COSI' STANNO LE COSE
Un racconto di Pierpaolo Ghisetti su Don McCullin, luglio 2015

Cafeteria di Louisville, Arkansas, 28 Marzo 1968.

Ciao, Jim, come va?
Bene, Bessie, stamattina ho proprio fame!
Cosa ti faccio?
Un piatto d’uova strapazzate e un bel caffè nero.
Vuoi anche il ketchup?
Certo, lo sai bene quanto mi piace con le uova!
Hai visto il Times stamattina, ci sono delle foto incredibili!

L’uomo era alto e magro, il viso rugoso denunciava una sorta di tensione interiore: zoppicando leggermente prese dal banco il New York Times e si sedette ad un tavolo.
Con cura si mise gli occhiali e incominciò a leggere. C’era un lungo articolo illustrato da molte fotografie e s’intitolava “Così stanno le cose”.
L’uomo aveva iniziato da poco a sfogliare il giornale, quando entrò un altro cliente.

Salve Tom, mangi qualcosa?
Ma sì, Bessie, dammi una fetta di quella torta di mele. Allora Jim, sempre la guerra in prima pagina? Questi giornali non sanno parlare d’altro.

Tom era corpulento e massiccio, forse a causa della sua passione per i dolci: si sedette di fronte a Jim che leggeva con attenzione il Times.

Qui dice che le cose si stanno mettendo male. Che questa è una sporca guerra.
Non credo che il mio povero Mark si sarebbe consolato nel sapere che la Corea era una guerra pulita!

Bessie, da dietro il bancone, non s’era potuta trattenere dall’esprimere la propria disapprovazione.

C’è anche tuo figlio, laggiù, Jim? Dov’è esattamente?
Cosa vuoi che ne sappia, Da Nang, Col Trank, chi si ricorda quei maledetti nomi… E poi i marines hanno la mania dei segreti militari. Quando scrive a casa si guarda bene di dire dov’è esattamente.
Certo che queste foto sono veramente impressionanti. Questo tipo doveva essere veramente vicino all’azione. Dove sono state scattate?
In una città che si chiama Huè, durante l’offensiva dei Viet dei primi di febbraio.

A Hué, nel Vietnam del Sud, in quell’afosa mattina del 2 febbraio, il gruppo dei marines s’era radunato intorno all’unico ufficiale rimasto vivo. Erano tutti giovanissimi, ma ostentavano una gran sicurezza. Alcuni masticavano gomma e maneggiavano le armi con noncuranza. Accanto a loro, a pochi metri, Don McCullin osservava la scena. Era equipaggiato con due Nikon F, di cui una dotata di motore F-36. Su di una macchina era montato un 35mm, mentre sull’altra un 85mm. In questo modo poteva alternare rapidamente riprese grandangolari con altre ravvicinate.
Don aveva il dorso della schiena completamente bagnato di sudore, ma non avrebbe saputo dire se dipendeva dall’umido soffocante o dalla tensione.
L’ufficiale aveva visto troppi film western, forse.

Allora, ragazzi, avete capito bene? Charlie è in fondo alla strada. Usciamo tutti insieme sparando contemporaneamente e li facciamo secchi! Tu Williamson ti occupi del lancio dei “confetti”. Tutti pronti?

I marines annuirono, nascondendo la paura negli sguardi spavaldi e sicuri.
Don alzò lentamente la Nikon dotata di motore. All’inizio della sua carriera di fotografo professionista usava una Pentax Spotmatic. Era un’ottima macchina, ma la Nikon dotata del motore di trascinamento gli dava una marcia in più, specie in situazioni come quella che stava vivendo.

Guarda questa foto qui: sembra un atleta olimpico!

Mentre il tenente gridava “Ora!” un gigantesco marine nero si era alzato in piedi e aveva iniziato a lanciare delle bombe a mano. Don l’aveva ripreso nella plastica posa con una raffica di tre fotogrammi “sparati” in poco più di un secondo…

Qui l’articolo afferma che le nostre perdite sono diventate insostenibili. Di’, Bob, cosa vuol dire insostenibili?
Non lo so proprio Jim. Ehi Bessie, mi porteresti un bel caffè forte?

