BOWERY
Weegee's Story
Un racconto di Pierpaolo Ghisetti, giugno 2009

La sirena della macchina della polizia mandava un suono lugubre e lacerante mentre percorreva le strade di New York, dirigendosi veloce verso il Lower East Side. La macchina imboccò Canal Street, ai confini di Little Italy, superò in velocità una grossa Packard, quindi, dopo Confucius Plaza, svoltò a sinistra con uno stridio di freni, si affiancò per un istante ad una lenta e lussuosa Cadillac, che immediatamente si spostò sulla destra, per dare strada. In realtà non c’era molto traffico in quella notte d’inverno del 1939 e l’auto della polizia dopo poco si fermò a metà della Bowery, la strada-quartiere regno della povertà e dell’alcolismo. I due uomini dell’equipaggio scesero davanti ad un alto caseggiato percorso da una lunga scala antincendio che, con un percorso a zig zag, saliva per tutta la parte anteriore del fabbricato. Molta gente si era affacciata alle finestre: tutti guardavano verso il basso. Giù, sul marciapiede, vicino alla vetrina di una drogheria, c’erano alcune persone: due giacevano riverse in una larga pozza di sangue mentre una donna bionda urlava frasi sconnesse e un uomo riprendeva freddamente la scena con una grossa fotocamera Speed Graphic, dotata di flash a lampadine.
Uno dei due poliziotti, magro e con il viso scavato, scese dalla macchina ed imprecò:

- Maledizione! Dovevo immaginarmi che eri già qui Weegee! Possibile che riesci sempre a batterci?
- Ciao Bill, bella serata vero? Hai visto, è “Crazy” Joe con un suo scagnozzo! Qualcuno evidentemente non sopportava il colore delle sue cravatte!
- Ti sarei grato se rinunciassi al tuo humour tipicamente ebraico. Sono appena arrivato e tu già mi bombardi con informazioni non richieste. Non ti perdi un fatto di sangue che sia uno!
- Il crimine è la mia miniera d’oro, Bill.

A Weegee piaceva canzonare bonariamente il tenente; in realtà s’incontravano di frequente, perché nella zona tra Chinatown e Little Italy i regolamenti di conti tra bande rivali avvenivano con regolarità. Il tenente di polizia s’era ormai abituato a dividere i casi col fotografo, anzi talvolta n’era nata una proficua collaborazione. Il poliziotto osservò con fastidio misto a rassegnazione la scena del delitto: almeno per quella sera sperava di aver esaurito la sua razione quotidiana di cadaveri, ed invece quei maledetti non si fermavano mai!
Sospirando si accese una sigaretta, e, dopo aver aspirato a lungo, chiese con un cenno del capo:

- Piuttosto, chi è la donna?
- Sei tu il poliziotto Bill, o sbaglio? Io faccio solo il fotografo, non lo sai?
- Certe volte mi viene la voglia di mettere dentro anche te, così la smetti una volta per tutte!
- Bravo, bella mossa, così mi dedico a fotografare i travestiti che mettete dentro!

