FAQ - GLI OBIETTIVI FOTOGRAFICI
Domande ricorrenti sul mondo della Fotografia

DUPLICATORI DI FOCALE E PROFONDITA' DI CAMPO
Se si usa un duplicatore di focale, aumenta la lunghezza focale dell'obiettivo, e quindi diminuisce la profondità di campo. Ma se - a parità di diaframma - l'uso del duplicatore fa perdere due stop di luminosità, perché la PDC non aumenta? Qual è l'effetto combinato dei due effetti (il raddoppio della lunghezza focale ed il calo della luminosità)?

L'equivoco nasce dal fatto che in realtà non ci sono due effetti, ma uno solo, ovvero l'aumento della distanza focale; è questo che fa diminuire la PDC. È vero, si perdono due stop di luminosità, ma si perdono perché la luce che arriva sul piano focale viene "spalmata" su una superficie più grande, non perché il diaframma sia più chiuso. Non è il valore dell'apertura in quanto tale che influenza la PDC, ma il diametro del diaframma (e basta guardare attraverso due obiettivi di diversa lunghezza focale, per es. un un 28mm ed un 200mm, entrambi alla stessa apertura, per rendersi conto che non si tratta della stessa cosa). L'apertura determina la quantità di luce che raggiunge il piano della pellicola, il diametro determina il percorso dei raggi luminosi, ed è quest'ultimo elemento che influenza la PDC.

CATADIOTTRICI... NE VALE LA PENA?
La "vexata quaestio" obiettivi catadiottrici versus obiettivi a lenti non ha significato se posta in termini assoluti. In realtà bisogna chiedersi "che cosa voglio fotografare?" e soltanto in base alla risposta che ci si dà incominciare a discuterne. Alcuni fatti sembrano comunque incontrovertibili:

- ll catadiottrico costa meno di un'ottica a lenti corrispondente, a meno che non ci si rivolga a quei Super Tubar senza nome che ancora circolano nei negozietti di periferia ma che stanno alla fotografia come il go-kart sta alla Formula 1.

- Il catadiottrico è meno ingombrante (ma non necessariamente più leggero) di un'ottica a lenti corrispondente.

- Il catadiottrico non può essere diaframmato. Questa non comporta soltanto la difficoltà di usare tempi di otturazione ragionevolmente brevi ma il problema, molto più serio, della profondità di campo. Per bene che vada, un camoscio fotografato con un catadiottrico, diciamo un 500mm F/5,6, avrà gli occhi, le orecchie e le corna a fuoco, ma il naso e la groppa saranno già sfocati!

- Il catadiottrico trasforma i punti di sfocatura in cerchietti, grazie alla conformazione degli specchi. Gli estimatori dicono che questa è una caratteristica simpatica, un elemento creativo e caratterizzante. In realtà dà un fastidio bestia e oltretutto distoglie l'attenzione dal soggetto principale, il che non è certo lo scopo della fotografia creativa. Sareste contenti se chi guarda la vostra foto dicesse "oh, che bei cerchietti!" invece di dire "oh, che bel camoscio"?

Ciò detto, la scelta è personale, da effettuare in base alle proprie non necessariamente condivisibili esigenze di ripresa. È da tenere soltanto conto del fatto che nei formati professionali (medio e grande formato) i catadiottrici non si sa nemmeno che cosa siano.

