LA DOPPIA ESPOSIZIONE IN FASE DI STAMPA
Le carte Multigrade
Romano Sansone, dicembre 2000

Le carte a gradazione variabile hanno aggiunto la doppia esposizione all'armamentario della CO. Dividendo l'esposizione in due parti, rispettivamente a contrasto alto ed a contrasto basso, si ottengono effetti non ottenibili altrimenti. Ma, come ogni altra tecnica, la doppia esposizione può essere utile, inutile, o non applicabile. In questo articolo ci proponiamo di chiarirne in maniera schematica i principi di base e di illustrarne gli effetti mediante foto espressamente scelte.

IL PRINCIPIO DELLA DOPPIA ESPOSIZIONE
Il problema fondamentale della stampa in bianconero è (1) trasformare le informazioni contenute nel negativo in una scala di grigi compresa tra il massimo bianco ed il massimo nero della carta e (2) all'interno della quale le diverse aree dell'immagine abbiano un contrasto dettato da considerazioni estetiche soggettive.

Con le carte a gradazione fissa la condizione 1 viene raggiunta scegliendo la gradazione appropriata al contrasto del negativo. Se ciò non basta a soddisfare la condizione 2, ed in particolare se si desidera aumentare il contrasto interno di alcune aree dell'immagine, si ricorre ad una carta di gradazione superiore e ad una esposizione differenziata delle diverse aree con le note tecniche di mascheratura e bruciatura.

Le carte a gradazione variabile permettono in primo luogo la regolazione della gradazione mediante l'uso dei filtri (si tratta in sostanza di una questione di comodità); in secondo luogo, la combinazione dell'esposizione differenziata per diverse aree dell'immagine con gradazioni di contrasto diverse per ciascuna delle aree così trattate. È ovvia l'estensione delle possibilità di influenzare i risultati rispetto alle carte a gradazione fissa e, per concludere, la doppia esposizione, che consiste nell'esporre tutta l'area della foto in parte con una filtrazione per basso contrasto, in parte con una per alto contrasto. L'effetto è meno ovvio di quanto potrebbe apparire a prima vista.

Osserviamo il diagramma, ed immaginiamo che la linea AB rappresenti il comportamento della carta con un filtro di gradazione 2, e che questa gradazione sia perfettamente adattata alla densità massima del negativo.

Con l'esposizione appropriata si verificherà la condizione 1, cioè tutta l'informazione contenuta nel negativo rientrerà nell'intervallo di densità della carta. Al tempo stesso ogni gradazione di grigio differirà da quella immediatamente contigua di un valore costante (pendenza costante su tutto il percorso AB).

Supponiamo ora di lavorare con il filtro 00 e di esporre tutto il foglio per le luci, cioè andiamo a produrre di nuovo il punto B. Il contrasto più basso fa sì che alla densità minima del negativo corrisponda solo un grigio di densità C. Se vogliamo ristabilire la densità dei neri non ci resta che dare una seconda esposizione con un filtro per alto contrasto, per es. il n° 5, quanto basta per aggiungere la densità CA. Se avessimo data questa esposizione da sola la retta che la rappresenta sarebbe DE, ma poiché le densità delle due esposizioni si sommano l'andamento totale della densità dopo le due esposizioni è dato dalla linea spezzata AF-FB.

La condizione 1 è soddisfatta, gli estremi di densità del negativo sono esattamente rappresentati dagli estremi di densità della carta. La seconda condizione è soddisfatta solo se si accetta che le luci ed i mezzi toni abbiano un contrasto notevolmente più basso che con la gradazione 2 (linea BF) mentre il contrasto interno delle ombre è aumentato (linea FA).

È questa la limitazione fondamentale della doppia esposizione. Essa può essere ridotta adottando una filtrazione meno estrema, per es, 1 e 4, (vedi linee tratteggiate), ma più ci si avvicina ai valori centrali dei filtri e minore è l'effetto dell'esposizione doppia rispetto a quella singola.

Questo dovrebbe bastare anche a fugare ogni possibile illusione di aumentare il contrasto interno delle luci e dei mezzi toni per mezzo della doppia esposizione. La linea spezzata non può salire al di sopra della linea AB, pena la perdita di dettaglio nelle ombre.

Una volta compreso il principio diventa facile costruire in maniera sistematica il programma di doppia esposizione determinando prima l'esposizione per le luci, e poi, cambiato il filtro, l'esposizione aggiuntiva per ottenere la densità voluta nelle ombre.

In alto: foto 1

In alto: foto 2

In alto: foto 3

TRE ESEMPI
Anche se quanto detto dovrebbe permettere a chiunque di valutare di persona l'effetto della doppia esposizione, abbiamo voluto fornire tre esempi per visualizzare le possibilità e le limitazioni di questa tecnica.

Foto 1
Il violento contrasto e la quasi totale assenza di mezzi toni rendono questa foto ideale per la doppia esposizione, senza la quale si sarebbe dovuto ricorrere ad un penoso lavoro di bruciatura delle luci.

Foto 2
Le ombre importanti sono gli scaffali appena visibili in alto a sinistra e la testa dell'uomo seduto al tavolo all'estrema destra, che per quanto piccola nell'immagine disturberebbe molto se non fosse visibile. Le luci sono i sacchi di plastica. La doppia esposizione rende molto bene questi due estremi, ma la figura dell'uomo seduto a terra, che contiene molti mezzi toni, perde nettamente di brillantezza. Ogni minimo tentativo di ravvivarla prolungando la seconda esposizione conduce inevitabilmente alla perdita di dettaglio nelle ombre più profonde. La doppia esposizione deve essere integrata da una bruciatura della figura in primo piano, o sostituita da una esposizione singola con mascheratura delle ombre. Entrambe le soluzioni portano ad un risultato soddisfacente.

Foto 3
È il caso in cui la doppia esposizione è impensabile. Il problema è nel negativo, che per un errata scelta del filtro presenta una bassissima differenza di densità tra il cielo ed i muri bianchi in pieno sole. Una esposizione a basso contrasto sarebbe del tutto insufficiente a produrre nella stampa la necessaria separazione delle luci. La sola possibilità è data dalla esposizione singola con un contrasto tale da non costringere ad una eccessiva mascheratura delle ombre, mascheratura particolarmente difficile per lo stacco netto tra il muro in ombra e la sottile lingua di muro bianco in alto a sinistra.

Romano Sansone © 12/2000
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