Mentre parlava col poliziotto, Weegee aveva estratto una lampadina da una tasca del cappotto e con un movimento esperto la inserì nella parabola del flash. Fece due passi indietro, si chinò e riprese la guardia del corpo stesa sul marciapiede. L’uomo, grosso e corpulento, era riuscito ad estrarre la rivoltella Smith & Wesson, ma non a sparare. Il cadavere aveva un grosso foro di proiettile sotto l’occhio sinistro: il sangue aveva creato un lungo rigagnolo che arrivava quasi alla pistola, un metro avanti a lui. L’arma e il sangue vicino al cadavere raccontavano in modo sintetico e crudo la storia di violenza che si era svolta sotto il caseggiato e naturalmente l’occhio esperto di Weegee era riuscito a sintetizzarla in un’unica inquadratura. Nelle sue immagini non c’era alcuna necessità d’intermediazione didascalica: Weegee era l’inviato speciale per eccellenza, il testimone imparziale della realtà quotidiana.
Nel frattempo erano arrivate altre due auto della polizia: la gente veniva tenuta a distanza mentre un uomo in blu si occupava della donna, in evidente stato di shock. Aveva assistito all’esecuzione del suo compagno e della guardia del corpo, e il suo cappotto mostrava rossi schizzi di sangue.
Weegee inserì una lastra nella grossa fotocamera, cambiò la lampadina e mentre la donna guardava terrorizzata per terra, verso i due cadaveri, alzò la macchina e contemporaneamente fece scattare l’otturatore. Il flash per un attimo illuminò di luce bianca ed abbagliante la scena, mettendo in risalto il profilo della ragazza.
Weegee la scrutò con attenzione, mentre un’ambulanza stava arrivando a sirene spiegate. Nonostante l’aria alterata e sconvolta, aveva un viso piuttosto interessante. Gli ricordava un po’ quelle ragazze che incontrava in Sinagoga, tanti anni prima, quando ancora si faceva chiamare col suo vero nome, Arthur Fellig. Ora gli avevano affibbiato il soprannome di Weegee, il fotografo dei quartieri bassi, della mala, della metropoli sotterranea. Si vantava di aver ripreso ben cinquemila cadaveri e in effetti, grazie al fatto di avere l’ufficio sotto la Centrale di Polizia, riusciva ad avere informazioni riservate su tutti i più efferati delitti che accadevano in città. Inoltre, aveva ottenuto il permesso ufficiale di installare sulla sua macchina una radio collegata con la polizia: grazie alla sua Chevy era più veloce di qualunque auto ufficiale. Forse per snobismo, rifiutava qualunque dimensione artistica: ai numerosi giornali coi quali collaborava vendeva le sue immagini per soli cinque dollari l’una. In fondo le sue immagini duravano lo spazio di un’edizione su di un giornale, e un morto faceva notizia solo per un giorno, perché subito seguito da un altro morto, un incidente, un incendio.
Fotografava per guadagnarsi da vivere, non per divertimento.
Il tenente di polizia, quello che Weegee aveva chiamato Bill, raccolse la pistola con un fazzoletto e annusò la canna per sentire se l’arma aveva sparato; un agente che sembrava un armadio si avvicinò e gli sussurrò con fare confidenziale:

- Capo, ho fatto qualche domanda in giro, sembra che nessuno abbia visto niente. Chi ha freddato Joe D’Antonio ora è diventato più potente del vecchio capo, e fa paura.
- Già, è naturale, ma la ragazza qualcosa ha visto: portala alla macchina.

Un altro lampo bianco: Weegee aveva ripreso gli agenti che caricavano sull’ambulanza “Crazy” Joe, disteso su una lettiga. Un agente, dopo un preciso cenno di Weegee, aveva sollevato il lenzuolo bianco che copriva il viso del cadavere: il giorno seguente sull’Herald Tribune tutti avrebbero potuto sincerarsi che il vecchio capo della mala era stato effettivamente eliminato.
La tecnica fotografica di Weegee era fondamentalmente semplice: immagine frontale, niente fronzoli, verità assoluta. Il bianco e nero, stampato su carta molto contrastata, contribuiva sensibilmente ad aumentare la drammaticità delle scene riprese. Poiché Weegee fotografava quasi sempre di notte o all’interno dei locali, il flash risultava indispensabile. Ne risultavano immagini fredde, spietate, di grande effetto. Inequivocabili. Talvolta brutali. Di solito preferiva utilizzare la grossa ed ingombrante Speed Graphic, perché poteva, in un secondo tempo, tagliare il fotogramma come più gli serviva, dato il grande formato di partenza. Saltuariamente usava anche una Zeiss Super Ikonta 6x9, che gli permetteva una maggiore autonomia, grazie alla pellicola in rullo, ma la Speed Graphic era insuperabile per la sincronizzazione totale del flash con tutti i tempi di posa. Il suo segreto non era legato ad una tecnica fotografica specifica, ma nell’essere sempre presente in tutti i fatti di cronaca. E in una metropoli frenetica come New York non era un merito da poco.
Era abituato a stare a contatto sia con poliziotti che con teppisti e malavitosi d’ogni genere: gli piaceva lavorare di notte, tra la gente e le situazioni impreviste. In tanti anni di professionismo non aveva mai scattato un’immagine di paesaggio: erano le persone il suo soggetto preferito e New York il palcoscenico dove riprendeva il continuo avvicendarsi della commedia e della tragedia umana. Non fotografava i fatti, ma i protagonisti e le vittime della folle vita notturna.
Si avvicinò con fare tranquillo ai due poliziotti che stavano parlando con la ragazza. Il tenente l’interrogava in modo insistente, mentre la donna era scossa dai tremiti.

