TAMRON SP AF 180mm F/3.5 Di LD (IF) 1:1 MACRO
Prova sul campo
Michele Vacchiano, febbraio 2009

Le recenti conquiste della tecnologia ottica applicata agli strumenti di ripresa ci hanno abituati alle sigle lunghe e sibilline, ma questa le batte tutte, o quasi. Quindi, prima di parlare dell'obiettivo in sé, è necessario "tradurre" in linguaggio comprensibile la denominazione decisamente criptica dell'oggetto.

L'obiettivo è un Tamron, e fin lì lo hanno capito tutti. La casa giapponese è nota da lungo tempo ai fotografi, essendo una delle più antiche manifatture di obiettivi universali. Fondata da Takeyuki Arai, la società deve il suo nome a Uhyoue Tamura, insigne ingegnere ottico che pose le basi del know-how tecnologico dell'azienda. Tra il 1950 e il 1960 Tamron brevetta il sistema T-Mount, mentre negli anni Sessanta vedono la luce i primi zoom. Nel 1969 viene brevettato il nuovo attacco Adapt-A-Matic, seguito, nel 1973, dal sistema Adaptall. I fotografi della mia età ricordano bene come funzionava: si acquistava l'obiettivo, uguale per tutte le marche di reflex, e poi un anello che si adattava ad ogni tipo di attacco trasmettendo gli automatismi. In questo modo chi utilizzava reflex di marche diverse (o chi abbandonava una marca per rivolgersi ad un'altra) non doveva cambiare il corredo di ottiche, ma soltanto gli anelli adattatori. Nel 1979 vede la luce il sistema Adaptall-2, poi SP (super performance) Adaptall-2. Negli anni Ottanta Tamron è uno dei più noti ed apprezzati fabbricanti di ottiche universali. Ancora degli anni Ottanta è il brevetto che consente di applicare una sottile superficie asferica su una normale lente sferica, abbattendo drasticamente i costi di fabbricazione (le lenti asferiche interamente in vetro ottico richiedevano una costosa lavorazione manuale). Un'altra conquista fu la realizzazione del primo zoom autofocus dedicato alle reflex a fuoco manuale. Una serie di successi che portarono Tamron ad ottenere (primo tra i fabbricanti di ottiche universali) la certificazione ISO 14001, oltre a numerosi riconoscimenti internazionali.

Pannocchie. L'immagine in alto è quella reale, ridotta per il web; l'immagine in basso è un crop di 300 pixel di lato dell'immagine originale visualizzata a pixel reali. Camera: Canon Eos-1Ds Mark II. Flash Canon Speedlite 580EX. Messa a fuoco manuale.

Campanule. L'immagine in alto è quella reale, ridotta per il web; l'immagine in basso è un crop di 300 pixel di lato dell'immagine originale visualizzata a pixel reali. Camera: Canon Eos-1Ds Mark II. Flash Sunpak Auto DX 12-R. Messa a fuoco manuale.

La sigla SP significa, come già detto, "super performance". Di per sé l'espressione non dice nulla. Che l'obiettivo abbia delle prestazioni super lo dicono loro, ed è un po' come chiedere all'acquaiolo se l'acqua è fresca. Andiamo avanti.

AF significa "autofocus". L'obiettivo consente la messa a fuoco dall'infinito al rapporto di 1:1. Chi pretendesse di passare da una ripresa all'infinito a una ripresa macro in autofocus dovrà accettare una certa lentezza nell'accomodamento delle lenti. La tecnica migliore consiste nell'effettuare una grossolana messa a fuoco manuale, per poi passare all'autofocus che provvederà alla messa a fuoco fine. La trasformazione è peraltro molto semplice: basta far scattare in avanti (se si vuole l'autofocus) o all'indietro (se si desidera impostare la messa a fuoco manuale) la grossa ghiera gommata. Quando l'obiettivo è impostato sull'autofocus la ghiera ruota liberamente e non consente correzioni manuali della messa a fuoco.

La focale di 180 millimetri può sembrare inusuale per un obiettivo macro. Anche se non mancano illustri omologhi, solitamente il macrofotografo si rivolge a obiettivi di focale non troppo superiore alla normale, arrivando ai 100 millimetri circa quando vuole mantenere una ragionevole distanza tra obiettivo e soggetto. Ma il vantaggio di poter fotografare una farfalla a quasi mezzo metro di distanza (e quindi senza spaventarla) è a dir poco impagabile. Senza contare il maggiore spazio per disporre le luci. In particolare, si sa che quando si fotografa da vicino diventa impossibile utilizzare un flash montato direttamente sulla slitta a contatto caldo, o il piccolo lampeggiatore incorporato nelle reflex amatoriali: la ridotta distanza di ripresa fa sì che l'obiettivo faccia ombra al soggetto, oscurando di fatto la parte inferiore dell'inquadratura. Con una distanza di ripresa di 470 millimetri dal punto nodale è possibile utilizzare il flash incorporato nella reflex o un flash esterno montato sulla macchina senza rischiare (ovviamente a seconda del soggetto) cadute di luce nella metà inferiore dell'immagine, come si può constatare in alcuni degli esempi illustrati in fondo a questo articolo.

