PILLOLE D'ARTE: JOAN MIRO'. LA TERRA
Redazione di Nadir, 2008

Torna in Italia dopo 25 anni la fantasia visionaria, onirica e poetica del catalano Joan Mirò. La celebra una grande mostra a Ferrara, a Palazzo dei Diamanti, visitabile fino a maggio 2008. Vi proponiamo una guida dettagliata alle singole sezioni, da stampare e portare con sé durante la visita.

Palazzo dei Diamanti inaugura la propria stagione espositiva 2008 con un'importante antologica dedicata a Joan Miró – la prima nel nostro paese da oltre venticinque anni – che rilegge per la prima volta la sua straordinaria parabola creativa alla luce del suo rapporto con la terra.

L'intento è quello di offrire al pubblico la rara opportunità di seguire l'evoluzione dello straordinario percorso artistico di Miró, dalla data della sua prima personale del 1918, sino alle ultime opere create nell'atelier di Palma di Maiorca, riscoprendo anche il ruolo che egli ha avuto nello sviluppo di importanti correnti artistiche del Novecento. Divenuto celebre per la sua militanza nel movimento surrealista, Miró non ne è tuttavia rimasto prigioniero. Non ha rinunciato infatti alla propria autonomia e libertà creativa, rimettendo costantemente in discussione il successo acquisito per raggiungere nuovi traguardi espressivi, fino ad anticipare l'Informale americano ed europeo.

La lettura originale proposta da questa mostra consente di mettere a fuoco, come mai prima d'ora, fonti della sua ispirazione e aspetti della sua ricerca che ne hanno fatto un punto di riferimento per intere generazioni di artisti. Tutta l'opera di Miró è segnata da un profondo attaccamento per la nativa Catalogna, per la sua gente e le sue tradizioni: egli «contemplava nello strato più profondo della sua memoria le immagini della terra e della vita contadina. Queste non cessarono mai di dimorare in lui e di alimentare la sua arte», afferma il suo biografo e confidente, il poeta Jacques Dupin. Nell'esposizione il tema viene indagato nelle sue più ampie accezioni e simbologie, presentando opere ispirate al mondo rurale e al culto delle origini, ai temi della sessualità e della fertilità, a quelli legati alla metamorfosi, all'aldilà e all'eterno susseguirsi di vita e morte. Sul piano formale, l'interesse di Miró nei confronti della terra si manifesta in un'esaltazione della materia e dei materiali che compongono l'opera d'arte, scelta che lo porta a raggiungere soluzioni formali straordinarie, prima in anticipo, poi in stretto rapporto con le ricerche dei più giovani esponenti delle poetiche del secondo dopoguerra, tanto in America (Pollock, Motherwell), quanto in Europa (Dubuffet, Tàpies, Burri). La rassegna, organizzata da Ferrara Are in collaborazione con il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid è composta di un'ottantina di opere di tecniche diverse – soprattutto dipinti, ma anche disegni, collage, assemblaggi, "costruzioni", ceramiche, terrecotte, bronzi, sculture in pietra, litografie – provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private di ogni parte del mondo.

1. Mont-roig

Il percorso inizia con le opere ispirate all'ambiente rurale di Mont-roig, località del sud della Catalogna dove la famiglia Miró possedeva un'antica fattoria, considerata dall'artista un luogo di ritiro e d'ispirazione privilegiato nel quale soggiornerà periodicamente per tutta la vita. Tra di esse un dipinto emblematico, eccezionalmente concesso in prestito per questa mostra, La contadina del 1922-23 (sopra), del Centre Pompidou di Parigi, segna il superamento del realismo della fase giovanile. Solo alcuni dettagli della scena – il gatto, il coniglio, il cesto e la figura femminile – sono descritti con un vocabolario ancora figurativo, mentre l'ambientazione domestica in cui sono inseriti è suggerita da un'equilibrata partitura di motivi geometrici. Questo connubio di elementi astratti e realisti, resi in chiave monumentale, accresce la carica enigmatica e quasi sacrale che emana dalla protagonista del dipinto: signora del ciclo della vita, la donna sovrintende, con le sue membra vigorose, al rito quotidiano del lavoro rurale, alla vita e alla morte di animali e vegetali.