- Insomma, signorina, dovete pur aver visto qualcosa!
- Stavamo camminando, io ero a braccetto con Joe e Victor, la guardia del corpo, ci seguiva a tre, quattro passi. Improvvisamente ho sentito il rumore di un potente motore d’automobile e poi i colpi, uno dopo l’altro.
- Quanti colpi? Ora il viso del tenente s’era illuminato d’interesse.
- Mah, non so, tanti, rapidissimi. Joe mi si è aggrappato al braccio e…

Il tenente s’era voltato con un’aria trionfante verso il sergente:

- Era sicuramente la banda di “Manny” Siragusano, solo loro usano i mitra ormai!

Il sergente aveva annuito, perché sapeva che, in quel momento, non era il caso di contraddire il Capo.
Mentre i due poliziotti stavano discutendo animatamente tra loro, Weegee, dopo essersi tolto di bocca l’inseparabile sigaro, aveva interpellato la donna con gentilezza:

- Cosa è successo poi? Joe è caduto, ma non era morto, vero?
- Sì, è vero, come l’avete capito?

La donna l’aveva osservato con curiosità, indecisa se classificarlo o no tra i poliziotti. Ma la grossa macchina fotografica che Weegee teneva in mano parlava chiaro. Tuttavia era un uomo cortese, vestito con un elegante abito rigato, anche se parlava con un accento strano e fumava un sigaro troppo forte.
Ho notato che volevate dire qualcosa, ma il tenente aveva troppa fretta di arrivare alle sue conclusioni. E poi che cosa è successo?
Un uomo è sceso dalla macchina, mi ha dato uno spintone e ha sparato ripetutamente alla testa di Joe. Mi ha lanciato uno sguardo sprezzante e poi è risalito in una macchina che è partita a razzo.

- Allora l’avete visto bene in faccia?

Weegee aveva parlato sottovoce, cercando di controllarsi, per non farsi notare dai poliziotti. Il tenente ora stava parlando alla radio della macchina.

- Era buio e l’uomo aveva il cappello, ma quando si è girato ho notato che aveva una grossa cicatrice sulla guancia, una cicatrice che gli entrava nel colletto della camicia. Voi avete un accento strano, di dove siete?
- Vengo da un paese che non c’è più, l’Impero Asburgico. Oggi la chiamano Austria, ma non è più la stessa cosa. Conoscete l’uomo con la cicatrice?
- No, ve lo giuro, non l’avevo mai visto!
- Per vostra fortuna, è uno che di solito non lascia testimoni.

La ragazza sbarrò gli occhi, e si pose una mano sulla bocca.

- Lo conoscete?
- E’ meglio che voi non diciate niente a quelli, le raccomandò, indicando gli uomini in divisa, sapete, la Centrale di Polizia ha dei buchi nei muri grandi così, e le notizie volano come farfalle! Mi avete capito bene?
- Ma cosa dite, volete insinuare che…
- Avete capito benissimo, se dite di aver visto quell’uomo, non arriverete a domenica prossima! Vi conviene affermare che è stato “Manny”. Ha tanti omicidi sulla coscienza che uno più, uno meno…..
- Ma voi chi siete, come fate ad essere così sicuro dell’identità dell’assassino?
- Perché conosco questa città come casa mia, anzi questa è casa mia. Non ne possiedo altre…

Il tenente si era avvicinato, incuriosito.