PERCHÈ VENGONO PUBBLICATI COSI' POCHI TEST DI OTTICHE PER IL MEDIOFORMATO? A CAUSA DELLE DIFFICOLTA' CON LA PLANEARITA' DELLA PELLICOLA RISPETTO AL 35MM O PER IL FATTO CHE SONO INFERIORI PER RESA OTTICA SEMPRE RISPETTO AL PICCOLO FORMATO?
La cosa non deve sorprendere più di tanto. Il risultato finale consiste in una maggiore nitidezza e in colori più aperti e puliti, e quello che davvero fa la differenza non sono le linee per millimetro ma il formato del negativo. I test MTF effettuati sulle ottiche destinate al grande formato (cioè alle macchine a banco ottico) farebbero metterebbe le mani nei capelli: ma come, uno Schneider da 5 milioni e mezzo risolve meno linee per millimetro di un 50mm Pentax per il piccolo formato! Certo, è così, perché su un negativo di 10x12 centimetri o addirittura più grande sono sufficienti 20 o 30 linee per millimetro per dare l'impressione di una nitidezza mai vista prima. Sono altri, in realtà, i parametri su cui puntare l'attenzione: in particolare il microcontrasto e la resa dei toni e dei colori, il trattamento antiriflessi, la possibilità di effettuare riprese a diversi rapporti di riproduzione (per questo le ottiche di grande formato hanno prevalentemente uno schema simmetrico) mantenendo inalterata la resa ottica, il cerchio di copertura. Se poi si considera il fatto che l'occhio umano non è in grado di discriminare più di 16 linee per millimetro, ci si rende conto che le prestazioni superbe degli obiettivi di piccolo formato sono tali soltanto sulla carta, e servono semplicemente a compensare la resa scadente dovuta alle dimensioni del fotogramma. Le riviste che non recensiscono gli obiettivi di medio formato perché più "scadenti" lo fanno evidentemente per difendere interessi settoriali, linee di principio o intenti editoriali (la diffusione del piccolo formato, ad esempio), rinforzando nei lettori la diffusa quanto errata convinzione che l'inseguimento del più alto numero possibile di linee per millimetro costituisca l'unico criterio di valutazione della resa di un obiettivo.

COME SI GIUSTIFICANO I COSTI ESORBITANTI DELLE OTTICHE PER MEDIO E GRANDE FORMATO?
L'attenzione del costruttore è incentrata non tanto sul potere risolvente, quanto su altri parametri ben più importanti ai fini della nitidezza: la ricerca della qualità passa prima di tutto attraverso il trattamento antiriflessi, il microcontrasto e la resa del colore. Le lenti sono più grandi, ed è pertanto più difficile, cioè costoso, tenere a bada le aberrazioni (soprattutto quelle extra-assiali) su una superficie curva così estesa. Infine gli obiettivi di medio formato devono poter godere di una meccanica affidabile e sicuramente più curata di quella che caratterizza certe ottiche amatoriali (i "giochi" e i cedimenti di certi obiettivi universali sono ben noti). Per quanto riguarda il grande formato, a tutte queste considerazioni si aggiunge la determinazione del cerchio di copertura, che deve poter permettere i movimenti dei piani-immagine senza causare vignettature o perdite di definizione ai bordi. Questo significa che, a parità di focale, due obiettivi possono avere costi molto diversi a seconda del loro cerchio di copertura. Un 150mm che copre solo il formato 10x12 costa molto meno di un 150mm capace di coprire fino al 20x25!

SE PER FARE UN 50/1,4 PER IL 35MM OCCORRE UN CERTO DISEGNO OTTICO, PER UN'OTTICA MEDIOFORMATO NON BASTEREBBE INGRANDIRE IL PROGETTO DI UN'OTTICA PIÙ PICCOLA OTTENENDONE LE STESSE QUALITA'?
No, perché le aberrazioni extra-assiali aumentano proporzionalmente al crescere delle dimensioni fisiche della lente e dell'angolo di copertura. Anche nel piccolo formato un obiettivo luminoso (che cioè a piena apertura sfrutta un'area maggiore delle lenti) è più costoso di un obiettivo meno luminoso, anche se di pari focale. La vera considerazione, in ogni caso, resta che nella pratica la stampa tratta da un negativo grande appare migliore di una stampa fatta partendo da un negativo piccolo. È questo che il cliente vuole vedere, con buona pace delle linee per millimetro. Ansel Adams otteneva gran parte delle sue fotografie (ad esempio, molte di quelle scattate nella Yosemite Valley) con un obiettivo Kodak Ektar le cui curve MTF oggi ci farebbero inorridire. In base all'esperienza personale, di cento diapositive di piccolo o medio formato spedite ad un'agenzia questa ne trattiene al più una ventina, mentre venti lastre da 4x5", prodotte con una ottica degli anni Cinquanta, vengono prese tutte.