Come in una scena di un film di John Ford, il gruppo dei marines era uscito allo scoperto in mezzo alla strada, correndo e sparando all’impazzata. La risposta dei Vietcong era stata debole. Ma Don aveva già capito cosa stava per succedere e si rannicchiò il più possibile dietro il muro di quella che una volta era stata una casa. Dopo aver staccato l’obiettivo da 85mm, montò sul secondo corpo macchina il 135mm. Seguiva la regola del grande Capa, di trovarsi sempre a contatto col proprio soggetto, ma c’erano talvolta delle eccezioni, e questo era il momento del medio tele. Nel suo lavoro il trucco consisteva nello scattare il maggior numero di foto nel minor tempo possibile: solo il motore della Nikon poteva permettergli di sopravvivere e di portare a casa le immagini che voleva.

Se le nostre perdite sono gravi, lo saranno ancora di più quelle dei Viet, non credi Bob?
Sicuro, con tutto quell’arsenale di cui disponiamo! Mi passeresti la mostarda, per favore?

Appena i marines erano arrivati a circa metà della strada si era scatenato l’inferno. Da tutte le finestre di colpo apparvero lingue di fuoco e una decina di soldati stramazzarono contemporaneamente al suolo. Il rumore della sparatoria si mescolava alle grida dei feriti. In mezzo a quella confusione assordante, Don sentì di colpo distintamente un rumore di ferraglia dietro di sé. In quell’istante apparve, come sbucato dal nulla, un carro armato Sheridan: cominciò ad aprire il fuoco metodicamente contro le finestre, con proiettili perforanti. Poco lontano da Don, un ufficiale medico stava cercando di salvare un uomo: il marine agonizzava, ma non aveva abbandonato il suo fucile M-16. Don fece un passo indietro e riprese la scena col Nikkor 35mm…

Possibile che su questo giornale ci siano solo scene di nostri soldati feriti? Anche i Viet avranno bene le loro perdite, o no?
Sicuro che anche i Viet hanno le loro belle perdite, gli mancano solo i giornali dove pubblicarle!
Esclamò Bob acutamente, tagliandosi una bella fetta della torta di mele.

Ora i marines, pazzi di rabbia, rispondevano al fuoco con precisione: al primo carro Sheridan si era aggiunto un M50 Ontos che fece fuoco con tutte le sei canne da 106mm disponibili, causando un’esplosione multipla terrificante. Le finestre da dove i Viet sparavano sembravano esplodere una dopo l’altra. Davanti a Don tre marines stavano portando via un loro compagno ferito: aveva i capelli biondo cenere e si lamentava sommessamente. Gli passarono davanti senza degnarlo di uno sguardo: gli stivaletti del ferito urtarono Don mentre questi scattava a raffica col grandangolo.

Insomma secondo questi sapientoni di giornalisti la nostra non sarebbe la guerra giusta. E chi sono questi per giudicare? Il Presidente e lo Stato Maggiore sapranno bene cosa fare!
Certo Jim che quando eravamo in Germania c’erano meno problemi: i “crucchi” avevano sicuramente torto e noi sicuramente ragione!
Hai ragione Bob, in un certo senso era tutto più facile, anche se un ricordo dei “crucchi” lo porto ancora nella gamba. Però guarda questa foto: chissà se questo ragazzo se l’è cavata?

Ora si sentivano solo degli spari isolati: i marines stavano rastrellando le case e finivano a colpi di fucile tutti i Viet che trovavano. Non c’era nessuna pietà per chi era rimasto ferito. Sul cassone di un carro, un medico stava effettuando una trasfusione ad un marine che giaceva riverso tra la vita e la morte. La testa del ragazzo ciondolava inerte, mentre gli occhi gli si stavano irrimediabilmente chiudendo. Il dottore portava le fiale di sangue sull’elmetto, trattenute con un elastico, per poterle trovare più in fretta. Dalla tasca Don trasse il 28mm, la focale più corta che usava abitualmente, con un gesto veloce e sicuro l’inserì nel bocchettone della F, e, quasi a contatto con la testa del ferito, senza mettere a fuoco, scattò un paio di fotogrammi.

