Un fotografo (Luigi Ghirri) e uno scrittore (Gianni Celati) impegnati in una 'ricognizione affettiva' dei territori lungo il Po, all'indomani della rivoluzione fotografica sancita dal progetto collettivo "Viaggio in Italia". Immagini e parole dalla sensibilità affine, che, intessute in un unico racconto, disegnano i contorni di una 'poetica dello stupore'.
Formigine. Ingresso casa colonica.
Tutte le immagini © Eredi Luigi Ghirri.
La cosiddetta 'stagione del paesaggio' degli anni Ottanta passa anche attraverso questa fatica collettiva, grazie ai nomi di Gabriele Basilico, Mario Cresci, Guido Guidi, Olivo Barbieri, Mimmo Jodice, Giovanni Chiaramonte... Autori di una rivoluzione fotografica che recupera il contatto diretto e 'affettivo' con le cose e con il mondo che si ha intorno, non più mediato (e falsato) da estetismi esasperati, stereotipi cartolineschi, baccano mediatico. Si ritorna alla realtà, adesso, pronti a guardarla con nuovi occhi, pronti a rivolgersi ai particolari più marginali, quotidiani, sommessi, per dedicar loro sguardi colmi di stupore. In due parole: si smette di cercare il meraviglioso nello stra-ordinario, per cimentarsi nella ben più ardua impresa di scovarlo nell'ordinario. Non si va più in cerca di simboli, ma di particolari che non rimandino ad altro se non a loro stessi. Si riscopre il piacere del silenzio, dell'assenza. Si impara un nuovo modo di guardare. Di stare al mondo.
Nogara. Bar della stazione.
Bologna. Via Stalingrado.
Nel 1989 il
libro, dal titolo omonimo, era pronto: 109 immagini che
possono a ben diritto essere considerate come un Manifesto
della nuova fotografia italiana (oltre che, ovviamente, del
lavoro di Ghirri); o, come scrisse Celati, "un album delle
cose che si possono vedere, indicate nel modo in cui
chiedono di essere viste".
Un cancello spalancato sulla nebbia, sul niente; seggiole di
plastica rossa illuminate dall'insegna al neon di un bar, su
cui sedersi a fare due chiacchiere, in attesa che il tempo
passi; un benzinaio immerso nel viola carico di un tramonto
qualsiasi; un Cristo in terracotta con le braccia aperte su
una piazzetta deserta; un letto dalla testata antica; un
muro scrostato, tinto di ramato, su cui sboccia lo stupore
di una piccola rosa bianca; interni di vecchie ville che
custodiscono strani ed esotici musei che nessuno ha più
voglia di visitare; vecchie officine di provincia, con
pareti che stanno su a forza di biciclette; un prato che
non ha voglia di finire; ombre di scale; porte socchiuse;
rami avvolti nel ghiaccio; distese arate; vecchi cascinali. Eccola, l'Italia lungo il Po vista da Ghirri. E' poco più di
questo. Eppure è immensa, infinita, vera e commovente più di
ogni altra. Come se i sottoscala, i ripostigli del mondo si
fossero d'un tratto spalancati per far prendere aria alla
magia di cui erano colmi.
Sono immagini scarne, concise, che non conoscono retorica.
Immagini 'semplici', ma di quel tipo di semplicità (l'unica
vera) che si conquista a fatica, intessendo complessità con
una sorta di perizia alchimistica.
Cadecoppi.
Dalla strada per Finale Emilia.
Lo sguardo di Ghirri accarezza queste marginalità di
provincia, ne rivela la grazia inconsapevole attraverso
sapienti giochi di luce ed equilibri compositivi
impeccabili, usando il colore come ulteriore mezzo di
riscatto di un reale negletto, che non fa notizia.
Immagini la cui eleganza si fa quasi superba (purché il
termine sia usato nel senso che gli conferisce Celati): "superbia di un'eleganza
che non ti mostra mai i suoi schemi, perché sa che la
perfezione non deve essere appariscente, e che il ritmo è
qualcosa che spunta al di là d'una misura regolare".
C'è stupore, sì, ma senza enfasi (che lo stupore, quand'è
vero e profondo, lascia 'senza parole' e decanta nel
silenzio).
Abituati come siamo al bombardamento di immagini 'ad
effetto', davanti ad alcune di queste - vaghe e fuggevoli
come il profilo mutevole delle nuvole - si ha la sensazione
di sentirsi come smarriti, orfani d'appigli ("non vi è
nessun elemento spettacolare o inconsueto a cui
aggrapparsi", scrive Ghirri): ma è uno smarrimento 'buono',
da coltivare, denso di promesse e nuovi orizzonti. Si pensi
per un attimo a quante occasioni ci resterebbero precluse, se
di tanto in tanto non ci si smarrisse, nel corso della vita.
E Celati ha parole bellissime per questo stato di
'dimenticanza' indotto dal paesaggio padano (e senza
dubbio esaltato negli scatti di Ghirri) di cui il "magnanimo
flusso" del Po si fa suggestiva metafora: "C'è quel vento
che a tratti scuote gli arbusti sul ciglio della strada,
arriva lì e disperde dei lucherini che volano via. Come la
dimenticanza quando arriva con la sua onda, spazza la
pianura in ogni angolo, e ti lascia lì dismemorato e
intontito per le troppe cose che passano via".