2. Trasparenze animate

Con il trasferimento a Parigi all'inizio degli anni Venti, il contatto con l'avanguardia parigina e la frequentazione, tra gli altri, di Picasso, Tristan Tzara e André Breton, il tema della terra resta centrale nella ricerca di Miró, anche se il linguaggio cambia radicalmente: «La scoperta del Surrealismo ha coinciso per me con la svolta decisiva che mi ha fatto abbandonare il realismo per l'immaginario verso il 1924», scrisse in seguito ricordando quegli anni cruciali. Le nuove sollecitazioni lo spingono a dare vita ad un tipo di paesaggio rarefatto e metaforico, nel quale il mondo rurale di Mont-roig è evocato da segni fantastici che fluttuano su astratti fondi monocromi, richiamando la sostanza instabile e trasparente dei sogni. Tale processo di metamorfosi e trasfigurazione del dato naturale è testimoniato dall'accostamento di due opere capitali del 1923-24, provenienti da New York, Terra arata del Guggenheim Museum (sopra) e Paesaggio catalano (Il cacciatore) del Museum of Modern Art (sotto), che questa mostra offre la rara opportunità di ammirare assieme. La fonte d'ispirazione rurale è ancora riconoscibile in Terra arata, dove, in una magnifica gamma di toni caldi, tornano i campi con i solchi dell'aratro, gli animali da cortile e la fattoria di famiglia. Miró tuttavia li rende in maniera estremamente stilizzata, li colloca in uno spazio irreale e li accosta ad un repertorio di motivi immaginari, al punto da fargli perdere qualsiasi legame con l'esperienza reale. Nel Paesaggio catalano i riferimenti a Mont-roig subiscono un ulteriore, decisivo processo di metamorfosi: i motivi del contadino con la pipa, della lucertola con il cappello a punta e dell'occhio sono trasformati in simboli ed evocati con linee fluttuanti, figure geometriche e frammenti di scrittura, che creano un ritmo visivo, annullando l'effetto di profondità e dando vita a uno spazio che ha la trasparenza dei ricordi e delle immagini oniriche. Particolarmente legato al soggetto del contadino catalano, Miró nel 1924 lo pone al centro di un'importante serie di dipinti, di cui sono qui esposte due versioni. In quella del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, scelta come logo della mostra, la figura è sospesa su uno sfondo blu di Prussia come un'apparizione notturna; solare e diurna è invece la variante della National Gallery di Washington, disegnata su un fondo giallo chiaro che, come la luce del sole, satura ogni centimetro della composizione.

3. Paesaggi delle origini

Con le tele di grande formato realizzate a Mont-roig nell'estate del 1927, la terra ritrova la propria solidità e il paesaggio la sua composizione tradizionale. Esse costituiscono il punto d'arrivo di questa fase della ricerca di Miró che, mosso dall'anelito verso un'innocenza originaria, rievoca qui una Catalogna primordiale, dando forma ad un personale mito della genesi. In questa celebre serie, rappresentata da due tele esposte nella seconda sala della mostra, l'artista sembra trarre ispirazione dall'universo delle favole, raffigurando animali che suggeriscono un contenuto simbolico. La lepre dal manto multicolore del dipinto del Guggenheim Museum sembra inseguire, affascinata, la traiettoria a spirale di una cometa, sullo sfondo di un paesaggio bruno e arancio. Nel Paesaggio con coniglio e fiore della National Gallery of Australia di Canberra, l'effetto di immensità e di elementarità è ulteriormente amplificato. La linea dell'orizzonte delimita due campi quasi equivalenti di colore intenso e irreale: rosso lacca per la terra e azzurro per il cielo. Isolate in queste vaste campiture cromatiche, le due forme, che alludono all'animale e al fiore, non fanno che accentuare l'immensità di cielo e terra, suggerendo l'ampio respiro del mondo. Come osserva il curatore, queste tele restituiscono «un'immagine che si rivela improvvisamente, che appare agli occhi del pittore come a quelli di un bambino nella culla, in tutta la sua immediatezza, come nel giorno successivo al Diluvio».