OBIETTIVI AGGIUNTIVI (GRANDANGOLARI) E DUPLICATORI DI FOCALE: SONO IN GENERALE DA BUTTARE VIA O HANNO UNA LORO VALENZA?
Bisogna operare un distinguo. Gli aggiuntivi che si montano davanti all'obiettivo sono piuttosto da buttare via, mentre per i moltiplicatori di focale (che si montano tra il corpo macchina e l'obiettivo) il discorso è più complesso. Il moltiplicatore di focale è un sistema di lenti complessivamente negativo che di fatto "allarga" di due (1,4x) o di quattro (2x) volte la superficie virtuale sulla quale va a focalizzarsi l'immagine. Il fotogramma sfrutta soltanto la metà (1,4x) o un quarto (2x) di questa superficie, con due conseguenze importanti. La prima è che il moltiplicatore di focale consente di ottenere l'ingrandimento che si otterrebbe con un obiettivo di focale superiore a quello effettivamente utilizzato (doppia nel caso dei moltiplicatori 2x, o duplicatori di focale); la seconda è che la quantità di luce che giunge alla pellicola si riduce della metà (un diaframma in meno) con i moltiplicatori 1,4x o ad un quarto (due diaframmi in meno) con i duplicatori. Un importante corollario alla prima conseguenza è che la distanza minima di messa a fuoco rimane quella dell'obiettivo che si sta usando. Un 200mm F/2,8 duplicato si comporterà come un 400mm F/5,6, con una distanza minima di messa a fuoco di circa due metri, il che si rivela vantaggioso ad esempio nei ritratti da vicino. L'uso del moltiplicatore tende però ad appiattire i contrasti e ad abbassare la qualità finale dell'immagine. I duplicatori a sette lenti sono migliori di quelli a quattro lenti, e con alcuni modelli (soprattutto quelli "dedicati" a un particolare obiettivo o a una famiglia di obiettivi) la perdita di qualità è ragionevolmente contenuta. L'aumento del numero di lenti rischia di causare rifrazioni parassite o immagini fantasma per cui è sempre consigliabile utilizzare i moltiplicatori di focale con un buon paraluce (che in ogni caso andrebbe usato sempre).

SE È VERO CHE L'APERTURA RELATIVA DI UN OBIETTIVO DIPENDE SOLO DAL DIAMETRO DELLA LENTE FRONTALE, PERCHÈ PER I GRANDANGOLARI LA REGOLETTA "APERTURA MASSIMA = LUNGHEZZA FOCALE DIVISO DIAMETRO LENTE FRONTALE" NON VALE PIÙ?
In effetti quella di dividere la focale per il diametro frontale della lente è solo un'approssimazione di comodo, valida per gli obiettivi a lungo fuoco e tele (con qualche variazione concettuale per questi ultimi). L'apertura relativa non dipende dal diametro della lente frontale ma da quello della pupilla di uscita dell'obiettivo, ovvero dal valore del diametro del fascio luminoso in corrispondenza del punto nodale posteriore, che è poi il punto dove in genere viene montato il diaframma. In un lungo fuoco i raggi provenienti dall'infinito subiscono lievi variazioni di direzione (essendo appunto la focale "lunga" rispetto ai raggi provenienti da distanze finite. Il "lievi" sarebbe da quantificare, ma in prima approssimazione questo può bastare). Quindi, se lo scostamento è minimo, la pupilla di uscita è all'incirca uguale al diametro della lente frontale, e vale l'approssimazione suddetta. Invece, con un grandangolare a schema retrofocus (cioè a teleobiettivo invertito) i raggi provenienti dall'infinito subiscono fortissime deviazioni sulla periferia del fascio luminoso. Il fascio si restringe quindi in corrispondenza del gruppo ottico posteriore che è sempre convergente e nel punto nodale posteriore il suo diametro assume un valore molto piccolo. Questo implica che il rapporto f/d (dove f è la distanza focale e d e' il diametro della pupilla di uscita) assume valori molto grandi, non confrontabili col rapporto f/D con D diametro della lente anteriore. Il discorso vale anche per i grandangolari simmetrici, dove il diaframma e il punto nodale posteriore sono posti al centro dello schema ottico. Ecco perché la regoletta non vale. D'altro canto basta guardare attraverso la lente anteriore di un grandangolo e di un tele. Il grandangolo ha un diaframma (a parità di apertura relativa massima) che sembra piccolissimo (in realtà non lo è... è piccola la pupilla di uscita!), mentre un tele ha un diaframma enorme (pupilla grande). In ultima analisi è generalmente vero il fatto che una lente anteriore più grande implica una capacità maggiore di raccogliere la luce, però la regoletta che tutti conosciamo non è purtroppo sempre valida!

