"Preferisco il bianco e nero perché negli anni Cinquanta, quando ho cominciato, il colore era una costosa curiosità".
Piergiorgio Branzi
Ti senti mancare l'aria, all'inizio. Rimani male quando apri il raw e scopri quell'immagine pallida, incolore, esangue come un bimbo nato malaticcio, carente di qualche vitamina.
Tra i moderni sistemi digitali, la caratteristica di produrre un file esclusivamente bianconero è prerogativa di pochi eletti: il modulo medio formato IQ2 Achromatic della Phase One, per esempio, e, naturalmente, la Leica Monochrom, nelle due versioni con sensore CCD e CMOS. Come l'orologio sul polsino dell'Avvocato, l'aristocrazia consente soluzioni che per i comuni mortali sarebbero considerate assurde bizzarrie e guardate con sufficienza, se non con disprezzo.
Di fatto, con la sua MM, Leica ha realizzato un prodotto capace di riportare l'azienda al centro della scena per inventiva, spregiudicatezza, capacità di sorprendere e sovvertire prassi consolidate. In una parola, ha ripreso a fare rivoluzioni: la rivoluzione della restaurazione, in questo caso, col ritorno al tradizionale modo d'uso della pellicola in bianconero.
L'ossimoro descrive bene l'ambivalenza con la quale gli appassionati del marchio, e non solo, hanno affrontato la questione. Da una parte una profonda diffidenza, sostenuta da solide motivazioni razionali, di chi trova illogico rinunciare alla possibilità di scegliere tra il colore e il bn valutando la questione anche a posteriori, con calma, sul monitor di casa. Non solo, ma anche di operare conversioni perfettamente calibrate, attraverso l'utilizzo di filtri elettronici in grado di ottimizzare la gamma dei grigi, sfruttando la fusione di diversi livelli per esaltare ogni sfumatura. Operazione che adesso invece va tutta pensata a priori, con l'utilizzo di filtri colorati montati sull'obiettivo al momento dello scatto. Dall'altra, innegabile, il fascino per questo apparecchio così basico, essenziale, estremo. Un'attrazione - con invidia connessa - spesso tradita dai giudizi sferzanti sui "soliti leicisti", ricchi, viziati e modaioli, pronti a sperperare patrimoni per rincorrere l'ultima trovata della Real Casa. Anche quando sembri ispirata da fachirismo o da puro masochismo.
Inutile dire che c'è del vero in questi giudizi; la ragione tiene insieme a fatica le motivazioni di una scelta così radicale. D'altronde, quasi mai la passione, nelle sue forme più pure – o più morbose –, si accorda al raziocinio, ed è un fatto che la fotografia, almeno quella fotoamatoriale, abbia a che spartire ben più con la passione che col calcolo. La ragione dovrà quindi inevitabilmente fare un passo indietro. Anche perché credo che sbaglieremmo a liquidare il tutto come frutto esclusivo di un abbaglio feticistico, abilmente indotto dal marketing. Come dicevamo all'inizio, non è così semplice, per il fotografo, adattarsi alle dinamiche di questo apparecchio.
Dopo aver disimballato il gioiellino e operato il primo settaggio, al piacere di ritrovare le fogge classiche e rassicuranti di sempre subentra una sensazione strana, che definirei di sospetto, unita ad un senso di frustrazione: non è del tutto pacifico accettare che l'oggetto che abbiamo in mano, costato un tot di stipendi, si conceda la licenza di privarci dell'opzione del colore. Anche se è ciò per cui l'abbiamo acquistato.
L'operazione mentale non è nuova, il "monochromista" doc ha sempre previsualizzato in bn, anche in digitale, ma fin qui si trattava di una libera scelta – e il raw garantiva comunque una rete di salvataggio -; da ora in avanti, invece, egli sa che se pure si presentasse ai suoi occhi una parata del Cirque du Soleil, un volo di mongolfiere caucasiche, una visita ai maglifici Missoni o il più struggente dei tramonti, non avrebbe altro che il bianconero per raccontarli.
Come si sa, i limiti sono il sale dell'intelligenza: ridurre il proprio campo di possibilità sollecita processi di ristrutturazione cognitiva, esaltando l'originalità e la piena soggettività. Così, dopo i primi momenti in cui ci si sente spaesati (non sono pochi quelli che riportano la fotocamera in negozio dopo poche centinaia di scatti), una volta accettata la sfida, subentra un'inattesa sensazione di libertà. Si realizza di essere sgravati dall'incombenza del colore, dalla necessità di valutarne e dominarne gli effetti, e ci si concentra esclusivamente sul bianconero, sulla distribuzione delle luci e delle masse, esattamente come avveniva al tempo della pellicola. I colori esistono, sappiamo che ci sono – a meno di impreviste derive deliranti –, ma semplicemente non ci interessano, non li vediamo, non interferiscono coi nostri processi compositivi, né consentono retropensieri sulla eventualità di mantenere quella foto non convertita. Altra immagine semplicemente non c'è, se non monocromatica. Un sollievo.
Ciò presuppone naturalmente un'idea di fondo, la consapevolezza cioè che non abbiamo l'imperativo di prendere tutte le fotografie possibili nello spazio-tempo. E anche questo, a mio avviso, facilita la possibilità di esprimersi all'interno di un registro più definito o, se preferite, di uno stile. Mettere dei paletti esalta la capacità di seguire un'ispirazione e di rimanervi coerenti, senza altre distrazioni. Qualcosa di simile si verifica quando ci muoviamo con una sola ottica fissa: l'ansia iniziale di non essere pronti a cogliere la totalità delle immagini si traduce nel piacere di realizzare in modo cosciente e mirato il significato più vero dell'atto fotografico: vedere la realtà solo attraverso i propri occhi, plasmare il percetto secondo la disposizione emotiva del momento e i propri canoni stilistici di riferimento.
E tuttavia, utilizzando una fotocamera raffinata e singolare come la MM, il rischio è di lasciarsi condizionare e assumere istintivamente l'obbligo di dovervi trarre sempre qualcosa di straordinario, superlativo, col risultato di trovarsi sempre un po' sopra le righe, sia al momento dello scatto che in quello della post produzione (molte delle immagini che si trovano in rete sono pesanti, plumbee, sovraccariche all'inverosimile). La cosa più saggia, a mio avviso, è di snobbarla un po' questa macchina, trattarla come una vecchia buona fotocamera caricata a bianco e nero, senza lasciarsi trascinare dal peso della sua lussuosa anomalia. Cartier Bresson diceva: "C'est par une économie de moyens que l'on arrive à la simplicité d'expression". Nel caso della MM non si tratta di "economia" in senso stretto (d'altronde, nemmeno ai tempi di HCB le Leica le regalavano), ma piuttosto di frugalità, sobrietà, essenzialità. In questo, la Leica Monochrom non è seconda a nessuna.
In attesa del prossimo modello privo di otturatore, naturalmente…
Carlo Riggi © 12/2015
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Schermata del programma di conversione: il file è inesorabilmente in scala di grigi
Si ringraziano Massimo Della Valle e Valerio Falzetti per le foto che accompagnano questo articolo.