La lunga focale può invece costituire un problema quando si utilizzano flash di scarsa potenza. Una distanza di ripresa relativamente elevata può rendere inefficaci i piccoli lampeggiatori, in particolare alcuni flash anulari che - progettati per lavorare molto vicini al soggetto - solitamente sono caratterizzati da un numero-guida piuttosto basso. Questo costringerebbe ad aprire il diaframma, con tutto svantaggio per la profondità di campo. Ne consegue che usando obiettivi macro di focale elevata è conveniente controllare che la potenza del (o dei) flash sia sufficiente a coprire la maggiore distanza di ripresa connessa con la focale mantenendo il diaframma ai valori più chiusi.

L'apertura relativa massima (f/3,5) è giusta per un macro di questa focale. Un'apertura più spinta avrebbe implicato un maggior diametro delle lenti (con conseguente maggiore difficoltà nel tenere a bada le aberrazioni) e ovviamente costi maggiori. Del resto gli obiettivi macro si utilizzano a valori di diaframma medio-alti, per sfruttare al massimo la profondità di campo che alle brevi distanze è sempre critica.

La sigla Di significa "digitally integrated". Indica che l'obiettivo è ottimizzato per l'uso con i sensori digitali.

LD indica l'uso di vetri a bassa dispersione. Per capire di che cosa si tratta dobbiamo rifarci a un basilare concetto della fisica ottica. La dispersione fa sì che un singolo raggio di luce si separi nelle sue componenti spettrali, ognuna delle quali caratterizzata da una sua lunghezza d'onda. L'esempio classico è costituito dal prisma, che genera fasci di luce colorati se colpito da un raggio di luce bianca. La lente, per la sua stessa struttura, si comporta come una serie infinita di prismi e di conseguenza tende a scomporre la luce bianca nelle sue componenti primarie. Questa dispersione è strettamente connessa con l'indice di rifrazione della singola onda, il quale a sua volta è connesso con la lunghezza d'onda e con il mezzo che l'onda attraversa. Ne consegue che quanto più è elevato l'indice di rifrazione, tanto più cresce l'indice di dispersione, rappresentato in fisica dal "numero di Abbe". Quando si utilizza un vetro ottico pesante (come i vetri flint) per aumentare l'indice di rifrazione, il numero di Abbe cresce e le aberrazioni derivanti dalla dispersione della luce (come l'aberrazione cromatica laterale) aumentano. I vetri LD permettono di "sganciare" l'indice di rifrazione (che viene mantenuto alto) dall'indice di dispersione (che viene mantenuto basso), per evitare (o almeno limitare) l'insorgere delle aberrazioni cromatiche.

IF (chissà perché tra parentesi) indica che la messa a fuoco avviene mediante lo spostamento interno di alcuni gruppi ottici e non richiede l'allontanamento del gruppo frontale con conseguente estensione fisica dell'obiettivo. Questo è particolarmente vantaggioso negli obiettivi macro, data la loro lunga escursione focale, e contribuisce a mantenere ben bilanciato il sistema camera-obiettivo-lampeggiatori.

L'obiettivo è anche dotato di un'utile funzione chiamata FEC (filter effect control). Si tratta di un sistema che permette di ruotare il filtro polarizzatore (o altri filtri che richiedono rotazione) anche quando il lungo paraluce è montato.

Queste le caratteristiche tecniche:
Schema ottico: 14 lenti in 11 gruppi (due elementi a bassa dispersione)
Angolo di campo: 14°
Lamelle del diaframma: 7
Minima distanza di messa a fuoco: 47cm
Massimo rapporto di riproduzione senza aggiuntivi: 1:1
Diametro filtri: 72mm
Peso: 920g
Lunghezza: 165,7mm
Accessori in dotazione: paraluce a baionetta (in plastica) e borsa con tracolla
Innesti disponibili: Canon, Nikon, Sony/Minolta

Ecco qui di seguito un disegno dell'obiettivo con spiegazione delle sue parti.

1. Paraluce; 2. Tacca di allineamento per il montaggio del paraluce; 3. Anello con innesto a baionetta per il paraluce; 4. Anello per il controllo della rotazione del filtro (funzione FEC); 5. Ghiera di messa a fuoco; 6. Finestra della scala delle distanze; 7. Scala delle distanze. 8. Indice delle distanze; 9. Scala delle profondità di campo; 10.Attacco per il cavalletto; 11. Vite di blocco dell'attacco al cavalletto.

