FUJI X-M1 PROVA SUL CAMPO
Agostino Maiello, ottobre 2014

La M1 montata su cavalletto e con il 16-50.

Nel Gennaio del 2012, dopo diversi anni di assenza dal mercato delle fotocamere ad obiettivo intercambiabile, Fuji ha lanciato il suo sistema X. Costruito intorno ad un nuovo innesto (X-mount) ed all’utilizzo di sensori di formato APS-C, ha fino ad oggi visto l’uscita di sei modelli: alla X-Pro1 iniziale, seguita dalla più economica X-E1, hanno fatto seguito tre modelli nel 2013 (le due entry-level X-M1 ed X-A1, nonché la X-E2), fino ad arrivare alla X-T1 presentata all’inizio di quest’anno.

Attorno a queste fotocamere è stato costruito nel tempo un corredo di obiettivi, molto apprezzati sia per la qualità costruttiva che per quella ottica; i fissi coprono le focali dai 14mm al 60mm, mentre in ambito zoom sono coperte le gamme di focali tipiche, con zoom grandangolari (10-24), normali (16-50, 18-55 o 16-55), o tele (50-230, 55-200 e 50-140), senza dimenticare un versatile 18-135mm.

Si tratta di fotocamere mirrorless che, sia in termini di estetica che di esperienza d’uso, cercano di rifarsi il più possibile ai dettami della fotografia classica, strizzando l’occhio al look un po’ retro, come se si trattasse di fotocamere a pellicola. In questo, per intenderci, il sistema Fuji si colloca agli antipodi del corredo Sony con innesto E (quelle che una volta si chiamavano NEX, in altre parole). La X-M1 oggetto di questa prova non fa eccezione, mescolando in maniera gradevole un aspetto classico alle moderne necessità di una fotocamera digitale. Inoltre: quasi tutti i sensori digitali in circolazione sono detti “di tipo Bayer” perché presuppongono la presenza di un filtro detto appunto “Bayer” (esistono poi i sensori Foveon portati avanti da Sigma); ma Fuji ha sviluppato una tecnologia alternativa, che si chiama X-Trans, e tutte le fotocamere Fuji del sistema X, tranne la X-A1, montano sensori X-Trans.

La X-M1 e la X-A1 sono in sostanza identiche, con appunto l’unica differenza del sensore X-Trans (nella A1 c’è invece un sensore “Bayer”, tradizionale) e del processore d’immagine (che è di prima generazione nella A1, e di seconda generazione nella M1); questo spiega perché la A1 è leggermente più economica. Al momento in cui scriviamo, una veloce ricerca online ci dà la X-M1 come reperibile intorno ai 350 Euro solo corpo, e poco sopra i 400 Euro se abbinata allo zoom di serie 16-50 f/3.5-5.6. Naturalmente è bene essere consapevoli che si tratta di una macchina presentata nell’estate del 2013 e quindi è presumibile che verrà rimpiazzata a breve; il che vuol dire, per tutti quelli che non corrono dietro sempre all’ultima novità, che oggi potrebbe essere un ottimo acquisto, ai prezzi attuali, se si sta cercando qualcosa del genere.

Grazie alle ridotte dimensioni, è spesso possibile scattare passando inosservati.

Ed il punto è questo: cosa si intende per “qualcosa del genere”? La prova sul campo della M1 ci dà anche l’occasione per affrontare un tema più generale. Un’esperienza che immaginiamo comune a molti fotografi è la seguente: costruito con cura (e con un non irrilevante impegno finanziario) un solido corredo full frame, ci si ritrova puntualmente in presenza di occasioni nelle quali da un lato si vorrebbe avere una fotocamera, dall’altro si farebbe volentieri a meno dei chili e dei centimetri che un corredo FF inevitabilmente si porta con sé. Un conto sono le uscite davvero fotografiche, insomma - siano esse lavorative o per diletto -, un altro sono le passeggiate e gli incontri un po’ più conviviali, meno orientati alla pura ripresa fotografica, dove andare in giro con una full frame (e magari uno o due obiettivi di ricambio, con relativa borsa o zaino) ci farebbe sentire un po’ fuori posto, senza contare la consunzione delle clavicole a fine giornata.

E così, probabilmente una domenica sera, al rientro da una passeggiata con amici e famiglia zeppa di allegria, sudate e malcelata irritazione contro chi ha inventato i 24-70 f/2.8, il nostro Fotografo Dilaniato decide di porre rimedio a tutto ciò ed inizia a rimuginare sul da farsi. Partendo dal presupposto che si vogliano scattare delle foto che non siano solo il ricordo di una tavolata in un agriturismo (per questo i recenti smartphone bastano ed avanzano), il nostro Fotografo Dilaniato scarterà l’idea di limitarsi ad usare il cellulare od una compattina da pochi Euro. Cosa resta quindi? O si punta ad una compatta di qualità (tipo le Sony RX col sensore da 1”, o le compattone Canon serie G più recenti), oppure… arriva il tempo delle mirrorless. Ma sì, una bella mirrorless fatta bene, che sia comunque una vera fotocamera, con ottiche intercambiabili, sensore grande (4/3 o meglio ancora APS-C), e che pesi ed ingombri un’inezia rispetto ad una reflex Full-Frame. La decisione è presa!

