(Rilassatevi, non stiamo parlando di prestazioni erotiche). "Quanto sarebbero dieci Euro?", chiedeva spesso mia madre qualche anno fa, quando la moneta unica europea era appena entrata in circolazione. E la mia risposta, invariabilmente, era: "Dieci Euro sarebbero dieci Euro".
Ora, al di là dell'umana commiserazione che sgorga spontanea verso un'anima innocente che si ritrovi un soggetto del genere come figlio, la risposta in questione non era poi tanto peregrina. Quando si cambia unità di misura, difatti, anziché ostinarsi a ragionare in termini di equivalenze talvolta conviene azzerare la mente e calarsi brutalmente nel nuovo sistema, abituandosi a pensare nei suoi termini.
Il 24x36mm è da decenni il più diffuso formato fotografico, dunque è alle sue misure che ci si è soliti rapportare ogni qualvolta si parli di lunghezze focali. Basta leggere la scheda tecnica di una qualunque fotocamera digitale per trovare frasi del tipo "obiettivo 18-55mm, che equivale ad un 28-80mm sul formato 24x36". Il fatto è che per chi fotografa già da qualche anno viene istintivo convertire i valori del digitale nei ben noti numeri del 35mm; del resto con la ridda di sensori che c'è in circolazione - da quelli delle compattine fino ai vari 2/3", 4/3", APS-C, e così via - non ha alcun senso indicare la lunghezza focale di un obiettivo senza fornire anche il sensore cui si riferisce. In informatica si direbbe che è un dato, ma non un'informazione.
La lunghezza focale, è bene ricordarlo, è una misura fisica, nel senso che indica la distanza tra il piano su cui si forma l'immagine (pellicola o sensore che sia) ed il punto nodale posteriore dell'obiettivo. Dunque un 80mm è un 80mm punto e basta, sia che lo si monti su una digitale con sensore APS-C sia che lo si monti su un banco ottico. Però tutti sappiamo che un 80mm sull'Hasselblad inquadra una scena diversa, più larga, rispetto a quella che inquadrerebbe un 80mm su una Nikon F. Perché c'è un elemento ulteriore da tirare in gioco: l'angolo di campo.
Un obiettivo produce sul piano focale un'immagine circolare (visto che le lenti sono circolari), ma man mano che ci si allontana dal centro i punti di luce sono talmente dilatati da risultare sempre meno nitidi. Il cerchio dell'immagine prodotta si chiama cerchio (o circolo) di illuminazione, mentre quello più piccolo, interno al precedente e nel quale l'immagine soddisfa gli standard qualitativi di definizione fotografica, si chiama circolo di buona definizione. All'interno di questo secondo circolo ricade il formato della pellicola (
o del sensore), e tutto ciò spiega perché non è possibile usare un obiettivo che copre il 24x36mm su una 6x6, mentre è possibile il viceversa (almeno da un punto di vista ottico).
Tutto ciò premesso, l'angolo di campo di un obiettivo è un valore, espresso in gradi, che indica l'ampiezza della scena ripresa; varia con la focale e con il formato da coprire, ed ecco spiegato perché l'80mm dell'Hasselblad, che ha 56° di angolo di campo, inquadra di più di quello della Nikon F, che ha un angolo di campo di circa 30°.
Al di là delle formule trigonometriche che si possono utilizzare per calcolare l'angolo di campo (dividete la diagonale del formato per il doppio della focale e calcolate il doppio dell'arcotangente di questo valore: ecco l'angolo di campo), il dato essenziale è che una ripresa di, poniamo, 18°, è sempre una ripresa di 18°, punto e basta, e se il nostro cervello sapesse associare a questo valore una idea del risultato finale, sarebbe superfluo sapere che per ottenere tale ripresa ci serve un 135mm sul 24x36mm, o un 250mm sul 6x6.
Purtroppo, però, negli anni quasi nessuno ha prestato attenzione all'angolo di campo: abbiamo sempre memorizzato e ragionato tutti sulla lunghezza focale, ed oggi che i formati in circolazione sono almeno una decina siamo costretti ad aggiungere ogni volta l'equivalenza della focale sul 35mm. Se per far capire "che scena si riprende" con un dato obiettivo si fosse indicato sempre e solo l'angolo di campo, da questo punto di vista il passaggio al digitale sarebbe del tutto trasparente. Invece, appunto, bisogna sempre aggiungere "
che equivarrebbe ad un
sul 24x36mm".
Ma chi fotograficamente nasce oggi, che peso darà a questa equivalenza? E quando tra qualche anno a comprare le digicamere saranno i ragazzi nati oggi o pochissimi anni fa, che un rullino 24x36mm non sapranno nemmeno cosa sia, cosa accadrà? A questi futuri nuovi fotografi non servirà a nulla sapere che l'obiettivo della loro prima digicamera equivalga ad un X-Ymm sul 24x36mm. "E che cos'è il formato 24x36?", chiederanno (con il tono del quattordicenne che, episodio realmente accaduto di recente, rovistando in casa di chi scrive e tirando fuori un LP, dica: "E questo cos'è?", non avendone mai visto uno).
Chiudiamo con una provocazione: forse un giorno la lunghezza focale scomparirà, perché avremo tanta di quella definizione da poter tirare fuori qualunque stampa di qualità accettabile indipendentemente dall'ampiezza della scena ripresa. Le compatte avranno un grandangolare a focale fissa, e la foto si comporrà navigando sul display. Sarà così? Come diceva l'autore dell'LP summenzionato, lo scopriremo solo vivendo.
Agostino Maiello © 10/2006
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