La fotografia, con Ghirri, si fa tenerezza.
E' un avvicinarsi al mondo con delicatezza indicibile, è
guardare tutto come se si vedesse per la prima volta.
"Non c'è niente di antico sotto il Sole", soleva
ripetere, citando quanto scritto da Borges: tutto è nuovo,
tutto è sorpresa, agli occhi di chi sappia osservare
intensamente. "La monotonia non è che il sentimento
deluso di chi s'aspetta sempre nuovi illusionismi, come se
occorresse essere sedotti anche per fare un solo passo",
gli fa eco Celati, ragionando su quanto siamo viziati.
Non c'è niente che non possa generare meraviglia, perché
essa dimora negli occhi di chi guarda più che in ciò che è
guardato. Ciò fa sì che si possa 'seminare' ovunque, e poi
raccogliere, a piene mani, perché la meraviglia non conosce
mezze misure: travolge, riempie tutto lo spazio possibile
(persino quello, sconfinato, delle piattezze nebbiose della
Pianura Padana).
E' questa specifica capacità di simbiosi con le cose che,
per dirla con Celati, ha il pregio di "renderci meno apatici
(più pazzi o più savi, più allegri o più disperati)". Qui non si attende più, pigramente, che sia
il mondo, per primo, a farsi avanti (già impacchettato in
forma di stereotipo o di allettante immagine mediatica): gli
si va incontro, battendolo sul tempo, con la disponibilità
totale e incontaminata di un bambino dagli occhi ancora
vergini (non per niente è stata spesso chiamata in causa la
poetica del 'fanciullino' pascoliano in parallelo con quella
di Ghirri: la presenza in ognuno di noi di una voce
'fanciulla' che vede e sente le cose con stupefatto
incantamento, cogliendone ingenuamente il mistero).
Bagno San Vito. Statale per Ostiglia.
Cittanova di Modena. Chiesa sulla via Emilia.
E' una poetica del vuoto, dell'assenza, del vasto; del meraviglioso che dimora nel consueto, e risorge dal quotidiano. Inevitabile (e illuminante) l'accostamento alla metafisica dechirichiana.
Nei quadri di De Chirico, così come nelle fotografie di Ghirri, l'apparenza del reale è venata di una sottile inquietudine che spreme fuori il mistero da ogni cosa, anche la più banale e dimessa: il tempo è come sospeso, lo spazio è desolato, la luce è radente, l'atmosfera è rarefatta, ma colma di presagi; e l'uomo non vi appare, se non come ombra fugace.
Stessa sorte gli tocca nelle immagini ghirriane: la presenza umana vive solo di allusioni, come se, scrive Celati, "gli uomini se ne fossero andati, per lasciare il campo libero alle cose".
Il libro Il profilo delle nuvole.
Immagini di un paesaggio italiano, pubblicato nel 1989
da Feltrinelli, fu esaurito in breve tempo. Nel 2001 ne è
stata fatta una seconda ristampa, ma fuori commercio, che
era possibile ritirare a fronte di un'offerta destinata alla
beneficenza e che fungeva da catalogo alle mostre via via
dedicate al progetto (l'ultima in ordine di tempo è stata
quella allestita al Centro Internazionale di Fotografia
degli Scavi Scaligeri a Verona, conclusasi nell'ottobre
2006).
Ma c'è un libretto tutt'ora facilmente reperibile, che
abbiamo imparato a conoscere nel corso di quest'articolo: è Verso la foce di Gianni Celati.
Campegine. Museo Fratelli Cervi.
Masone. Casa Benati.
Tutte le immagini © Eredi Luigi Ghirri.
E' anch'esso un libro di immagini, ma senza che ve ne sia stampata neanche una. Vi sono raccolti cinque brevi diari, redatti in tempi diversi nel corso di questo pellegrinaggio verso la foce del Po insieme a Ghirri e ad altri fotografi (alcuni si rifanno al progetto Viaggio in Italia, altri alludono a Il profilo delle nuvole). Leggendolo, le immagini ghirriane ci scorrono davanti agli occhi, prendono forma naturalmente, evocate da quelle parole che ne sono l'ideale accompagnamento: essenziali, scarne, dense di una poesia che ha a che fare più con la terra che col cielo. E' per questo, forse, che le sentiamo così vicine.
Sarà un'esperienza ancora più intensa, allora, guardare le
foto di Ghirri con in mente parole come queste (di un Celati
finalmente giunto alla deriva della foce): "Continuo a
guardare il mare come se dovesse succedere qualcosa da un
momento all'altro. Noi aspettiamo ma niente ci aspetta, né
un'astronave né un destino. Se adesso cominciasse a piovere
ti bagneresti, se questa notte farà freddo la tua gola ne
soffrirà, se torni indietro a piedi nel buio dovrai farti
coraggio, se continui a vagare sarai sempre più stanco. Ogni
fenomeno è in sé sereno. Chiama le cose perché restino con
te fino all'ultimo".
Serena Effe © 12/2006
Riproduzione Riservata
Courtesy Eredi Luigi Ghirri © per le foto che accompagnano questo articolo