase "Mancano i neri" per delle foto che devono essere grigie in quanto mostrano, per esempio, un paesaggio avvolto nella nebbia? Anche qui, al di là dell’aspetto legato ai gusti personali, ciò che conta è quello che vuole trasmettere il fotografo.
In conclusione, forse l’unica risposta sarebbe "Dipende dalla foto" perché noi stessi, in molti casi, apriamo le ombre e recuperiamo le luci, ma, appunto, dipende da quello che si vuole mostrare. Quindi, se vogliamo rappresentare il gatto in ombra sotto al tavolo, è giusto aprire le ombre, come pure - se si è esposto un paesaggio per la parte bassa della foto - va bene il recuperare le alte luci nel cielo; però alcune volte - come nella foto che ha dato vita a questo articolo - le alte luci sfondate servono a dare l'idea della violenza del sole, per cui riteniamo giusto non recuperarle. E se qualcuno ci obiettasse “Ma le luci sono senza dettaglio!”, l’unica risposta che ci sentiremmo di dare sarebbe: “Precisamente”.
Rino Giardiello © 01/2017
Hanno collaborato: Agostino Maiello e Matteo Amantini
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