Una sorta di follia, dice il giornale, si è impadronita delle nostre Forze Armate.
Sfido io, a stare in un posto simile…….Ma, insomma, chi ha scattato queste foto?
Un reporter inglese, un certo Don McCullin, lo conosci?
Sai bene Jim che ormai leggo solo la Gazzetta degli Agricoltori, non sopporto più questo sputare continuo sui nostri ragazzi. Senti, Bessie, potrei avere anche una fetta di quella torta al formaggio?

Un cappellano militare stava portando in salvo una povera vecchia: era minuscola e rinsecchita, e l’uomo la portava di peso, tenendola su per le ascelle. La popolazione di Huè si era trovata nel centro dello scontro tra le due armate nemiche, e ne aveva subito le conseguenze
Don scelse un’inquadratura verticale, regolò il 35mm sulla distanza di due metri, aspettando che la coppia gli passasse davanti. Mentre scattava notò che la vecchia portava solo due miseri calzini, e non aveva scarpe.

Allora, hai finito di leggere?
Senti qui: “Il Vietnam ha messo fine alla moda della guerra”, come se la guerra fosse una sfilata!
Certo dopo aver visto queste immagini, saranno in pochi a correre ad arruolarsi.
Hai visto la foto che chiude il servizio?

Mentre Don si aggirava per le rovine di Hué, vide per terra il cadavere di un Vietcong: un muro gli era crollato addosso e non aveva più la testa. Sparsi vicino a lui c’erano i suoi documenti. Rappresentava l’icona stessa della guerra, senza un volto e una storia, ma le carte intorno a lui affermavano il contrario: sino al giorno precedente anche lui aveva avuto una famiglia, era stato un contadino ed era nato in qualche sperduto villaggio, in mezzo ad una risaia. Don lo mise a fuoco accuratamente col 50mm, sovresponendo leggermente per far risaltare i dettagli.

Eccoli qui i nostri nemici: non riesci neanche a vederli in faccia!
Insomma, Jim, è un’ora che stai leggendo. Hai capito allora come stanno le cose?
Sicuro Bob, sicuro. Adesso un’idea me la sono fatta.

Jim si alzò, appoggiò il Times al tavolo, saldò il conto a Bessie. Si avviò lentamente verso la porta, trascinando la gamba ferita.

Allora Jim, come vanno veramente le cose? – insistette Bob dal tavolo, in tono vagamente canzonatorio, con la bocca mezza piena della torta al formaggio.
Male, Bob, le cose vanno veramente male! Peggio di così non potrebbero andare: in ognuna di quelle foto, ho riconosciuto mio figlio!

Pierpaolo Ghisetti © 07/2015
Riproduzione Riservata

Don McCullin. Qualche nota biografica.

Nato nel 1935 a Londra, vivente. Acquista la sua prima macchina fotografica, una Rolleicord, nel 1958. L’anno successivo pubblica sull’Observer il suo primo servizio fotografico. Nel 1961 vince il premio della stampa con un servizio sul muro di Berlino, mentre nel 1964 vince diversi premi per i suoi servizi sulla sanguinosa guerra che si svolge nell’isola di Cipro, divisa tra greci e turchi. Nel 1966 inizia a lavorare per il Sunday Times, con cui collaborerà per diciotto anni, e diviene rapidamente famoso per i suoi reportage dal Vietnam, in particolare quelli realizzati durante l’offensiva del Tet, nel febbraio del 1968.
Il 28 marzo 1969 il Sunday Times pubblica il famoso articolo intitolato ‘Così stanno le cose’, contenente dodici sue fotografie, che trascinano direttamente in prima linea il pubblico occidentale.
Nel 1970 viene ferito in Cambogia da un colpo di mortaio.
Successivamente è stato in Biafra, durante la guerra civile che vede gli Ibo ribellarsi al governo centrale della Nigeria.
Nel 1971 pubblica il suo primo libro, The Distruction Business.
Nel 1979 vengono pubblicati diversi libri che contengono le sue foto scattate in Medio Oriente, e in particolare a Beirut.
Nel 1980 al Victoria and Albert Museum viene presentata la sua retrospettiva.

Con le foto di McCullin, spesso stampate ‘troppo scure’, la guerra si presenta come un incubo, a contatto ravvicinato con i protagonisti, direttamente dentro l’azione, grazie anche ad una forza compositiva che non può lasciare indifferenti.