- Allora, cosa avete di tanto importante da raccontarvi voi due?

La ragazza guardò il poliziotto con aria perplessa, mentre Weegee, con tutta calma, mentiva al tenente. Questi lo guardò di sottecchi e lo prese da parte.

- Senti, Arthur, sono un povero poliziotto, ma non sono scemo come pensi tu: la ragazza ha visto qualcosa d’importante. E tu non le stavi facendo la corte, vero?
- Certo Bill, a te non si può nascondere nulla. Era proprio “Manny”. Avevi ragione!
- Va bene, controlleremo. Sai, quando sei tutto gentile è il momento che ti temo di più: non è che mi stai fregando?

Wegee non poté trattenere un mezzo sorriso allargando le braccia con aria innocente.

- Ma dai, Bill, come puoi pensarlo?

Mentre il sergente accompagnava la donna verso la macchina, arrivò una grossa Buick senza contrassegni. Ne scese un uomo alto e massiccio, dall’aria dura ed arrogante. Si rivolse al tenente con fare perentorio.

- Allora tenente, avete raccolto testimoni?
- Buona sera, capitano. Abbiamo quella donna. La vuole vedere?
- Sì, certo, sergente la porti qui!

La donna e il sergente si avvicinarono ai due ufficiali di polizia. Weegee seguiva la scena da pochi passi. Era curioso di vedere come avrebbe reagito la donna: sapeva che entro pochi istanti avrebbe provato un secondo shock.
La donna alzò il capo e rimase paralizzata per alcuni secondi, incredula. Il capitano di polizia la fissava tranquillo, ma con due occhi di fuoco: una lunga cicatrice gli segnava il volto sino al colletto della camicia bianca.
Quando il capitano parlò, la sua voce era un velluto.

- Avete riconosciuto qualcuno degli assassini?

La donna guardava il poliziotto con aria implorante, come se stesse per avere un collasso; non riusciva a spiccicare una parola, quasi non avesse più saliva in bocca. Dopo alcuni interminabili secondi, mosse lentamente il capo, sussurrando con un filo di voce:

- No, non ho riconosciuto nessuno.

Il capitano di polizia la fissò tranquillo, come se si aspettasse una risposta così. Con aria paterna disse:

- Va bene, potete andare, ma date il vostro indirizzo al sergente, sapete, nel caso dovessimo rintracciarvi. L’ultima parte della frase fu detta con noncuranza, ma staccando bene le parole. Il messaggio era inequivocabile.

Weegee aveva seguito attentamente tutta la scena: sapeva che il capitano era da tempo implicato nel traffico d’anfetamine e che “Crazy” Joe lo ricattava. Proprio grazie a questo, nel quartiere “Crazy” era libero di fare tutto quello che voleva. Il capitano non poteva rifiutargli nulla, almeno così era stato sino a quella sera. Era tutto molto chiaro, e tutto molto squallido. Ma era un fotografo, non un poliziotto, e non spettava certo a lui fare giustizia. Tuttavia il capitano non gli era mai piaciuto.
Ci pensò un attimo, mentre riponeva l’attrezzatura fotografica nel bagagliaio della sua Chevy, poi si decise.
In fondo qualcosa poteva fare, quella ragazza gli era simpatica.
Si avvicinò al tenente che stava dirigendo gli uomini della scientifica.

- Allora Bill, è tutto chiaro ormai, è stato sicuramente “Manny”.
- Già, così pare, hai finito con le foto?
- Sì, sì. Ormai ho ripreso tutto, ma hai notato, il capitano aveva…

Lasciò la frase in sospeso. Guardò il tenente in maniera significativa, con un sorrisetto ironico.

