Fotografare la natura. Per alcuni è soltanto un mestiere, per altri un hobby, per altri ancora un sostituto della caccia. Conquistare l'immagine come si conquista una preda. L'immagine in luogo dell'oggetto, in base a uno spostamento semantico tipico di chi, della fotografia, non ha capito la reale valenza, la dirompente e originale capacità comunicativa.
Personalmente credo (e ho sempre insegnato e scritto) che ci sono principi che vanno al di là dell'immagine a tutti i costi (così come per l'alpinista esistono imperativi morali che trascendono la pura e semplice conquista della vetta), regole non scritte che devono far parte del bagaglio culturale di chi comunica attraverso l'immagine: soprattutto non disturbare, non interferire. In caso contrario ci trasformeremmo in volgari paparazzi della natura. Se la fotografia che stiamo per fare implica un pericolo per l'animale, se esiste il rischio di separare i cuccioli dai genitori, se solo sospettiamo che il soggetto possa essere spaventato e messo in fuga la foto non si fa, punto e basta. Piantiamola una buona volta di accostarci alla fotografia della natura con l'atteggiamento dei cacciatori, di considerare l'obiettivo nient'altro che la sublimazione del fucile ("La fotografia è l'istinto della caccia che riappare in forma nuova" dichiarò un giorno Douglas Faulkner, perdendo così un'ottima occasione per stare zitto), di "conquistare le immagini" (espressione quanto mai sintomatica) vantandoci dei lunghi appostamenti, millantando perigliosi avvicinamenti e notti all'addiaccio, con una spacconaggine tipicamente venatoria inappropriata per chi comunica attraverso le immagini e oltretutto fuori luogo, perché l'immagine si giudica (e soprattutto si vende) in base ai suoi contenuti, non in base ai rischi che il fotografo ha corso per ottenerla. Voglio vedere quale agenzia vi compra una foto tecnicamente approssimativa o insignificante soltanto perché l'avete scattata faticando!
Comunicare significa innanzitutto sapersi mettere in relazione con il soggetto, un soggetto che non va "conquistato" (chi conquista di fatto disprezza, si ritiene superiore, e per ciò stesso non si sforza di capire), ma conosciuto e interiorizzato. L'ansia del predatore a caccia di immagini non si addice al fotografo della natura, che si muove in silenzio, con rispetto, senza troppo disturbare, con la sua ingombrante presenza, i sussurri degli alberi e delle montagne, i colloqui misteriosi degli abitatori dei boschi, i riti del piccolo popolo alato che vive nascosto tra i fiori.
Lasciarsi penetrare dall'incanto della vita selvaggia, dal rimpianto per il paradiso perduto. Entrare in comunione con la bellezza. Mettersi in ascolto, con umiltà, saper aspettare, saper cogliere tra le fronde e le rocce (con gli occhi di chi cerca per conoscere, non con lo sguardo avido del predatore) i parchi e rarefatti segni della presenza animale. E infine porsi di fronte al soggetto (sia esso uno stambecco o una farfalla, una montagna o un fiore) con rispetto e gratitudine, chiedendo perdono per la nostra profanazione.
Soltanto così sarà possibile instaurare quel colloquio senza inutili parole, quello stato dell'animo affine alla meditazione che sottende alla vera creatività fotografica e che ci consentirà di comunicare ai nostri spettatori non tanto l'immagine di un animale o di un paesaggio, quanto il nostro amore per la realtà che ci circonda, la nostra visione del mondo, il nostro - personale e irripetibile - stile.
Tutto il resto è mistificazione.
Michele Vacchiano © 12/2000
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