DUPLICATORI DI FOCALE: È CONSIGLIABILE UTILIZZARE UN DUPLICATORE DI FOCALE, PER ESEMPIO UN KENKO MC-7, CON UN 300/4 O UN 400/5,6 DI TIPO UNIVERSALE, PER OTTENERE UN ACCETTABILE TELE DA 600/800mm? LA PERDITA DI LUMINOSITA' NON HA IMPORTANZA. L'USO PREVISTO SAREBBE LA CACCIA FOTOGRAFICA.
La parola chiave, qui, è "accettabile". Ognuno ha la propria soglia minima relativa alla qualità fotografica, perciò una foto ottenuta con un Tamron da 400mm duplicato potrebbe essere accettabile per Tizio ma non per Caio. Oppure potrebbe essere buona sul 13x18, ma inguardabile se stampata su un 24x30 o in diapositiva. Insomma, la teoria dice che partendo da un obiettivo di qualità medio-bassa e "moltiplicandolo" (seppur con un buon duplicatore, il Kenko MC-7) si ottengono sicuramente foto dalla qualità assai compromessa. Però, e qui passiamo all'aspetto pratico, è possibilissimo che quelle foto siano comunque personalmente accettabili. Quindi l'unico consiglio sensato che si può dare è fare delle prove: abbinare il teleobiettivo al Kenko e scattare. Dopodiché si potranno fare delle valutazioni. Il discorso è diverso se il teleobiettivo non è ancora disponibile e se ne sta solo considerando l'acquisto. In questo caso, fermo restando che l'unico modo per decidere seriamente rimane il fare delle prove e visionare i risultati, ci si potrebbe accordare con il negoziante ed esporgli il problema: "Vorrei il 400mm, ma prima voglio essere sicuro che col Kenko ottengo risultati decenti". Non è necessario che il negoziante faccia chissà quale cortesia: basta andare in negozio con la fotocamera ed il duplicatore, comprare un rullino di dia e provare l'obiettivo duplicato stando in negozio (è sufficiente uscire in strada e fotografare un po' di soggetti distanti, un volto, un'insegna di un negozio, ecc.). Restituito l'obiettivo e consegnate le diapositive per lo sviluppo il giorno dopo si ritorna e si controllano le dia. Se sono soddisfacenti si compra l'obiettivo, altrimenti no. È improbabile che il negoziante faccia obiezioni. Se le fa, è poco disponibile: cambiate negoziante.

CI SONO DIFFERENZE DI QUALITA' TRA FOTO SCATTATE CON UNO ZOOM (28/70) ED UN OBIETTIVO DELLA STESSA MARCA CON FOCALE FISSA (50mm)?
Le differenze di qualità tra uno zoom ed un obiettivo a focale fissa ci sono quasi sempre, e sono quasi sempre a favore di quest'ultimo. Bisogna però essere in grado di vederle, il che significa:

  • che l'occhio è allenato
  • che la foto sia sufficientemente grande (stampa o diapositiva) da mettere in evidenza le differenze e
  • che la foto in sé, intesa come soggetto ripreso, illuminazione ecc. dia risalto alle differenze.

Scattando un 13x18 col sole alle spalle ad agosto ed a F/8, uno zoom Sigma da 200mila lire va bene (quasi) quanto un 50mm Leica da circa 2 milioni.

COME SI STABILISCE LA QUALITA' DI UN OBIETTIVO?
Non potendo effettuare test MTF, l'utente privato può soltanto verificare a occhio la bontà dei suoi obiettivi, di solito scattando un rullino di prova nelle condizioni più diverse. Durante queste prove occorre essere cattivi, sottoponendo l'obiettivo a condizioni di ripresa difficili, prima fra tutte il controluce. Non devono essere presenti raggi di luce che attraversano obliquamente il fotogramma, né immagini fantasma del foro del diaframma, e neppure la perdita di contrasto dovuta al flare. Va comunque detto che queste prove non vanno mai fatte senza dotare l'obiettivo di paraluce, per evitare falsi risultati dovuti ai raggi di luce che colpiscono obliquamente la lente frontale (del resto, non bisognerebbe mai fotografare senza paraluce). Se l'obiettivo supera questo semplice esame si può incominciare a pensare che varrebbe la pena acquistarlo. Un altro parametro di valutazione è l'ariosità dell'obiettivo: una qualità difficilmente definibile e non avvertibile se non per confronto. Ci sono obiettivi (anche professionali) che riescono ad appiattire l'immagine togliendole ogni tridimensionalità, altri offrono una sensazione di profondità ineguagliabile.