Uno scatto col 27mm. Con un po’ di opportuna postproduzione, si può tirare fuori un eccellente bianconero.

…Tutto risolto? No, perché se è vero che una mirrorless con uno zoomettino compatto sta non diciamo in un taschino ma di certo in una borsetta piccola, è anche vero che dopo un po’ il nostro Fotografo Dilaniato, se di vero fotografo si tratta, si accorgerà che in fondo è un po’ un peccato non valorizzare quella bella fotocamera ed il suo capace sensore; vale dunque la pena di metterci davanti un’ottica di livello. Ecco dunque che lo zoomettino compatto finisce sullo scaffale ed iniziano ad arrivare un vero grandangolare, poi magari un bel 35mm luminoso, e poi qualcosa sulle lunghe focali ce la vogliamo procurare? Ed il giro ricomincia, con la borsa che si riempie, i chili che aumentano, gli Euro che diminuiscono, l’irritazione che ritorna ai livelli di guardia, ed in più il problema della sovrapposizione tra i due sistemi: da un lato infatti c’è la tendenza a coprire tutte le focali (“così non mi manca nulla”) e quindi a comprare vari obiettivi, dall’altro ci si ritrova con i dubbi ad ogni uscita (“esco con l’una o con l’altra? che lenti mi porto? la mirrorless è più piccola, ma la reflex ha un AF che viaggia il doppio…” ecc.). Insomma, il Fotografo Dilaniato, svanito l’entusiasmo iniziale che lo porta a tessere le lodi della sua nuova piccola mirrorless, portandosela anche quando va alla Posta a pagare una bolletta, si ritrova più dilaniato di prima. Il sistema “piccolo”, comprato per quando non ci si vuol portare dietro il sistema “grosso”, finisce col rubargli spazio, ma più spazio ruba (cioè più spesso viene utilizzato al posto del grosso), più grande diventa…
Come stemperare tale dilemma? A nostro avviso la risposta è una sola: mettendo quanta più distanza possibile tra i due sistemi. Una mirrorless più voluminosa è sì più ingombrante e pesante, ma sarà anche probabilmente più pratica da usare, con tanti comandi disposti comodamente, un bel mirino, ecc. Una fotocamera più piccola, invece, punta molto sulla compattezza e sulla leggerezza, senza pretendere di andare a sostituire integralmente la reflex. Facendo un parallelo con le auto, può avere senso avere una Smart ed una familiare; ne ha probabilmente molto meno avere sia una Golf che una Lupo.

Il 18mm ha una buona nitidezza su tutto il campo inquadrato.

Se queste sono le premesse, la X-M1 è perfetta: abbinata ad un’ottica di dimensioni ridotte (il 18/2 ed il 27/2.8 sono ideali, da questo punto di vista) è davvero poco più che una compatta da taschino, ma la qualità è pur sempre quella di una fotocamera con sensore APS-C, e cioè molto buona. Esteticamente ben riuscita, con una copertura in policarbonato ruvido che ricorda la pelle delle fotocamere di un tempo, la M1 ha uno schermo LCD da 3” orientabile e con 920.000 punti di risoluzione; il pulsante di scatto è coassiale all’interruttore di accensione, e si trova incassato tra la ghiera dei modi di esposizione (che sono tanti: oltre ai classici P/A/S/M c’è un nutrito gruppo di automatismi più o meno flessibili) ed un’altra ghiera che regola la compensazione dell’esposizione (o il tempo); completa la parte superiore della fotocamera un tastino Fn, che richiama una funzione a scelta dell’utente (ad esempio gli ISO, l’anteprima della PDC, ecc.). Sul dorso, oltre al display, c’è un’altra ghiera disposta in verticale (che regola tempo, diaframma o la coppia tempo/diaframma, a seconda del modo di ripresa impostato), più i classici pulsanti Menu, Playback, White Balance, ecc. Non ci dilunghiamo nella descrizione di cosa faccia ogni singolo pulsantino, rimandando per questo il lettore alla consultazione del manuale di istruzioni. Parlando in generale il sistema dei menu e dei comandi ci sembra piuttosto completo ed abbastanza ben fatto; le opzioni non sono poche per cui vale la pena di spendere un po’ di tempo a familiarizzare con i comandi, per evitare di trovarsi poi nel pallone mentre si è impegnati in situazioni di ripresa. La M1 può operare sia in modalità totalmente manuale, che facendo uso di vari automatismi, filtri, ed emulazioni di stili pellicola (Provia, Velvia, Astia, bianconero, seppia); interessante anche la possibilità di scattare in RAW e poi di processarlo “in-camera” per generare un JPG dopo aver determinato alcuni parametri di sviluppo.