L'obiettivo ha un comodo attacco per cavalletto fissato a una ghiera girevole. Una manopola gommata di generose dimensioni permette di sbloccare la ghiera per consentire il passaggio dalle inquadrature orizzontali a quelle verticali e viceversa. Per l'uso a mano libera l'intera ghiera è rimovibile (v. figura qui sotto).

Per poter valutare - inizialmente in linea teorica - il parametro più importante, e cioè la resa qualitativa, abbiamo consultato il sito tedesco Photozone (www.photozone.de), che riporta (in inglese) analisi e test MTF di un impressionante numero di obiettivi. Consultando pazientemente il sito abbiamo confrontato le prestazioni di numerosi obiettivi macro 1:1, tanto originali quanto universali. Ovviamente non è possibile pretendere di individuare "il" migliore in assoluto, dato il numero estremamente elevato dei parametri valutativi. Di fatto non esiste un obiettivo che possa essere definito "migliore" se non in base a criteri di scelta predeterminati e possibilmente restrittivi. In parole semplici, prima di stabilire quale sia l'obiettivo "migliore" dobbiamo chiederci "migliore per fare che cosa"?

A f/11 bordo (a sinistra) e centro (a destra). Crop di 300x300 pixel di un'inquadratura 1:1. Camera: Canon Eos-5D. Illuminazione naturale. Fuoco manuale.

Nel caso di un obiettivo macro 1:1 dobbiamo chiederci preliminarmente che cosa intendiamo farci: caccia fotografica vagante? Still-life in studio? Riproduzione di documenti? Solo in base alla risposta che ci daremo potremo stabilire quale sia lo strumento di lavoro più adatto, tenendo conto che ogni obiettivo è sempre, senza eccezioni, una soluzione di compromesso tra innumerevoli esigenze, non ultimo il rapporto prezzo-prestazioni.

Nella scelta abbiamo ipotizzato l'esigenza di utilizzare l'obiettivo prevalentemente per la caccia fotografica vagante, direttamente applicato alla fotocamera (e non montato su accessori per il prolungamento del tiraggio). Le caratteristiche costruttive dell'obiettivo, la sua lunghezza focale, la rapidità di conversione da messa a fuoco manuale a messa a fuoco automatica suggeriscono che il fabbricante abbia privilegiato, in fase di progettazione, un utilizzo di questo tipo. Una simile situazione di ripresa richiede prestazioni elevate soprattutto ai diaframmi più chiusi, cioè quelli maggiormente usati sul campo allo scopo non soltanto di incrementare il più possibile la profondità di campo, ma anche di correggere (grazie all'aumentata profondità focale) piccole imprecisioni nella messa a fuoco. Resta sottinteso che in casi del genere l'uso di uno o - meglio - più lampeggiatori appare irrinunciabile.

Ebbene, dal confronto appare chiaramente come l'obiettivo in esame presenti un elevato rendimento proprio ai diaframmi più chiusi; un rendimento di fatto superiore a quello di molti concorrenti, compresi alcuni obiettivi originali. Questa caratteristica, unita a un grado di distorsione del tutto trascurabile, a una vignettatura estremamente contenuta già a tutta apertura, a un'aberrazione cromatica molto ben controllata tra f/5,6 e f/22, fa del Tamron 180mm macro uno strumento ideale per il tipo di applicazione che abbiamo ipotizzato.

Non resta quindi che verificarne anche in pratica le prestazioni. Per iniziare dalle cose semplici abbiamo fotografato soggetti abbastanza "tranquilli". L'obiettivo si è comportato bene e le immagini sono gradevoli, anche grazie alle dovute cure in postproduzione.

Granito rosa dal massiccio della Bavella (Corsica). Camera: Canon Eos-1Ds Mark II. Flash Canon Speedlite 580EX. Autofocus.

Roccia quarzifera dal massiccio del Monte Rosa. L'immagine a sinistra è l'inquadratura 1:1, l'immagine a destra è un ritaglio (crop) di 300x300 pixel dall'immagine originale visualizzata a pixel reali. Camera: Canon Eos-1Ds Mark II. Flash Canon Speedlite 580EX. Autofocus.

Mappa meteorologica. Inquadratura totale a f/11.

Come si vede ai bordi l'immagine soffre di una leggera perdita di nitidezza, del tutto fisiologica peraltro, mentre al centro la situazione sembra migliorare. Ovviamente la riduzione per il web minimizza le differenze.
Dalle prove effettuate ci sembra comunque che questo obiettivo possa dirsi decisamente riuscito e raccomandabile soprattutto ai fotografi che cercano uno strumento di lavoro preciso e performante da utilizzare direttamente sul campo.

Michele Vacchiano © 02/2009
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