ESISTE UN RACCORDO ORIGINALE CONTAX PER MONTARE SULLE G1 E G2 GLI OBIETTIVI DEL SISTEMA REFLEX, AD ESEMPIO IL 135 -F/2,8. MOLTO BELLA L'IDEA, MA NEL MIRINO NON SI VEDRA' DI CERTO CIO' CHE INQUADRA L'OBIETTIVO. COME CI SI REGOLA PER INQUADRATURA E MESSA A FUOCO?
Il campo inquadrato dal mirino viene adeguato alla focale in uso, nei limiti delle focali previste nel mirino delle Contax G, vale a dire da 28 a 90mm. Per focali diverse le G hanno degli aggiuntivi che vanno inseriti nella slitta portaflash. Non possedendoli si va ovviamente "a fantasia". La messa a fuoco è assistita dal telemetro elettronico della G che è in grado di misurare le distanze con estrema precisione (per esempio 2,57 metri) ma poi occorre riportare questo valore manualmente sull'obiettivo, ruotandone l'elicoide come di consueto. Poiché è difficile che un qualsiasi obiettivo abbia delle scale cosi' accurate (2,57 metri) si andra' per approssimazione, il che rende inutilizzabili i teleobiettivi alla massima apertura. In sintesi è un accessorio del tutto inutile (poteva esserlo se avesse permesso di utilizzare l'85/1,4 Zeiss a tutta apertura godendo della messa a fuoco assistita TTL come avviene con le reflex). Le G sono fotocamere a telemetro, fatte per funzionare con le loro ottiche. L'unica eccezione potrebbe essere l'utilizzo saltuario di obiettivi supergrandangolari ma avendo un 18mm Zeiss si presume che si possegga anche un corpo Contax reflex, no?

OBIETTIVI YASHICA "DSB" ED "ML": QUALI SONO LE DIFFERENZE?
Gli obiettivi Yashica serie DSB furono messi in commercio intorno al 1982 in un cofanetto/borsa fotografica comprendente corpo Yashica FX3, 28/2,8 DSB, 50/1,7 o 1,9 ML, e 135/2,8 DSB. Il kit era offerto ad un prezzo molto contenuto ed era una soluzione per iniziare subito con un corredo completo ed originale. Purtroppo la qualità dei DSB era decisamente inferiore a quella dei corrispondenti obiettivi Yashica ML in quanto:

  • erano privi di trattamento antiriflessi;
  • avevano una scarsa saturazione cromatica (ma una risoluzione superba, come spesso accade con le ottiche economiche);
  • distorsione a barilotto e vignettatura evidenti.

Questi limiti (chiamiamoli pure difetti se vogliamo) erano accettabilissimi in rapporto al prezzo di vendita e l'accettarli o meno era ed è un fatto squisitamente personale. C'è chi usa ancora oggi obiettivi peggiori degli Yashica DSB e non ne "vede" i difetti, inoltre una buona immagine può spesso nascondere le insufficienze qualitative. Un bel ritratto, per esempio, non ha bisogno di risoluzione elevata, non si notano distorsione, vignettatura e curvatura di campo. Dipende essenzialmente da quello che si fotografa.

SI DICE CHE LO ZEISS DISTAGON 25/2,8 SIA UN OBIETTIVO MEDIOCRE. COME MAI?
Il 25mm Zeiss ha, sulla carta, una resa non all'altezza del nome che porta. Eppure si tratta di un eccellente obiettivo che è in produzione da più di vent'anni e che svariate migliaia di fotografi hanno comprato preferendolo al pur ottimo, ma inferiore, 28mm F/2,8 (che tra l'altro costa anche la metà del 25mm). La bellezza di una foto non è data solo dalla definizione dei dettagli ma è data da un'impressione generale di nitidezza che dipende da vari fattori. Un obiettivo nitidissimo ma con una resa cromatica insoddisfacente ed una resa poco plastica produrrà delle immagini nitidissime ma dai colori slavati e decisamente "piatte". Meglio, molto meglio un obiettivo un po' meno nitido ma che, senza filtri ed anche in condizioni di luce difficile, produca immagini aggressive e con dei bei colori pieni. Il 25mm Zeiss è proprio così: aggressivo. Ha delle qualità "impalpabili" che non appaiono nei test MTF e che fanno dire, a chi bada solo ai test MTF nel giudicare un obiettivo, che "è una fregatura". Lo scopo di un obiettivo non è di primeggiare nei test MTF, ma produrre belle foto: e lo Zeiss 25mm lo fa e lo fa splendidamente, a differenza di tanti altri obiettivi più o meno blasonati che nei test in studio con luce controllata vanno benissimo ma diventano mediocri nelle situazioni pratiche di ripresa.