4. Polimorfismi

Nonostante il successo raggiunto con l'esposizione parigina del 1928, Miró attraversa un periodo di crisi e di profonda riflessione sulle componenti dell'opera d'arte. L'esito, originale quanto radicale, di tale riflessione è la cosiddetta "antipittura", ossia i collages e gli assemblaggi dei primi anni Trenta, eredi delle ricerche cubiste e dadaiste, e nello stesso tempo partecipi del dibattito surrealista. In questa fase l'attrazione per l'elemento terrestre sollecita un nuovo interesse per i materiali e per le loro proprietà visive e tattili, che divengono componenti fondamentali del lessico dell'artista, lasciando in secondo piano la pittura. Nei collage, di cui Senza titolo della Galerie Jan Krugier di Ginevra è uno degli esempi più raffinati, Miró combina, con verve ironica e giocosa, materiali eterogenei e frammenti disegnati. Con quest'associazione l'artista crea un contrasto tra la realtà concreta degli elementi inseriti nel collage e quella imitata attraverso il disegno. La fantasia umoristica e inventiva dell'artista trova un'ulteriore frontiera nei Dipinti-oggetto, creazioni deliberatamente ambigue, a metà strada tra un quadro e una scultura, come l'esemplare del Pompidou. In questa fase Miró, accostando elementi trovati, realizza anche delle "costruzioni" che testimoniano la sua prima incursione nel campo della scultura. L'Oggetto del Museum of Modern Art è una struttura che prende forma grazie alla combinazione di un chiodo, una corda, un osso, una perla e dei pezzi di legno dipinti e che allude a un focolare domestico.

5. Figure plutoniche

Nei cosiddetti "dipinti selvaggi" della seconda metà degli anni Trenta, la pittura torna protagonista. Riconciliatosi con il colore e con la figurazione, Miró utilizza una tavolozza dalle tonalità violente e accese con cui dà vita a paesaggi che sembrano ispirati al mondo degli Inferi, in cui esseri misteriosi sono spesso impegnati in una sorta di danza sfrenata. In queste figure deformate è anche possibile riconoscere una spia dei timori e degli oscuri presagi nutriti dall'artista nell'imminenza della guerra civile spagnola. Quando questa esplode, nel giugno 1936, Miró si trova a Mont-roig, per uno dei consueti soggiorni nella casa di famiglia e qui realizza una serie di dipinti su masonite che preannunciano l'Informale. In queste opere, di cui sono riuniti per la prima volta cinque esemplari, l'artista aggredisce la superficie bruna del supporto con materiali grezzi, come caseina, pece, sabbia e ghiaia, dando corpo alla tragedia che ha luogo nella sua coscienza e nella realtà che lo circonda.

6. Il ritorno

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Miró lascia la Francia e fa ritorno in Spagna. Il rinnovato contatto con la propria terra stimola un'ulteriore evoluzione della sua arte. Fedele al proposito di non rimanere prigioniero di una maniera e di servirsi di tutti i mezzi necessari a «far nascere un mondo», egli si cimenta con nuove tecniche, come la ceramica e la terracotta, e riprende a sperimentare, con rinnovata audacia, l'impiego di una grande varietà di materiali, spesso estranei alla tradizione artistica. La Donna, del 1946, della Fundació Joan Miró di Barcellona, uno dei capolavori dell'artista, deve la sua linea sinuosa ed elegante a un osso che Miró ha assemblato con una macina in pietra e un filo d'acciaio. Altra opera emblematica, presentata per la prima volta in Italia, è la Composizione con corde del Van Abbemuseum di Eindhoven. Il quadro evidenzia la sovrapposizione, tipica di questi anni, di figure fantastiche dipinte con precisione, a un fondo eseguito di getto, cui, in questo caso, viene ulteriormente aggiunto l'elemento concreto delle corde annodate. Così facendo Miró dà prova di una sorprendente vitalità che lo porta a confrontarsi con i recenti sviluppi dell'arte americana ed europea, che proprio dalla sua ricerca aveva tratto insegnamento. Le opere in ceramica, realizzate in collaborazione con l'amico ceramista Josep Artigas, sono ulteriori testimonianze della versatile capacità inventiva di Miró, che nella Zucca, nel Tripode e nella Placca (1956) della collezione Maeght di Parigi, s'ispira a forme naturali e a manufatti primitivi.