Uno scatto col 27mm a tutta apertura. Qui il dettaglio al 50% della foto in alto. Il bokeh è appena discreto, ma stiamo parlando di un’ottica lunga due dita!

La M1 non ha il mirino, a differenza dei modelli superiori (E1, E2, Pro1): questo la rende più compatta e, come dire, aiuta a differenziarla dalla famigerata full frame di cui sopra. Quanto peso dare a questa mancanza è una valutazione personale che lasciamo ad ogni lettore. La fotocamera adopera le solite schede SD ed ha una slitta portaflash per montare flash esterni, anche se nel corpo macchina è integrato un piccolo flash a scomparsa che in determinate situazioni può essere di qualche utilità; inutile aspettarsi miracoli da un lampeggiatore così minuscolo, in ogni caso è sempre meglio averlo che non averlo.

Il sensore è da 16mpx, e come detto è di tipo X-Trans. Anche qui entriamo in un terreno spinosissimo, dove si accendono furiose battaglie tra chi la pensa in modo diverso, talvolta con toni accesi quasi quanto quelli delle discussioni sui mirini ottici ed elettronici; in estrema sintesi, questo vuol dire che, se si lavora in formato RAW, non è detto che tutti i convertitori RAW facciano un buon lavoro, specie agli alti ISO. CaptureOne ed Aperture ci hanno dato ottimi risultati, mentre l’output di partenza di Camera Raw ci è parso un po’ morbido e meno dettagliato. Sul web comunque esistono migliaia di discussioni nelle quali si dice un po’ di tutto (come sempre), il nostro consiglio è di non focalizzarsi troppo sulle finezze e provare quanti più convertitori possibile fino a trovare quello che maggiormente ci consente di ottenere buone immagini con facilità; in altri termini, inutile puntare allo 0,5% di nitidezza in più se per averla si è costretti ad usare un software con il quale non ci si trova bene in termini di interfaccia utente o flusso di lavoro. Aggiungiamo che Photoninja ed Iridient godono di ottima reputazione nel trattamento dei RAW provenienti dai sensori X-Trans: vale dunque la pena di metterli alla prova.

Il 35mm ha ovviamente l’angolo di campo di un normale sul 24x36. Ha un’ottima resa ed un buono sfocato.

Ci sono invece ottime notizie per chi vuole tagliare la testa al toro e lavorare in JPG: i JPG della M1 sono mediamente ottimi e, salvo grossolani errori di esposizione, raramente richiedono molta post-produzione. Consigliamo solo di impostare al minimo la riduzione del rumore, perché è un po’ aggressiva (ben più che nelle Fuji precedenti) e tende a spianare un po’ troppo i dettagli fini. Eccellente per fare felice una teenager giapponese alle prese con i suoi selfie e che voglia l’ormai imperante incarnato “levigato”, un po’ meno per chi preferirebbe mantenere un po’ più di dettaglio sul file da cui partire.

La discrezione aiuta a cogliere immagini interessanti. Questo è il 27mm.

Abbiamo provato la M1 per qualche settimana, usando varie ottiche (il 18, il 27, il 35 ed il 16-50), ed il giudizio non può che essere positivo; piccola, compatta, leggera, risponde perfettamente al motto secondo cui “la fotocamera migliore è quella che hai con te”, nel senso che le sue ridotte dimensioni, i buoni risultati che produce, ed una buona praticità operativa spingono il fotografo a portarsela dietro il più spesso possibile; e questo è sempre un bene. La nitidezza, specie usando le ottiche fisse, è sempre molto elevata ed in generale, anche grazie alle correzioni software, la resa è sempre molto buona lungo tutto il campo inquadrato. Anche il piccolo 27mm, un pancake, si difende onorevolmente. L’autofocus è di una velocità che definiremmo “moderata” e certamente non è il punto di forta della M1, ma è più che sufficiente per un uso generale.
Concludendo: se si può rinunciare al mirino, la M1 è davvero un valido taccuino d’appunti che può costituire un eccellente complemento per chi abbia già un robusto corredo reflex; così come, ovviamente, è un ottimo secondo corpo per chi usi già il sistema Fuji e voglia affiancare qualcosa di molto trasportabile alle fotocamere di fascia superiore.

Agostino Maiello © 10/2014
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Scheda tecnica presente sul sito Fuji.