SI POSSONO FARE DEI RITRATTI CON UN 35mm (ZEISS PER CONTAX G) O CI SI DEBBONO ASPETTARE DISTORSIONI?
Certo che si possono fare dei ritratti: i ritratti si possono fare con qualunque lunghezza focale, solo che i risultati saranno molto diversi. È un po' difficile fare un ritratto ambientato con un 135 o un 180mm (a meno di non allontanarsi moltissimo dal soggetto), così come è decisamente sconsigliato fare dei primi piani con un 35 o 28mm; ma sempre ritratti sono. Si, il 35mm Zeiss per Contax G è molto ben corretto contro le distorsioni, ma la distorsione prospettica è ben diversa da quella intesa come aberrazione o difetto ottico. Gli obiettivi, tutti gli obiettivi, soffrono di distorsione "a barilotto" o "a cuscinetto" e queste considerazioni valgono per qualsiasi obiettivo e non solo per il 35mm della Contax G. Gli obiettivi grandangolari tendono a soffrirne di più: si tratta di un fenomeno ottico mai annullabile del tutto e che si può trovare illustrato, su NADIR, in un articolo dedicato alla fotografia di architettura sotto la sezione Tecnica. Poi c'è la distorsione "prospettica", che non è un difetto, quanto una semplice caratteristica che dipende dalla lunghezza focale. I grandangolari alterano la prospettiva, più sono spinti più producono quelle immagini un po' "dilatate" che tutti conosciamo, ed in genere fanno apparire gli oggetti più vicini molto più grossi di quelli lontani, e più distanti da essi di quanto siano in realtà. In realtà non sono i grandangolari che alterano la prospettiva, è il fatto di doversi avvicinare al soggetto per riempire il fotogramma che la altera, ma la conseguenza è la stessa. È per questa ragione che un 35mm va bene per un ritratto, a patto di non avvicinarsi troppo al soggetto, a meno di non voler ottenere effetti estetici particolari. Per rendersene conto basta guardare nel mirino col 35mm innestato. Viene più intuitivo realizzare un "ritratto ambientato" (per esempio, una ragazza seduta su un divano), piuttosto che un primo piano.

QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA UN OBIETTIVO NORMALE ED UNO ASFERICO?
L'obiettivo "asferico" contiene una o più lenti asferiche, cioè lenti la cui superficie non è una calotta sferica, ma è disegnata in modo irregolare. La lente tradizionale, una calotta sferica perfetta, rifrange (cioè piega) in modo diverso i raggi che la attraversano al centro e quelli che la attraversano ai bordi. Questo non è un difetto del vetro, ma una legge dell'ottica geometrica. In pratica, i raggi che attraversano la lente al centro vengono focalizzati in posizione più lontana (lungo l'asse ottico) di quelli che la attraversano ai bordi: questi vengono "piegati" di più e vanno a focalizzarsi in posizione più prossima alla lente. Ne consegue che l'immagine di un punto posto all'infinito, che convoglia verso la lente una serie infinita di raggi paralleli, non verrà focalizzata interamente sul piano focale, ma "sparpagliata" un po' davanti ad esso e un po' dietro di esso. Questo fenomeno prende il nome di aberrazione sferica. L'unico modo per correggere l'aberrazione sferica era, fino a qualche tempo fa, rappresentato da un'accurata progettazione a schema simmetrico e da un'apertura relativa massima non esagerata. Il fotografo poteva poi migliorare l'aberrazione sferica residua chiudendo il diaframma: l'aumentata profondità focale così ottenuta riusciva a comprendere tutti i raggi di luce focalizzati lungo l'asse ottico. L'introduzione delle lenti asferiche ha contribuito in modo sostanziale alla soluzione del problema, grazie alla progettazione di superfici dalla curvatura variabile, capaci di focalizzare i raggi luminosi in un unico punto. Le lenti asferiche in vetro ottico richiedono ancor oggi una lavorazione parzialmente manuale, il che ne aumenta il costo. Per questo alcuni fabbricanti hanno fatto ricorso a speciali resine che permettono di produrre le lenti per stampaggio.

Per maggiori informazioni sulle lenti asferiche, si veda l'articolo specifico su NADIR