7. Cicli

La mostra termina con un'ampia sezione dedicata ai lavori realizzati a partire dal 1956, dopo il trasferimento nel nuovo atelier di Palma di Maiorca. In queste opere, spesso di formato monumentale, l'artista si concentra soprattutto su temi legati alla femminilità e alla sessualità e su quelli connessi alla morte e alla trasformazione della materia. Non mancano tuttavia lavori che sono dei veri e propri inni alla vita, come la serie di litografie dedicate al Cantico delle creature di Francesco d'Assisi, conservata presso le Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara. Nelle due grandi tele della Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence, Donna e uccello del 1964, l'intensità drammatica dei volti è enfatizzata dalle colature di colore rosso e dalla brutalità delle pennellate nere; ad esse è accostata una splendida scultura che allude al tema del sacrificio, il bronzo Testa di toro del 1972, proveniente dal Museo Reina Sofía di Madrid. L'identità tra il tema della donna e quello della terra nell'opera di Miró è messa in luce dall'amico Dupin: «Emergendo dalla profondità della Catalogna e ritornando senza sosta, generata dall'intenso accoppiamento tra spirito e materia, questa donna è un'icona solitaria e multiforme. Plasmata con il fango della notte fino alla sua trasmutazione e alla sua ascensione solare». Tra le varie interpretazioni del tema presenti in mostra, si segnalano le due versioni della scultura Donna del 1968, idoli primitivi che sembrano modellati con zolle di terra, realizzati rispettivamente in ceramica, quello di collezione privata, e in bronzo, quello della Fondazione Maeght, e per la loro intensità espressiva i monumentali dipinti della Fundació Joan Miró (Donne, uccelli, 1973), del Centre Pompidou (Donna, 1978) e, infine, l'assemblaggio della Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca, Figura, eseguito dopo il 1973 in legno e lana. In questa fase estrema della carriera non cessa la ricerca incentrata sulla materia e sui materiali. È da ciò che nasce il ciclo dei Sobreteixim, assemblaggi in cui Miró impiega perlopiù tessuti tagliati, rammendati o bruciati, a cui accosta altri materiali e oggetti eterogenei, ad esempio cartoni, corteccia, corde, rete da pesca e persino una scopa. La rassegna riunisce alcuni tra i più significativi esemplari realizzati tra il 1972 e il 1973. La mostra si chiude con un capolavoro della tarda maturità esposto in rarissime occasioni, Figure e uccelli nella notte (1974) del Centre Pompidou, un immenso murale su tela dipinto con una pennellata gestuale, che evoca la palpitazione oscura della notte e la potenza misteriosa dei princìpi vitali della natura nella loro incessante trasformazione.

INFORMAZIONI PRATICHE
JOAN MIRO', La Terra
Palazzo dei Diamanti, Corso Ercole (Ferrara) - 17 febbraio/25 maggio 2008
Orario: aperto tutti i giorni, feriali e festivi, lunedì incluso, dalla domenica al giovedì dalle 9.00 alle 20.00, venerdì e sabato 9.00 alle 22.00.
Aperto anche 23 e 24 marzo (Pasqua), 25 aprile e 1 maggio
Ingresso: intero € 10.00, ridotto € 8.00, scuole € 4.00
Per informazioni e prenotazioni: Call Center Ferrara Mostre e Musei: tel. 0532.244949, fax 0532.203064, e-mail: diamanti@comune.fe.it - Web site: www.palazzodiamanti.it.

Catalogo edito da Ferrara Arte Editore, a cura di Tomàs Llorens, con testi di Tomàs Llorens e Marta Ruiz del Arbol. Mostra a cura di Tomàs Llorens, organizzata da Ferrara Arte in collaborazione con il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, il Comune di Ferrara, la Regione Emilia-Romagna, la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara e la Cassa di Risparmio di Ferrara.

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