- Cosa vuoi dire, cosa aveva il capitano? Era come il solito.

Il poliziotto fece finta di non capire, ma con Wegee non riusciva a recitare come avrebbe voluto.

- Sì, certo, lui era come il solito, ma la sua camicia no; non hai notato quelle piccole macchie? Magari era sangue.

Il tenente ora era visibilmente alterato. Si controllò a stento. Afferrò Weegee per la manica del cappotto e lo strattonò, sibilando:

- Fai il fotografo, giusto? E allora cerca di rimanere un fotografo vivo!

Weegee si liberò dalla stretta e guardò l’amico con pena mista a derisione.

- Allora le avevi viste anche tu, quelle macchie. Sì certo, io faccio il fotografo, ma tu piuttosto: sei sicuro di fare veramente il poliziotto?

Pierpaolo Ghisetti © 06/2009
Riproduzione Riservata

WEEGEE
Nasce il 12 giugno 1899 a Zloczew, cittadina polacca allora appartenente all’Impero Asburgico, come Arthur Fellig. L’anno successivo il padre, che di professione è un rabbino, si trasferisce in America, e Arthur lo segue a New York con la madre dieci anni dopo. Per aiutare la famiglia, poverissima, si dedica a svariati lavori d’ogni tipo, sino ad approdare alla fotografia. Più tardi si definirà un "fotografo naturale". Inizia con la fotografia di studio ma presto passa alla fotografia di strada, ritraendo bambini per le vie e rivendendo ai genitori le immagini dei loro figli per prezzi irrisori: tre stampe per mezzo dollaro. Nel 1923 inizia a lavorare per l’agenzia Acme, che rifornisce d’immagini i quotidiani. Inizialmente gli viene affidato il lavoro di laboratorio ed esegue immagini solo in mancanza dei fotografi ufficiali. Nel 1935 decide di intraprendere la professione come free lance e prende il soprannome di Weegee. Affitta uno studio vicino alla Stazione di Polizia, per essere costantemente informato dei fatti di cronaca nera, e in più installa sulla sua Chevrolet una radio sintonizzata con quella degli agenti. In questo modo riesce perfino ad anticipare i poliziotti stessi. La strada e l’automobile diventano la sua casa. Nel bagagliaio tiene un apparecchio di riserva, chimici per lo sviluppo, abiti di ricambio, sigari, salami e flash. Dietro le sue foto stampa un timbro con la scritta "Eseguita dal famoso Weegee". Nel 1941 espone per la prima volta le sue foto in una mostra intitolata "Murder is my business" (l’omicidio è il mio lavoro).
Dopo dieci anni, pubblica il suo primo libro "Naked City" (Città nuda), con immagini brutali e spietate della vita notturna della grande metropoli. Nelle foto di Weegee i cittadini di New York scoprono una città esotica e diversa, lontana mille miglia dallo stereotipo cui sono abituati.
Dopo la guerra si trasferisce a Hollywood, dove lavora per gli studios come consulente per i film d’azione, partecipando in piccole parti in numerose pellicole; collabora anche con Stanley Kubrick per "Il dottor Stranamore". Pubblica altri tre libri con le sue immagini e nel 1961 la sua autobiografia.
Dotato di un innato senso della composizione, Wegee riusciva a cogliere la verità dei fatti nella loro sconcertante semplicità: le sue immagini vanno dritte al sodo, non lasciano spazio all’immaginazione, colpiscono come un pugno nello stomaco. Sembrano talvolta fotogrammi di un film, ma nessuna di esse è costruita.
Nelle sue fotografie è rappresentata una generazione di diseredati, prostitute, alcolizzati, assassini e assassinati, poliziotti, ladri e lavoratori della notte. Tutti ripresi nella loro reale dimensione, quasi con scientifica precisione.
Muore per un tumore al cervello il 26 dicembre1968.
Alla sua figura si è ispirato il film "Occhio indiscreto" del 1992 con Joe Pesci.