L'articolo originale di Rino Giardiello sul foro stenopeico creativo è stato pubblicato su REFLEX di luglio 1986 nella rubrica "L'Antro di Merlino" ed è stato riveduto ed ampliato per Nadir da Michele Vacchiano nel 1998.
Questa foto non è una immagine del secolo scorso, ma l'ho realizzata appositamente per questo articolo con un foro stenopeico su reflex 35mm.
L'apparecchio a foro stenopeico è lo strumento più elementare per formare immagini fotografiche. È il diretto discendente della camera oscura usata intorno al XIX secolo dai pittori meno dotati per poter facilmente ricopiare la giusta prospettiva del soggetto. Al posto dell'obiettivo questo apparecchio ha un minuscolo foro che lascia passare la luce e forma l'immagine sulla parete opposta. Costruire oggi una fotocamera a foro stenopeico è molto facile, ma non è questa l'intenzione di Merlino, al quale interessano di più alcune caratteristiche creative delle immagini che si possono ottenere anche utilizzando la propria reflex.
Logicamente, la prima cosa da fare è quella di togliere l'obiettivo dal corpo macchina e ritagliare un disco di cartone nero, al centro del quale va fatto un foro, il più piccolo ed il più preciso possibile, in quanto le smangiature peggiorano la già scarsa qualità dell'immagine. Le minuscole dimensioni del foro determineranno una scarsissima luminosità e dei tempi di posa molto lunghi, ma, almeno, la profondità di campo sarà praticamente illimitata! Peraltro, lavorando in pieno sole, si potranno usare dei tempi più che sufficienti per operare a mano libera purché si usi una pellicola di sensibilità medio-alta.
Perché una camera a foro stenopeico oggi? Indubbiamente fare un salto nel passato quando è più che attuale la corsa agli automatismi ed agli obiettivi ad alta definizione, può sembrare un controsenso, ma proviamo a caricare la nostra reflex con una pellicola bianconero da 400 ISO, prendiamo il treppiedi ed andiamo in giro, magari nella zona più antica della città. Usando l'automatismo a priorità dei diaframmi fotografiamo di tutto, dalla chiesa alla panchina, dal lampione alla fontana. Una volta sviluppato e stampato il negativo, i risultati non mancheranno di sorprenderci e potremo così ottenere un nostro personale archivio di "autentiche" foto d'epoca, ulteriormente valorizzabili intervenendo con un viraggio seppia.
Una simpatica variante può essere quella di duplicare il negativo con l'Agfa Ortho, in modo da ottenere delle diapositive in bianconero e poi virarle. In caso di risultati negativi o non di vostro gradimento, buttate pure l'obiettivo senza pensarci due volte... non vi è costato nulla!
MEMORANDUM
Possedendo un anello di inversione è molto comodo inserirvi il cartoncino bucato e realizzare così una specie di obiettivo facilmente montabile e smontabile, magari per controllare l'inquadratura con un vero obiettivo di simile lunghezza focale.
La possibilità di ottenere delle immagini attraverso un foro molto piccolo che "catturasse" la luce e la inviasse su una superficie liscia era già stata teorizzata da Aristotele (il termine "stenopeico" è greco è significa semplicemente "molto stretto").
I pittori del Rinascimento usavano già una "camera obscura" per tracciare gli schizzi del paesaggio. Entravano nella camera (che era piuttosto grande) e tratteggiavano col carboncino l'immagine, capovolta e con i lati invertiti, che si focalizzava sulla parete opposta al foro.Ben presto furono inventate camere obscure portatili: l'immagine si focalizzava su uno specchio inclinato a 45 gradi, che la rimandava su un vetro smerigliato posto sul lato superiore della scatola: insomma, il principio della reflex. Il vantaggio del foro era che l'immagine non aveva bisogno di essere messa a fuoco e la profondità di campo era assoluta; lo svantaggio era costituito dal fatto che la qualità dell'immagine era scadente: se il foro era largo, i raggi che lo attraversavano si sovrapponevano e formavano un'immagine sfocata; se era stretto, l'immagine era più nitida ma la luminosità calava a livelli intollerabili.
Per questo, intorno al 1550, il matematico Gerolamo Cardano (quello del giunto cardanico, e se non sapete cos'è tornate a scuola guida, ché ne avete bisogno) ebbe l'idea di inserire nel foro una lente biconvessa. Il foro, più largo, assicurava così una buona luminosità, mentre la lente provvedeva a focalizzare i raggi in modo ragionevolmente leggibile. Fu l'inglese Wollaston a sostituire alla lente biconvessa un menisco convergente, migliorando la nitidezza, mentre, poco più tardi, i doppietti acromatici progettati per l'astronomia si rivelarono utili a correggere l'aberrazione cromatica (tanto lineare quanto extra-assiale).
Il problema stava nel fatto che la lente era caratterizzata da una sua lunghezza focale, e pertanto non era in grado di mantenere tutto a fuoco: per questo si dovette inventare un sistema a scorrimento che allungasse o accorciasse la camera obscura a seconda della distanza dal soggetto, per consentire alla lente di "mettere a fuoco" al punto giusto. A questo punto che cosa si era ottenuto? Un apparecchio dotato di obiettivo, capace di allungarsi o accorciarsi per effettuare la messa a fuoco, e dotato di un vetro smerigliato per la visione. Insomma, quella che noi oggi chiamiamo macchina fotografica. Se al vetro smerigliato si fosse sostituita una lastra di materiale sensibile... Fu proprio quello che fece Nièpce quando impressionò, su una lastra di peltro cosparsa di bitume di Giudea, quella che convenzionalmente viene ritenuta la prima fotografia (ma lui la chiamò "héliographie") della storia.
Oggi le camere a foro stenopeico sono più che altro una curiosità, dato che l'immagine ottenuta non gode di una qualità che possa essere considerata sufficiente. Dati i lunghi tempi di esposizione richiesti, possono essere usate per ottenere fotografie di luoghi molto affollati senza che le persone - muovendosi - rimangano impressionate sulla pellicola. Può anche essere sfruttato il drammatico impatto visivo causato dalla profondità di campo totale.
Michele Vacchiano © 02/1998
Riproduzione Riservata
A sinistra.
Spesso le "Camere Obscure" erano di così grandi dimensioni che ci poteva entrare un uomo senza problemi.
Nel XIX secolo andava più in auge questo modello "portatile" dove l'immagine formata dalla lente si rifletteva sullo specchio inclinato e poteva venire ricalcata sul piano orizzontale.
Non ricorda una famosa 6x6 monobiettivo?
A destra.
Montando il nostro "obiettivo" su un soffietto non avremo un "macro stenopeico" ma un potentissimo zoom, peccato che sia davvero poco luminoso!
Nota: tutte le foto pubblicate in questa pagina sono state realizzate da Rino Giardiello © ed accompagnavano l'articolo pubblicato su FOTOGRAFIA REFLEX di luglio 1986.