SPECIALE ILLUMINAZIONE CASALINGA
Una sala di posa in casa propria

Agostino Maiello, maggio 2002

Non è il solito articolo sull'arte di arrangiarsi. In redazione arrivano tutti i giorni richieste di questo tipo e stavamo preparando una FAQ, poi ci siamo accorti che la risposta era troppo lunga per essere inserita tra le FAQ, ed abbiamo deciso di trasformarla in un articolo che magari risulterà trito e ritrito per chi sa già fotografare ma, crediamo, pieni di suggerimenti utili per chi è agli inizi.

Nadir Magazine ©

Opportunamente disposte e facendo attenzione ad evitare contrasti troppo netti, anche due modeste lampade da poche decine euro possono generare una luce sufficientemente morbida e gradevole.

Chi ha provato ad informarsi anche sommariamente sui costi di un'attrezzatura per illuminazione ad uso fotografico, probabilmente è tornato a casa con qualche brivido addosso e terrificanti prospettive in merito alle sorti del proprio conto corrente. È vero: la luce di qualità costa, costa parecchio, e non bisogna illudersi di poter mettere su un bank, un paio di punti luce di media potenza ed un paio di faretti spot spendendo poche centinaia di Euro. A meno che, naturalmente, non si abbia la fortuna di poter trovare qualcosa nel mercato dell'usato. Ma questi sono prodotti tipicamente professionali e che non soffrono di un ricambio molto rapido, perciò è difficile trovarli.

Mettiamoci dunque nei panni del fotoamatore che voglia creare una sala di posa semplice e senza pretese, ma che sia quantomeno dignitosa dal punto di vista della luce; il tutto senza avere a disposizione la Reggia di Caserta e senza voler spendere migliaia di Euro. È chiaro che per avere una valida sala di posa la luce da sola non basta: contano anche la possibilità di allestire uno sfondo gradevole, le dimensioni complessive dell'ambiente e la libertà di movimento di cui si gode. È meglio una stanzetta 3x3 che consenta di scegliere tra molti punti di ripresa, che una sala 6x6 piena zeppa di mobili ed intralci. In questo articolo, comunque, non ci occuperemo di questi ed altri problemi logistici, bensì solo di luce. Di luce "povera", economica, ma ciò nonostante utilizzabile per scattare delle buone fotografie. Del resto è inutile, per chi è alle prime armi, allestire un set complicato con una marea di punti luce, con molte ombre da controllare, differenze di luminosità da gestire, e così via. Si rischia solo di confondersi e non si impara niente. Meglio, molto meglio iniziare con poco: una sola luce, al massimo due, e dedicarsi a studiare gli schemi di illuminazione tipici. Insomma, prima di mettersi a correre, è meglio imparare a camminare.

Iniziamo dunque ad affrontare il problema nel dettaglio. La prima questione fondamentale è: bianconero o colore? Di base gli schemi di illuminazione sono gli stessi, ma il voler fotografare a colori aggiunge una serie di problemi relativi alla temperatura delle luci casalinghe. Quasi tutti i fotoamatori sanno infatti che le pellicole sono tarate per la temperatura della luce solare "media", che è di 5500 K (Kelvin, l'unità di misura della temperatura della luce). Questo è un valore medio, diciamo tipico dell'illuminazione combinata "sole+cielo"; in altri orari la luce cambia e può arrivare a 7000 e più K quando il cielo è velato, producendo la classica dominante bluastra nelle foto, o viceversa scendere sotto i 4000K, all'alba e al tramonto, conferendo alle immagini una visibile dominante rossastra. Per la cronaca, aggiungiamo che 5500K è anche il valore per cui sono tarati i flash delle fotocamere.

Il problema nasce perché le lampadine da casa, le classiche alogene, producono una luce che si aggira intorno ai 3000K, dunque vengono registrate dalla pellicola con una forte dominante rossa (quelle al neon invece risultano verdi).

Ecco le varie soluzioni:

a) Si possono acquistare sistemi di illuminazione specifici per uso fotografico: illuminatori, bank, eccetera, fabbricati apposta e quindi tarati per 5500K. In questo modo si possono utilizzare tutte le normali pellicole per luce diurna, senza dover ricorrere a filtri, e senza preoccuparsi per le dominanti. Lo svantaggio è che una soluzione del genere è molto costosa e probabilmente non è alla portata della gran parte dei fotoamatori.

b) Se invece si decide di non rinunciare alle ferie per i prossimi tre anni e si opta per qualche economica lampadina da 500 watt, bisogna affrontare il problema delle dominanti, che può essere risolto in due modi:

  • b1) Adoperando i classici filtri di conversione. Sono dei filtri di colorazione bluastra che servono per "raffreddare" la foto consentendo una registrazione fedele dei colori anche su pellicole per luce diurna. Le sigle sono 80A (per quando si hanno a dispozione lampade al quarzo, che sono a 3200K) ed 80B (per le lampade Photoflood, che sono a 3400K). In realtà le lampadine domestiche oscillano intorno ai 2800-2900K, ma è inutile preoccuparsi di queste lievi differenze; se si vuole lavorare di fino, allora si deve SEMPRE lavorare di fino, ed è inutile allestire un set alla buona senza spendere molto e poi pretendere di bilanciare il tutto con un filtro fatto su misura che compensi fino all'ultimo K. A parte tutto la temperatura delle lampadine varia col tempo, a causa dell'uso. Comunque la "famiglia" dei filtri di conversione comprende anche modelli più specifici, per esempio B+W ha in catalogo numerosi filtri di conversione per le varie temperature colore: "luce del sole all'orizzonte", "lampade Nitraphot", "lampade ad incandescenza casalinghe", e così via; quindi consultando il catalogo dei vari produttori è possibile individuare un filtro che sia più adatto alla propria specifica situazione di illuminazione. In generale, basti sapere che con un filtro 80A, scattando in interni, si ha una correzione delle dominanti rossastre più che sufficiente. L'uso di un filtro di conversione è una soluzione economica e che ha come unico inconveniente l'assorbimento di un po' di luminosità: orientativamente il fattore filtro è di un paio di stop. Con le fotocamere TTL il problema dell'esposizione non si pone, ma se la luce non è moltissima si rischia di avvicinarsi alla soglia del mosso, con tutti i problemi che ne conseguono: usare pellicola più sensibile? O un cavalletto? O una maggiore apertura del diaframma? Sono scelte che ricadono sul fotografo, l'importante è saperle gestire, tecnicamente e creativamente.
  • b2) Adoperando pellicole per luce al tungsteno. In questo caso non si usano filtri e non si perdono stop: le pellicole sono tarate per la luce artificiale (circa 3200K). Svantaggi: le pellicole al tungsteno costano di più, sono più difficili da trovare e non sono molto numerose, quindi il fotografo ha meno possibilità di scelta rispetto alla vasta gamma di pellicole comuni.
Un altro svantaggio è che una volta che si è caricata in macchina una pellicola per luce artificiale, se non si è finito il rullino e si vuole scattare in esterni si otterranno foto bluastre; bisognerà riscaldarle con un filtro apposito (tipo 85B). A questo punto, tanto vale comprare un 80A e continuare ad usare tranquillamente le pellicole canoniche. Nel caso si disponga di luce neon, la dominante sarà verdognola. In questo caso la si compensa con un filtro di conversione FLD, se si usano pellicole per luce diurna; per le pellicole al tungsteno serve invece il filtro FLB.

Nel caso del b/n, tutti questi problemi non si pongono, e ci si può concentrare di più sulla qualità della luce. Il neon, se ampiamente diffuso, è davvero una bella luce, forse la migliore per il b/n; ma ci rendiamo conto che allestire svariate centinaia di watt di luce neon può risultare complicato.

Per anni, l'illuminazione che meglio combinava costi, qualità e praticità è stata quella delle lampade Photoflood. Si tratta di ampolle al tungsteno dalla potenza variabile tra i 250 ed i 1000 watt. Queste lampade, piccole e leggere, si montavano in appositi riflettori (solitamente di alluminio), e per decenni sono state lo standard per la fotografia in esterni, finché i flash a batteria prima ed altre tecnologie poi non le hanno soppiantate quasi del tutto. Le Photoflood producono una luce di circa 3400K, quindi piuttosto calda, ma poiché si usurano con una certa rapidità, col tempo la loro temperatura scende a 3200K. Inoltre va detto che la loro vita utile è abbastanza breve, che assorbono parecchia potenza e che scaldano molto (difatti erano usate di rado per la fotografia di food...)

Successivamente si sono diffuse le lampade al quarzo: più potenti, più durevoli, più compatte; ma anche più costose. La soluzione tipica di chi non ha esigenze professionali (ed un budget ristretto) è dunque ricorrere a lampadine sufficientemente potenti, come le classiche Nitraphot da 500 o 1000 watt, o le Philips Argaphoto. Si tratta di lampadine dal classico attacco Edison, anche se piuttosto voluminose. Costano poche decine di euro e sono abbastanza potenti: con un migliaio di watt ed una 400 ASA, in una stanza non troppo grande ci si sguazza (ci riferiamo ai tempi di esposizione necessari).

Nel secondo articolo di questo speciale, di prossima pubblicazione, affronteremo nel dettaglio la gestione di un set casalingo facendo uso di queste lampadine.

Agostino Maiello © 05/2002
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